ROSARIA TALARICO, La Stampa 7/7/2012, 7 luglio 2012
Da Como a Johannesburg il manager a caccia di sfide - York Zucchi, l’internazionalità l’ha già nel nome
Da Como a Johannesburg il manager a caccia di sfide - York Zucchi, l’internazionalità l’ha già nel nome. Nato a Mendrisio (Svizzera italiana) e vissuto a Como, padre italiano e madre di Amburgo. Una carriera di successo nella finanza (in una delle sue più note cattedrali, Goldman Sachs) prima della decisione folle: mollare tutto per aprire un’attività in proprio in Africa. Anzi, in Sud Africa come specifica lui per far capire che l’Africa non è la stessa dappertutto. Da cinque anni si è impiantato a Johannesburg provando a usare l’esperienza che secondo lui aveva accumulato nella sua precedente vita professionale. «Quando lavori in una grande azienda pensi che la gente sia interessata a te e alle tue capacità, mentre in realtà è interessata alla società che rappresenti», con questa cruda consapevolezza maturata a posteriori, Zucchi si trasferisce in Africa per «fallire bene il primo anno», racconta ironico. Ci impiega infatti due anni «per prendere la decisione e avere il coraggio di attuarla. Il primo anno la vita dell’imprenditore è come il giornalista, non sai mai cosa c’è dietro l’angolo». Inizia con un’attività di broker procacciando capitali per imprese sudafricane che ne avevano bisogno. Ma il fallimento è dovuto a un approccio sbagliato: «In molti pensano alla reputazione e a creare rapporti a lungo termine. Ma in Sudafrica il modo di fare business è dinamico, ci sono molti capitalisti cowboy che stanno poco attenti a cosa promettono». Un approccio non per forza negativo perché spesso dovuto all’entusiasmo e alla speranza di riuscita degli africani. «Mi sono trasferito qui perché l’attenzione del mondo è rivolta ai mercati dinamici come l’Africa o il Brasile. Siamo sullo stesso fuso orario dell’Europa. Quello che cambia è l’entusiasmo. In Africa c’è una tale energia nelle discussioni di business… il Ghana e il Kenya sono come la Silicon Valley in America, con un grande impulso nel settore informatico. Fa più piacere stare in una situazione come questa in cui tutto vogliono fare qualcosa che non chi cerca disperatamente lavoro in Italia senza riuscire a pagare le bollette». Certo, non vuol dire che la vita lì sia tutta rose e fiori. «Ogni cosa comporta un rischio. In Africa non hai le infrastrutture italiane o anche solo la corrente elettrica tutti i giorni. Anche la sicurezza personale è a rischio, anche se migliora ogni giorno. Ma certo non ti fermi al semaforo rosso, ma rallenti aspettando di accelerare subito quando scatta il verde». Dopo l’iniziale fallimento Zucchi ha fondato una società che offre servizi agli ospedali africani che impiega 1850 persone in 24 paesi. «Abbiamo aperto da poco l’ufficio in Abu Dhabi, una crescita fenomenale in tre anni, tempi inimmaginabili altrove. E nonostante la competizione c’è ancora spazio». Di certo aiutano certe affinità tra italiani e africani: «Sono simili e lavorano allo stesso modo – prosegue Zucchi – caldi di cuore, a entrambi piace chiacchierare a lungo. In Africa sono grandi oratori e riescono a persuaderti solo parlando». Lo stile di lavoro accomuna i due popoli che sono molto creativi e innovativi nel trovare soluzioni all’ultimo momento. «Certo, un tedesco che apprezza struttura e pianificazione, qui perde i capelli in un mese», ironizza Zucchi. Ma se si resiste a all’improvvisazione, la qualità della vita non è poi così male se con mille euro al mese si può prendere in affitto una villa con piscina.