Aldo Grasso, Corriere della Sera 08/07/2012, 8 luglio 2012
LA LITURGIA (TRISTE) DEL PREMIO STREGA
«Piperno più che per la gioia di aver vinto, si è scolato un quarto di bottiglia perché l’aspettava l’intervista a Marzullo». Così un nostro forumista, così noi. Avessimo avuto di fianco una bottiglia di cordiale, ce la saremmo scolata per la disperazione provocata dal Premio Strega (Rai1, giovedì, ore 23.40). Nonostante la Rai pensi che la cultura in tv si manifesti solo con la presentazione dei libri (dei loro autori), i premi letterari le sono estranei. Alla fine, risultano sempre cerimonie miserevoli, disorganizzate, prive di un qualsiasi filo narrativo: un conduttore che mette tristezza (Luca Salerno), una conduttrice che legge brani di libri con l’aria di chi non sa bene cosa sta leggendo (Francesca Fialdini), il fantasma della banalità che incombe come un corvo sui finalisti (Gigi Marzullo).
Siamo ancora a Gigi Marzullo, e questo la dice lunga sulla vocazione al ridicolo di certi dirigenti di Viale Mazzini. Se un premio che si basa sulla noiosissima liturgia dello spoglio non cerca di dotarsi di un format è inevitabilmente destinato al naufragio. E dire che il Ninfeo di Villa Giulia di occasioni ne offrirebbe: il trionfo del generone romano, i clan degli editori che si guatano tra maldicenze e gossip, l’assalto al buffet. Quest’anno poi è successo l’incredibile: gli sconfitti hanno reagito malissimo, con insulti e malignità, qualcuno ha dato sfogo alla propria frustrazione vomitando fiele contro Piperno, il vincitore. Lontani i tempi in cui Peppo Pontiggia perdeva per un punto e si dimostrava gran signore! Ecco, se la tv fosse stata in grado di riprendere le reazioni scomposte dello Strega ci avrebbe regalato la rappresentazione di una grande, inscalfibile verità: quando gli intellettuali decidono di dare il peggio di sé lo fanno con una serietà, con un impegno, con un’arroganza che altre categorie (che so, contadini, carpentieri, braccianti) non possono permettersi. Mettono in mostra un repertorio di insulti che nessuno possiede.
Aldo Grasso