Gianluigi Colin, la Lettura (Corriere della Sera) 08/07/2012, 8 luglio 2012
«LA MUSICA IN FORMA DI SCULTURA»
Proprio in questi giorni, Germano Celant ha dato vita a una mostra che celebra una meravigliosa utopia: democratizzare l’arte. In fondo, è il racconto del sogno delle avanguardie del Novecento, la moltiplicazione e la diffusione collettiva delle opere: non per l’élite ma per tutti.
Chi l’avrebbe mai detto che un maestro della musica degli anni Settanta, lo storico fondatore e grande chitarrista della Premiata Forneria Marconi, ovvero Franco Mussida, proprio lui, che dell’idea stessa della diffusione di massa della musica è stato protagonista, artefice e sostenitore, ora si presenti con un’idea controcorrente, a suo modo antistorica, provocatoria, al confine tra arte e musica, installazione concettuale e performance, gioco e insieme serio progetto culturale: una musica che diventa scultura e, soprattutto, a edizione limitata. «Nessuno l’ha fatto prima, precisa. È una mia invenzione». E per chi non ci crede, aggiunge: «Con tanto di brevetto». Franco Mussida sorride, lunghi capelli bianchi che abbracciano le spalle, un’energia potente, irrefrenabile. Anche seduto su una poltroncina sembra immenso, ieratico, come perennemente illuminato dalle luci del palcoscenico, sempre pronto a cantare.
Improvvisamente si fa serio: «La mia idea è questa: il padellone». Come? Cosa? «Il padellone», ripete. Mussida estrae da uno scatolone una scultura in ceramica, colore oro. Effettivamente ricorda una grande padella. È inutile, si è incuriositi ma allo sguardo sul presente prevale la memoria. Non si può osservare Mussida senza pensare alla melodia e alle parole di Impressioni di settembre: «Quante gocce di rugiada intorno a me, cerco il sole ma non c’è. Dorme ancora la campagna o forse no, è sveglia, mi guarda non so...».
Mussida con la sua voce ferma ci porta alla realtà: «I miei Padelloni sono sculture in ceramica ricoperte in oro zecchino e platino del diametro di circa 30 centimetri. Le ho incise una per una, firmate e numerate. La forma rimanda ad un archetipo di padella. Perché padelloni? Negli anni 70 i 33 giri in vinile, li chiamavamo così, in qualche modo è un richiamo alla mia storia, ma non solo...». Franco Mussida si ferma e spiega: «Al centro dell’opera c’è un cd che contiene una mia musica. Sui manici sono incisi 12 diversi simboli, creati per visualizzare l’azione delle forze nel suono e della musica su ciascuno di noi, tra esteriorità e interiorità».
Ma quali musiche si potranno ascoltare? «I primi brani disponibili sono quelle di Scene da un Matrimonio di Bergman e dei Masnadieri di Schiller, nelle versioni teatrali dirette da Alessandro D’Alatri e Gabriele Lavia, oltre a inedite canzoni in prosa». Per Mussida, tutto questo non è qualcosa di speciale, di lontano dalla sua vita quotidiana, anzi: lo conosciamo come straordinario virtuoso della chitarra (davvero emozionanti i suoi assoli) ma c’è un volto meno conosciuto, eppure vivo, anzi vivissimo: è autore di progetti per il teatro, è un ricercatore nell’ambito della pedagogia e della comunicazione musicale, lavora con i bambini, con i carcerati, con le università. Insomma, è un uomo che intende la musica come una necessità e insegue la cultura del fare come un bisogno esistenziale, senza confini, barriere, e soprattutto pregiudizi.
Mussida è un fiume in piena: «Quello che vedete sono opere che raccontano di tempo e spazio, legate dal comune denominatore della vibrazione vitale. Cibo per il corpo e per l’anima. Sul manico sono incisi segni e formule di una iconografia fantastica del suono e dei suoi poteri. Princìpi che accendono una magia capace di scuotere e sconvolgere, far risuonare sentimenti ed emozioni, illuminare ricordi».
