MICHELE BRAMBILLA, La Stampa 8/7/2012, 8 luglio 2012
LaLuinodiChiara dalramino alSuperenalotto - Si apre sempre bella come un tempo la vista del lago da Luino, capitale della «sponda magra» del Verbano; c’è ancora il caffè Clerici, e ancora ci sono i palazzi che ospitarono gli alberghi Majestic e Metropole
LaLuinodiChiara dalramino alSuperenalotto - Si apre sempre bella come un tempo la vista del lago da Luino, capitale della «sponda magra» del Verbano; c’è ancora il caffè Clerici, e ancora ci sono i palazzi che ospitarono gli alberghi Majestic e Metropole. Ma invano, entrandovi, cercheresti lo Sberzi, il Càmola, il Carletto detto Còdega, il Monti detto Tonchino, il Tolini detto Tetàn, l’assicuratore Pisoni, il ragionier Queroni la cui moglie era l’amante del notaio Brudaglia, il vecchio baro Rimediotti: scioperati giocatori d’azzardo, uomini usi a dar rispettosamente del lei al lavoro, e a trascorrer piuttosto le giornate con l’innocente ramino, per poi passare, dopo la mezzanotte, al poker e allo chemin de fer. «Cip, parole, vedo, buio, controbuio, passo, il piatto piange, servito»: così passavano le ore e le stagioni, distillando momento per momento «quel piacere, che è voluttà vera e propria, di vincere e di perdere». Era il 1962 quando Piero Chiara, alla soglia dei cinquant’anni, pubblicò il suo primo romanzo di successo: «Il piatto piange». Fu il suo concittadino Vittorio Sereni a convincere Mondadori che c’era un genio narrativo dietro quelle lettere che Piero Chiara gli aveva inviato per raccontargli la vita dissipata, al bar e nelle sale da gioco, che aveva trascorso negli anni della sua giovinezza, quelli fra le due guerre. La sconosciuta Luino diventò così in tutta Italia il simbolo di quel microcosmo che è la provincia: con la sua vita pigra, sonnacchiosa, monotona; resa migliore da tranquille letture e piaceri della gola, ed eccitante dagli intrighi amorosi. «Nei paesi - scrive Chiara nella prima pagina de ”Il piatto piange” - la vita è sotto la cenere. Per vivere come si vorrebbe da giovani ci vuole denaro; e di denaro ne corre poco. Allora si gioca per moltiplicarlo e si finisce col fare del gioco un fine, una manìa nella quale si stempera la noia dei pomeriggi e delle sere». Oggi non si gioca più a carte, si tenta la fortuna con il Superenalotto, con il lotto svizzero e con il gratta a vinci perché i tempi sono cambiati, ma il bisogno di soldi no. Luino, dai tempi di Chiara, è diventata molto più ricca. Però la crisi è arrivata anche in provincia, quindi anche qui. E forse è anche per la crisi che della toponomastica di Chiara ben poco è rimasto. La sua casa natale è da tempo un ristorante, il «Due Scale»; c’è ancora, ma ha cambiato nome e genere, il ristorante Binda dove andava a mangiare Tognazzi in un film, «Venga a prendere il caffè da noi», tratto da un altro romanzo di Chiara, «La spartizione». E il luogo simbolo de «Il piatto piange», quell’hotel Metropole dell’albergatore e giocatore Sberzi, sembra ora l’immagine di un malinconico tramonto. Diventato con gli anni Palazzo Verbania, di proprietà dello Stato e gestito dal Comune, era fino a due anni fa il centro di mostre, dibattiti, iniziative culturali. Ma ora la nuova giunta comunale lo tiene chiuso dal primo ottobre al 30 marzo per risparmiare sulle spese: del custode, della luce, del riscaldamento. Non più di ventimila euro all’anno, «ma ormai la cultura è un costo», dice sconsolato Angelo Aschei, uno dei principali animatori culturali luinesi. Del tempo che fu Aschei ha nitidi flashback: «Sono nato nel 1946 in viale Amendola, vicino alla casa di tolleranza di Mammarosa, uno dei personaggi de “Il piatto piange”. Ricordo quando la tenutaria andava a prendere le ragazze arrivate in treno dai casotti di Milano, le caricava su un calesse e le portava in giro per Luino. Così tutto il paese sapeva che da Mammarosa c’era stato il ricambio». Che la crisi abbia toccato perfino i santuari della memoria di Chiara lo si vede anche da un comunicato stampa diffuso venerdì appunto dal Comune. Parte simulando una buona notizia: «Valorizzeremo il nostro territorio anche per celebrare il giorno più bello», dice, ma la sostanza è amara: d’ora in poi, chi vorrà sposarsi a palazzo Verbania - l’ex Metropole, appunto - dovrà pagare 150 euro se residente, 300 se non residente; nei giardini lì fuori, le tariffe sono 120 e 220, come nell’area Belvedere; a Villa Hüssy 150 e 300 nelle sale e 120 e 220 nei giardini. Gli importi, spiega il comunicato, sono aumentati del 40 per cento in caso di rinfresco. «Non s’era mai visto - dice uno dell’opposizione - chiedere i soldi per farsi fotografare in un giardino comunale, stanno