Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 17/06/2012, 17 giugno 2012
IL TEVERE E I SUOI PERCORSI DI LUCE
La follia autodistruttiva dei racconti di Charles Bukowski (1920-1994) e il maestoso equilibrio dei quadri di Ettore de Conciliis. Difficile immaginare qualcosa di più distante. Eppure tra lo scrittore americano e il pittore è nata un’ intesa, addirittura un’ amicizia, protratta nel tempo e fondata sull’ apprezzamento reciproco. Lo testimonia l’ intenso carteggio. «Il tuo stile è esplosivo e mi prende fino alla fine dei nervi» scriveva Bukowski al pittore nato nel 1941 ad Avellino e trapiantato a Roma da oltre mezzo secolo. E in un’ altra lettera: «Le persone semplici sono il meglio, loro parlano con più verità. Perché non dovrebbero? Loro non hanno niente da perdere. Rimani con i tuoi contadini. Continua a mettere giù quei colori, tu sei necessario». E de Conciliis ha continuato, con la sua apparente semplicità e i suoi colori, a dipingere la natura e a cercare la bellezza, nuotando controcorrente in un’ epoca in cui l’ arte rifugge da tutto ciò che possa apparire anche vagamente armonioso. Semplicità apparente, perché in realtà i paesaggi luminosi di de Conciliis, i suoi boschi addolciti da chiazze di sole, le acque dai riflessi trasparenti, raccontano una visione del mondo intrisa di desiderio e nostalgia, il bisogno insopprimibile dell’ uomo di sognare il migliore dei mondi possibili, la necessità di riallacciare i fili con il passato, di riconciliare lo slancio vitale della natura con l’ eredità della cultura. Un discorso che l’ artista ha reso ancora più esplicito nelle opere recenti, visibili nella mostra «Percorsi del Tevere», curata da Giorgio Van Straten e aperta fino al 5 novembre presso il Museo archeologico di Ostia Antica (via dei Romagnoli 717). Intuizione felicissima, quella di mettere i quadri di de Conciliis a confronto con le statue romane. Le tele, con le placide vedute del fiume che scorre tra le sponde inondate di luce, sembrano finestre aperte sulle pareti del museo e gli antichi volti in marmo ritrovano il respiro sullo sfondo di un Tevere che miracolosamente è diventato azzurro, con riflessi rosa. «Di fronte ai quadri di Ettore - scrive Van Straten nel catalogo edito da Il Cigno - si richiede immaginazione, la capacità di ricostruire delle storie, la cui durata si misura in decenni, forse in secoli». E aggiunge che la mostra è pensata «come un nuovo invito al Grand Tour, focalizzato su Ostia, il cui eccezionale sito archeologico è penalizzato dalla vicinanza alla capitale». Sono già arrivati il violinista Ugo Ughi e il pianista persiano Ramin Bahrami, il critico Maurizio Calvesi e lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun, che ammira de Conciliis perché «avvicinandosi cautamente a quello che vede, lo dipinge con pudore, lo accarezza, lo avvolge con lo sguardo, poi lo isola e ce lo restituisce lentamente».
Lauretta Colonnelli