Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 08/07/2012, 8 luglio 2012
BANCHE E FINANZA LE RETICENZE ITALIANE - A
Londra, dopo lo scandalo del Libor, si riparla del Glass Steagall Act, la legge Usa degli Anni 30 che proibì alle banche commerciali di fare finanza e alle banche d’investimento di raccogliere depositi. La riformetta della commissione Vickers (attribuzione delle attività creditizie e finanziarie a banche distinte, ma sotto un’unica holding) pare insufficiente. Non sarebbe meglio un taglio netto, con banche specializzate e proprietà diverse, le commerciali con garanzia pubbliche, le altre senza?
In Italia, si preferisce tacere. Certo, non abbiamo avuto gli stessi problemi. La sbornia dei derivati e la corsa alle partecipazioni sono arrivate anche qui e i banchieri nostrani si sono dati stock option e liquidazioni d’oro a imitazione dei colleghi foresti, ma i peccati peggiori — merito della Banca d’Italia e della tradizione — sono stati evitati. E tuttavia possiamo dire che le grandi banche italiane abbiano fatto un buon uso delle facoltà loro attribuite dal Testo unico del 1993, che superava la legge bancaria del 1936, ricalcata sul Glass Steagall Act? Prima del ’93, il credito finanziario e i grandi affari erano riservati a Mediobanca. L’Imi gestiva il credito industriale. A lato c’era la Comit. Dopo, tutti hanno potuto fare tutto. Utili, dividendi, potere. Non necessariamente nell’ordine. Ma quanti errori! Quanta cieca avidità! Nel 1999 Mediobanca sostenne l’Opa della Olivetti colaninniana su Telecom Italia, che arricchì gli azionisti e le banche e impoverì la filiera aziendale. Le altre banche fecero corona. Nel 2001, contro Mediobanca, Unicredit e Intesa finanziarono l’acquisizione di Telecom a opera di Pirelli, che assai remunerò gli scalatori di due anni prima e impoverì ulteriormente l’azienda.
Nello stesso periodo, Unicredit, Capitalia e Intesa favorirono la scalata Fiat a Montedison. Volevano soffiare il controllo di Foro Bonaparte agli gnomi di piazzetta Cuccia e aiutare gli Agnelli a diversificare, nel presupposto che Fiat Auto andasse all’americana Gm. Triplo errore: Detroit era sull’orlo del crac tanto quanto Torino; l’Italia senza auto sarebbe stata più debole e le banche avrebbero perso clienti; la Montedison targata Fiat sarebbe durata il tempo necessario a esser rivenduta ai francesi di Edf. Mediobanca, a sua volta, sfilò Fondiaria da Montedison e la girò ai Ligresti perché la usassero a protezione dei suoi propri assetti di potere. Chi fossero i Ligresti era noto anche allora. E poi? Poi, Intesa Sanpaolo, divenuta banca di sistema, organizza la cordata tricolore per Alitalia, dando fiato all’improvvisato nazionalismo di Berlusconi. Curioso: Edison, che poteva restare italiana e privata, viene consegnata a un’azienda di Stato francese; Alitalia, che conveniva cedere ad Air France, viene trattenuta senza un futuro a spese dello Stato.
La Mediobanca di Cuccia, sacrario del Vecchio, esercitava poteri discutibili, ma sapeva dire di no, talvolta sbagliando, a Giovanni Agnelli e Leopoldo Pirelli. Le banche post 1993, ambasciatrici del Nuovo, non hanno ancora licenziato né commissariato nessun padrone. Forse, ripensare la storia del potere alla luce dei risultati aiuterebbe a ragionare meglio delle regole.
Massimo Mucchetti