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 2012  luglio 08 Domenica calendario

ALLE 16.13 LA DOMENICA E’ FINITA. SI PENSA GIA’ AL RITORNO IN UFFICIO

D’ora in poi cercate di non farvi cogliere di sorpresa dal momento più triste della settimana. Prendetelo in contropiede, anticipatelo, stroncatelo sul nascere, alle sue prime avvisaglie, come fosse un’emicrania incipiente. È quello che un sondaggio britannico ha definito il «Sunday Blues», cioè la malinconia della domenica, che cadrebbe attorno alle 16 e 13, minuto più minuto meno (fuso orario a parte), quando l’ombra del lunedì comincia a offuscare l’eventuale buonumore e le partite di campionato (almeno in Italia) si avviano al termine, posticipo escluso.
Non proprio la maggioranza, ma quasi — il 41 per cento dei duemila intervistati — confessa che è nel pieno pomeriggio del giorno festivo, dopo il Fernet o il Montenegro e prima della siesta da divano, che l’ansia del lavoro e della settimana in arrivo tocca il culmine. E non sarà forse un caso che a promuovere il sondaggio sia stata una catena alberghiera, la Premier Inn, perché non è escluso che a quella fase di cattivi presagi contribuisca anche la digestione avanzata: per gli inglesi l’arrosto di tacchino o di agnello, per gli italiani indubbiamente il ragù o la lasagna che si ostinano a pesare sullo stomaco.
Che la domenica fosse la giornata più favorevole allo spleen, del resto, pur non precisandone l’ora esatta, lo disse a suo tempo Giacomo Leopardi in tre versi memorabili: «Diman tristezza e noia / recheran l’ore, ed al travaglio usato / ciascun in suo pensier farà ritorno». Un senso di insoddisfazione per il weekend che va concludendosi e di vago turbamento per le giornate che ci aspettano. Peggio per quel 75 per cento che confessa di passare il «dì di festa» in pigiama o in tuta, senza mettere fuori il naso di casa; peggio per quel 46 per cento che dichiara di non incontrare anima viva se non quelle (anime morte?) dei familiari. Per la verità, il poeta vedeva già una minaccia nel giorno di vigilia, tant’è vero che dedicò il suo famoso idillio al sabato (del villaggio), metafora della giovinezza, che non riesce a cogliere i vantaggi della «stagion lieta».
Ora sappiamo che la «stagion lieta» del weekend ha un preciso orario di scadenza. Il sondaggio inglese non si limita purtroppo a elencare le percentuali dello scontento, compreso il 44 per cento che invidia i colleghi se il lunedì mattina si intrattengono a raccontare quanto si sono divertiti nel fine settimana. L’inchiesta azzarda anche qualche consiglio, tra cui il più banale e insieme il più discutibile: «pianificare in anticipo cosa fare durante la domenica, così da renderla più interessante e meno noiosa». Magari un pranzo prolungato con gli amici o una gita pomeridiana fuori porta, giusto per aggirare quelle 16 e 13 tanto moleste: fingendo di ignorare che non si fa altro che «pianificare» ogni santa ora di ogni santo giorno della settimana.
Il fatto è che di questi tempi, a essere onesti, la leggera débâcle interiore delle 16 e 13 domenicali finisce per configurarsi come un privilegio di quelli che il lunedì hanno un’attività sicura, mentre per gli altri (privi di «travaglio usato») sono sempre — minuto più minuto meno — le 16 e 13: dal lunedì mattina al lunedì mattina, tutte «domeniche del villaggio». E alla fine, coloro che considerano la domenica la giornata più «noiosa» della settimana potrebbero rimediare ricorrendo sempre a Leopardi, che nei momenti di pessimismo definiva la noia «il desiderio puro della felicità non soddisfatto dal piacere, e non offeso apertamente dal dispiacere». Ma nelle (rare) accensioni di ottimismo la considerava «il più sublime dei sentimenti umani». Invitando implicitamente i posteri ad affrontare con uno slancio di riconoscenza l’intero «dì di festa», pre e post lasagna e/o arrosto.
Paolo Di Stefano