Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 28/06/2012, 28 giugno 2012
I GRANDI PAPI E LA MEMORIA ARTISTICA
Tra i documenti più preziosi esposti a Castel Sant’ Angelo nella mostra «I Papi della memoria», figura un sonetto autografo di Michelangelo, affiancato da uno schizzo in cui l’ artista fiorentino ritrae se stesso nell’ atto di dipingere la Cappella Sistina. E non lo fa sdraiato sul ponteggio, come per secoli è stato tramandato dai libri di storia dell’ arte, ma in piedi, un braccio appoggiato al fianco, l’ altro steso in alto a reggere il pennello con cui colora un pupazzo sulla volta che lo sovrasta. L’ artista, come descrive nel sonetto inviato all’ amico Giovanni da Pistoia, ha la barba alzata verso il cielo, il petto in avanti come quello di un’ arpia, il pennello che gocciolando gli forma sul viso un ricco strato di colore. «E’ lombi entrati mi son nella peccia (pancia ndr), e fo del cul per contrapeso groppa, e’ passi senza gli occhi muovo invano». Quello sguardo rivolto innaturalmente verso l’ alto nei quattro lunghi anni (1508-1512) impiegati a completare il capolavoro della volta, procurarono all’ artista vari guai di salute, come è documentato in altri fogli conservati come questo sonetto presso l’ Archivio Buonarroti di Firenze. È la prima volta che il sonetto esce dall’ archivio, anche se per la sua fragilità resterà in mostra fino al 27 settembre e non per tutta la durata dell’ esposizione che chiuderà l’ 8 dicembre. Organizzata dal Centro Europeo per il turismo presieduto da Giuseppe Lepore e curata da Mario Lolli Ghetti, la rassegna presenta un centinaio di documenti storici e capolavori d’ arte provenienti dalle raccolte vaticane e da alcuni tra i principali musei italiani. L’ intento è di raccontare come i grandi papi abbiano lasciato un segno nella città e nel mondo attraverso una politica urbanistica e culturale, che ha visto la nascita di accademie e musei, lo sviluppo dell’ archeologia e della scienza, il trionfo della religione e della musica, la creazione di grandi collezioni d’ arte. Un viaggio che parte dal primo Giubileo del 1300 e arriva all’ Anno Santo del Duemila, in tappe scandite dalle figure dei pontefici. Si comincia con Bonifacio VIII e appartengono alla sua epoca sia la croce-reliquario rubata a Velletri nel 1983 e recuperata dai Carabinieri del Comando per la tutela del patrimonio culturale, sia la preziosa pergamena con miniature, conservata a Cortona e nota come la Lettera di Silvestro, in cui il 22 febbraio 1300 (giorno in cui Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo della storia) lo scrittore pontificio magister Silvester de Adria, illustra il contenuto della bolla papale, raffigurando in colori smaglianti anche l’ elenco delle reliquie che il pellegrino giunto a Roma doveva venerare per il conseguimento delle indulgenze. Altro pezzo importante trafugato e poi recuperato (questa volta dalla Guardia di Finanza) è il busto reliquario di San Rossore, considerato un capolavoro assoluto di Donatello, che lo realizzò sotto il pontificato di Martino V Colonna. Sfilano i ritratti dei papi, da quello di Sisto IV della Rovere eseguito da Tiziano e bottega dopo la morte del pontefice a quello del bellissimo e volitivo Clemente VII Medici, considerato una prova di virtuosismo di Sebastiano del Piombo. Si attraversano la Controriforma e il trionfo del Barocco, il Classicismo arcadico, animato da personalità anticonformiste come Cristina di Svezia, e quella della Restaurazione pontificia, con la proclamazione del dogma dell’ Immacolata Concezione e dell’ infallibilità del Papa nel 1854. Si arriva, nell’ ultima sala, a un semplice sedile in polistirolo, realizzato nel 1973 da Pericle Fazzini per Paolo VI. A quel tempo lo scultore lavorava alla Resurrezione per l’ Aula Nervi in Vaticano. Gli era stata messa a disposizione, come cantiere, la piccola chiesa di San Lorenzino in Piscibus di via della Conciliazione. Qui Fazzini si era fatto scaricare enormi massi di polistirolo, che gli servivano per creare il modello della scultura e che scavava con una chiave metallica elettrificata di sua invenzione. Papa Montini arrivava spesso a vederlo lavorare. Il cantiere era scomodo, sporco, non c’ erano sedie. Il pontefice si metteva in un angolo, in piedi, in silenzio. Un giorno Fazzini agguantò un blocco di polistirolo, lo modellò in pochi minuti in forma di sedile e lo offrì a Paolo VI, che lo trovò comodissimo. Oggi è conservato al Museo di Grottammare.
Lauretta Colonnelli