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 2012  luglio 08 Domenica calendario

BRIGATE RIBELLI, MILIZIE VERDI E TRIBU’ DEL DESERTO. GLI 80MILA CHE NON HANNO DEPOSTO LE ARMI —

Per comprendere come funzionano in pratica le milizie in Libia raccontiamo un episodio avvenuto pochi giorni fa al posto di blocco occidentale di Misurata, sulla provinciale che porta alla capitale. Uomini armati di mitra, alcuni in civile, ma la maggioranza con le mimetiche rubate dagli arsenali dell’ex regime, controllano i documenti al riparo di giganteschi container disposti in mezzo alla strada.
Il collaboratore libico del Corriere si chiama Kahiri Abdusalam, ha 32 anni e risiede a Tripoli. A lui si rivolgono in modo brusco i miliziani della qatiba (la brigata) locale, dopo aver controllato la sua carta d’identità. «Il tuo nome corrisponde a quello di un militante pro Gheddafi che stiamo cercando. Sei agli arresti per accertamenti», gli dicono senza mezze parole. Siamo nel centro del Paese, ma questi uomini si comportano come se fossero di guardia a un confine internazionale.
Kahiri sarebbe subito rinchiuso in una piccola cella in prossimità del posto di blocco se non si accorgessero della presenza di uno straniero. «Non si sta male. Tempo una settimana e sei fuori», aggiungono con un mezzo sorriso. Non serve dire loro che sarebbe meglio chiarire con le autorità di Tripoli. «Noi siamo indipendenti. I nostri comandi sono a Misurata», replicano. Ci vorranno un paio d’ore e l’intervento di un colonnello del posto particolarmente sensibile ai media stranieri per convincerli a farci ripartire.
Ma la vicenda è indicativa. Il Paese resta diviso tra centinaia di milizie autonome che in maggioranza ancora rifiutano di disarmare. È l’anarchia della forza. Si parla di circa 80 mila armati divisi soprattutto tra Zintan (sino a 20.000 miliziani), Misurata (15.000), Bengasi (30.000), oltre a diverse migliaia attivi nelle zone pro Gheddafi di Sirte e le tribù del deserto, specie attorno alla cittadina di Kufra. Nel solo carcere di Misurata pare siano chiuse oltre 3 mila persone accusate di avere collaborato in vario modo con l’ex dittatura. In tutto il Paese potrebbero essere quasi 20 mila, molte rinchiusi in celle improvvisate. La loro sorte è incerta.
In molti casi non è stato ancora formulato un ordine di cattura con imputazioni precise, sono segnalati episodi di tortura. A Zintan tengono ben stretto Saif Al Islam, il figlio più politico di Gheddafi, nonostante il governo transitorio ne abbia chiesto il processo a Tripoli. A Bengasi e in generale nella Cirenaica «verde» sono acquartierate le milizie più legate al fronte del fondamentalismo islamico. Tra loro si contano decine di ex militanti della «guerra santa» in Afghanistan e Iraq. Solo poche settimane fa una trentina di pick-up con le bandiere nere e verdi di Al Qaeda provenienti da Darna e Bayda hanno fatto irruzione a Bengasi minacciando di morte chiunque intendesse andare alle urne. Gli abitanti di Sirte hanno denunciato ieri la presenza di tre milizie in guerra tra loro. Più attivi i «comitati islamici» di Misurata decisi ad eliminare gli Abu-Helgha ancora pro-Gheddafi.
L. Cr.