FABIO SINDICI, La Stampa 7/7/2012, 7 luglio 2012
Africa, nuova frontiera del lavoro - Nell’Europa della crisi economica, c’è chi ha trovato una soluzione estrema: fare i bagagli e partire
Africa, nuova frontiera del lavoro - Nell’Europa della crisi economica, c’è chi ha trovato una soluzione estrema: fare i bagagli e partire. In cerca di nuove opportunità di lavoro. Solo che questa volta non si tratta della consunta valigia di cartone, chiusa da uno spago, dell’immigrato diretto verso il sogno d’oltremare. Il bagaglio è piuttosto una ventiquattr’ore e un computer portatile. Anche la direzione è inaspettata: l’Africa. Antonio Sàagua, 45 anni, un dottorato in marketing management e una carriera come dirigente nel sistema sanitario, è pronto lasciare un impiego a Lisbona da 900 euro al mese per un futuro a Luanda, capitale dell’Angola; le offerte di lavoro che sta vagliando vanno dagli 8 mila ai 10 mila euro mensili. In patria - ha confessato al settimanale tedesco “Der Spiegel” - non riusciva a trovare un lavoro che gli permettesse di mantenere la famiglia. Non agli standard cui i Sàagua erano abituati, almeno. Questa migrazione al contrario è minima rispetto all’esodo delle masse di africani che cercano di passare i confini dell’Unione Europea con mezzi di fortuna, ma riguarda migliaia di manager europei ai quali il vecchio continente non riesce più ad offrire un lavoro all’altezza dei loro curricula. Solo in Portogallo, dove il tasso di disoccupazione sfiora il 15 per cento, circa 150 mila persone hanno ottenuto un visto per l’Angola, ex colonia portoghese, poi Paese dilaniato dalla guerra civile, e oggi in pieno boom petrolifero, grazie allo sfruttamento dei pozzi al largo delle coste nazionali, che pompano oro nero per un milione e 800 mila barili al giorno. E ci sono inglesi e irlandesi in Nigeria, primo produttore di petrolio del continente. Gli olandesi nell’Africa australe. Gli spagnoli nella minuscola Guinea Equatoriale. Il continente più povero del globo sta lentamente cambiando volto, grazie ai nuovi giganti, Cina, India, Brasile, affamati di materie prime. Vicino a Luanda, a Kilamba Kiaxi, sta sorgendo una new town, interamente finanziata da capitali cinesi, con appartamenti per 120 mila persone. La capitale dell’Angola, secondo uno studio del Mercer Group, viene subito dopo Tokyo tra le città più costose del mondo. Anche Djamena nel Chad e Libreville nel Congo figurano nella lista tra le venti città dove la vita costa più cara. È un elenco che le multinazionali guardano con attenzione, visto che è in programma l’apertura di nuove sedi in terra d’Africa. In Angola, Ghana, Guinea Equatoriale, Sudan i tassi di crescita hanno performance da velocisti. In Botswana si può parlare di «old money», di ricchezza stabilizzata, grazie alle miniere di diamanti. E i capitali stranieri ricominciano a fluire anche in Sud Africa. Mentre la scoperta di nuove riserve di gas in Tanzania ha attratto l’attenzione dei soliti cinesi, che pompano in Africa risorse per circa 8 miliardi di euro l’anno. Perfino in Etiopia, cenerentola dello sviluppo fino a qualche anno fa, la crescita sfiora il 10 per cento. Segnati da decenni di guerre, da amministrazioni inefficienti, questi Paesi sono oggi alla ricerca di capitale umano. E lo trovano nella vecchia Europa gelata dalla crisi. Anche le agenzie internazionali di «cacciatori di teste» hanno cominciato a setacciare il mercato del lavoro degli executives neo-licenziati, o insoddisfatti degli stipendi bassi. A Cape Town, considerata città cool anche dai divi di Hollywood, emigrano organizzatori di eventi, designer, fotografi. In Ruanda, dopo la feroce guerra civile, vanno esperti per rilanciare il turismo. E lavorano in Etiopia ingegneri idraulici e agronomi. La Ema Partners International, azienda di ricerca di lavoro qualificato con uffici nei cinque continenti, pensa di trovare un posto ben pagato in Angola per almeno il dieci per cento dei suoi candidati portoghesi. E sono quelli con le referenze migliori. Nel caso dell’Angola contano molto i legami dell’epoca coloniale: le élites di Luanda fanno shopping di case e azioni tra l’Algarve e Lisbona. Il boom economico di alcuni stati africani va in parallelo con la contrazione della cooperazione allo sviluppo. Così molti esperti e volontari occidentali con esperienza nelle organizzazioni internazionali si riciclano nel settore privato, che spesso è legato a doppio filo con i clan al potere. Su un portale come quello di African Sun News si trovano offerte di lavoro che vanno da competenze sofisticate nella tecnologia informatica a un diploma di maturità per insegnare nelle scuole, dalla pianificazione di infrastrutture al lavoro di ranger nei parchi naturali. Non tutto brilla nel miracolo africano. Dietro la luccicante skyline di Luanda, oltre la promenade tirata a lucido, con le palme appena piantate, si estendono zone di tenebra. Il presidente angolano José Eduardo dos Santos, da 32 anni al potere, uscito vittorioso dalla lunga guerra civile, governa un Paese dove i due terzi della popolazione sopravvive con meno di un euro al giorno. Gli indici di criminalità sono altissimi. La corruzione diffusa. «All’interno del Paese ci sono persone che non sanno cosa sia l’espressione “acqua potabile”», dice Makuta Nkondo, vecchio esponente dell’Unita, il movimento ribelle che ha deposto le armi nel 2002. In Guinea Equatoriale, il presidente Teodoro Obiang (arrivato al potere con un colpo di stato nel 1979) e il suo clan controllano strettamente la distribuzione dei proventi miliardari del petrolio. La libertà di espressione è praticamente inesistente e la detenzione arbitraria e le torture appaiono ogni anno nelle denunce di Human Rights Watch e Amnesty International. Per la prima volta, nel 2010, la Guinea Equatoriale ha pubblicato i ricavi dal petrolio. Prima erano top secret. Botswana e Etiopia sono criticate da organizzazioni quali Survival International per l’allontanamento illegale di intere popolazioni tribali dai loro territori per lo scavo di nuove miniere nel deserto del Kalahari o la costruzione di dighe nella Valle dell’Omo. Come gli emigranti nelle cartoline color seppia, molti degli expat europei di oggi si trasferiscono da soli, e lasciano le famiglie in patria. L’Africa non è per sempre. Una delle condizioni che Antonio Sàagua ha messo ai suoi futuri datori di lavoro è un volo gratis per Lisbona ogni sei settimane.