L’operazione di Mussida ha la volontà di porsi sul terreno tradizionale del mondo dell’arte, in cui come per i video, normalmente adatti per larghe diffusioni, sono poi destinati a pochi, prodotti in tirature limitate, come esclusive opere d’arte, appunto. In questo caso è lo stesso. L’opera non è soltanto la scultura in ceramica, il padellone, ma anche (e soprattutto) la musica, originale e diversa per ogni ciclo di opere. In qualche modo, una musica unica: «È restituire il riconoscimento di un tempo prezioso d’ascolto in un mondo in cui tutto si consuma rapidamente, con superficialità, in una realtà dove tutto si perde nel nulla».
Sembra di ascoltare la teoria di Zygmunt Bauman sul mondo liquido: l’operazione di Mussida, che verrà presentata ufficialmente in autunno, attraverso 12 performance in musei e gallerie, sembra porsi, più che come ricerca estetica (che volutamente trascura), come una ricerca concettuale: «I Padelloni parlano dell’enorme importanza che il suono ha nella nostra vita. Raccontano, anche visivamente, di relazioni di causa-effetto tra musica e temperamenti. E della metamorfosi che trasforma il suono in un tutt’uno con sentimenti ed emozioni. Come l’acqua fa con le piante, divenendo con esse un tutt’uno indivisibile, come indivisibile è il rapporto tra musicista e ascoltatore».
Franco Mussida (nato a Milano, quartiere Isola, nel 1947, «nel primo giorno di primavera», come ama precisare) è di quella pasta di uomini diretti, spontanei, che hanno conquistato ogni cosa con tenacia e una certa fatica. Sicuramente uno spirito libero. Da sempre. Non a caso, impara a suonare la chitarra da solo, a 9 anni, di nascosto, copiando i gesti e la passione del padre. Comincia lì, come fosse un grande sogno americano, la sua carriera di musicista tra studi autodidatti e scuole di chitarra classica. Sino al successo: ai concerti della Premiata Forneria Marconi, nata nel 1971, dopo le collaborazioni per le registrazioni con Fabrizio De André, Lucio Battisti, Paolo Conte, Adriano Celentano. E poi la passione per l’insegnamento (ha tenuto corsi in diverse università) sino a fondare nel 1984 una sua scuola dove tra l’altro esplora la musica come linguaggio non verbale, anche strumento di terapia. E poi negli ultimi anni, di nuovo i concerti: Nanda Pivano scrive per lui e la Pfm una canzone, duetta con Franco Battiato, lo splendido omaggio in ricordo di De André.
«Questo nuovo lavoro non nasce solo dalla testa, è la conseguenza di una visione che ha avvicinato la figura del musicista a quella del contadino. Entrambi al lavoro con la vibrazione vitale. Nella quotidianità la musica è una. Sempre. Un fenomeno che ci consente una comunicazione istintiva, facile. Non c’è bisogno delle dimostrazioni di Keplero e della sua Harmonices Mundi per capire che ciò che vibra e vive, pervade ogni cosa. Basta porre un po’ d’attenzione per vedere come agiscono le forze del suono su di noi, sui nostri umori, per capire che siamo di fronte a un mistero. Un mistero che si ripete in ogni forma di musica, anche in quella definita popolare. La musica è cosa troppo preziosa per essere considerata e sfruttata solo come spettacolo e intrattenimento».
Mussida parla sottovoce, come dovesse confessare qualcosa di privato: «Per tanti anni ho suonato aggrappandomi all’istinto. Ma cresceva in me la sensazione di essere clandestino in un territorio di cui sapevo poco o nulla, di essere un burattino. Mi sentivo un "ladro", ma non di composizioni altrui, "ladro" di materia primaria, di suono che sgorgava da chissà quale sorgente invisibile, e quindi un "usurpatore". Per uscire da quella situazione mi sono affidato solo alla musica. Ho chiesto aiuto alla musica, nient’altro. Così, oggi, ho riassunto tutto in un’immagine-scultura che mi rappresenta intimamente, non solo come musicista. Prende nome e sostanza da un detto ironico e popolare, come popolare è l’oggetto rappresentato nell’opera: una semplice padella per cuocere e cucinare».
Franco Mussida, si alza, prende la sua opera tra le braccia, la accarezza e sorride soddisfatto, quasi fosse una creatura viva. Poi guarda dritto negli occhi e intona modulando la voce, i versi di una delle sue più belle canzoni: «Cosa sono adesso non lo so, sono solo un uomo in cerca di se stesso...».
Gianluigi Colin