raccattando dappertutto». Anche perché i tempi sono difficili davvero. L’altra sera in un consiglio pastorale s’è informato che la comunità della parrocchia dovrà in qualche modo farsi carico di alcune famiglie che hanno perso il lavoro in Svizzera. Proprio quello del lavoro oltre confine è uno dei segni più evidenti di come è cambiata Luino. Ai tempi di Chiara questa era una terra di emigranti. Il Monti de «Il piatto piange» era detto “Tonchino” perché era stato in Indocina «dove per le strade, dopo i temporali, scavalcava serpenti»; il Lanfranchi aveva fatto il sarto a Parigi; il Còdega il minatore in Inghilterra; lo stesso Sberzi, prima di diventare albergatore al Metropole, era stato cameriere oltre Manica. Dal romanzo alla realtà, emigrante luinese era quel tal Vincenzo Peruggia che nel 1911, trovandosi a lavorare al Louvre, rubò la Gioconda e se la portò a Luino arrotolata in una valigia. Chiara gli dedica una citazione nel «Il piatto piange», sottolineando che la Gioconda «sarebbe ancora a Dumenza (un paese vicino a Luino, ndr) se il Peruggia un giorno non avesse pensato di venderla. Appena la srotolò all’Albergo Tripolitania di Firenze dove aveva appuntamento col direttore della Galleria degli Uffizi, venne arrestato». Da tempo ormai non si emigra più in Francia o in Inghilterra, né si va a fare i cuochi - dopo essersi formati alla scuola di Stresa - sulle navi da crociera. Per emigrare basta attraversare il confine del comune, che coincide con quello italiano, ed entrare in Svizzera, dove lo stipendio minimo è di tremila franchi, di gran lunga sopra i duemila euro. Una garanzia di benessere per molti, ma gli ultimi due anni sono stati duri: la crisi s’è sentita anche di là e, dovendo licenziare, molte imprese hanno raccolto l’invito della Lega ticinese, che esortava a liberarsi di quei «topi» dei frontalieri italiani. S’è poi sbloccata solo adesso la questione dei «ristorni», cioè quella quota del 38,8 per cento delle tasse pagate dai frontalieri che la Svizzera deve versare ai Comuni italiani. Furibondi con Tremonti per i fisco-velox, gli svizzeri hanno tenuto a stecchetto per due anni i Comuni di residenza dei nostri frontalieri: ecco perché poi si chiedono i soldi per i matrimoni. E poi da terra di emigranti Luino è diventata terra di immigrati. Al mercato del mercoledì, raccontato da Chiara in un altro libro («Le avventure di Pierino al mercato di Luino») «tre bancarelle su cinque ormai sono di cinesi - dice Aschei -. Era nato su iniziativa degli agricoltori delle valli per vendere i prodotti locali. Adesso è tutta un’altra cosa». Resta una grande capacità di attrarre, visto che il mercoledì, per il mercato di Luino, arrivano i pullman dalla Germania. Resistono bene le grandi e storiche aziende: le industrie meccaniche IMF di Gabriele Galante (imprenditore innamorato della cultura: tra le altre cose ospita a Luino la scuola di politica di Cacciari) e Ghiringhelli; poi la tipografia Nastro & Nastro, che esiste dal 1885 e tiene desta la memoria pubblicando libri di cultura locale e l’almanacco annuale «Il Rondò». Ma per molte altre aziende la crisi s’è fatta sentire. In centro ci sono ancora molti storici locali come la libreria «Cerutti & Pozzi» e il ristorante «Il Cantinone»; nuovi locali sono sorti e prosperano come «Buba’s», enoteca cult dei giovani. Tanti altri, però, hanno chiuso. «Luino - spiega Davide Boldrini, vicedirettore della Confcommercio locale e direttore del giornale luinese “l’Eco del Varesotto” - ha vissuto la sua grande stagione negli anni Venti. La stazione internazionale, aperta nel 1881, faceva sì che tutti dovessero passare di qua. Il turismo, negli anni raccontati da Chiara, era d’élite: molti ricchi milanesi avevano qua, o in paesi vicini come Cunardo o Marchirolo, la seconda casa. Poi c’è stata la fase delle industrie. Adesso si è tornati al turismo, soprattutto di tedeschi, olandesi, danesi. C’è crisi? Innegabile. Ma penso che tutto, anche le crisi, qui arrivino un po’ anestetizzate, attutite, perché Luino resta secondo me quello che è sempre stato: un paese in cui si lavora, si gode il lago, si parla a bassa voce di qualche storia di alcova. Un paese che per i suoi abitanti resta il più bello del mondo». È il fascino di un piccolo mondo che Piero Chiara, in una «Lettera dalla provincia» del 1977, così spiegava: «Nella provincia navigo in silenzio, attento a non svelarne l’enorme importanza per timore che i sociologi, i letterati, i sindacalisti, i sottosegretari, gli umoristi e gli altri uomini di primo piano vengano a disturbarmi nel meglio dei miei godimenti, cioè nel pieno del mio lavoro più serio, che è quello di vivere». (1. continua)