Arturo Zampaglione, Affari & Finanza, La Repubblica 9/7/2012, 9 luglio 2012
JP MORGAN L’AIUTO OCCULTO DELLO STATO
Da quando è uscito il best-seller del giornalista del “New York Times” AndrewRossSorkin,la cui vicenda Curtis Hanson ha poi portato la storia sugli schermi (“Il crollo dei giganti!), l’espressione “Too big to fail”, Troppo grande per fallire è al centro di polemiche tra executives, economisti e politici. La settimana scorsa nove delle maggiori banche americane hanno presentato, ai sensi della legge Dodd-Frank di riforma del sistema finanziario, una sorta di testamento sulle procedure da adottare se fossero ferite a morte. Il succo? “Possiamo chiudere ordinatamente i battenti senza creare contraccolpi sistemici che richiedano l’intervento dello stato e quindi dei contribuenti”, hanno fatto capire JPMorganChase, Goldman Sachs e gli altri istituti, sperando in questo modo di allontanare i rischi di misure preventive da parte del governo. Ma è veramente così? E’ ipotizzabile che, senza batter ciglio, il Congresso e la Casa Bianca facciano fallire una Bank of America con i suoi 280mila dipendenti e 57milioni di clienti? Certo, George W. Bush e l’allora ministro del tesoro Henry Paulson non bloccarono l’implosione della Lehman Brothers nel settembre 2008. Ma al di là di quell’episodio, che poi scatenò la tempesta, “i mercati sono convinti – dichiara Richard Fisher, presidente della sede di Dallas della Federal Reserve – che le maggiori banche non saranno abbandonate al loro destino”. Fisher spiega che questa convinzione si traduce in
costi di indebitamento più bassi per quelle banche, e quindi in una forma invisibile di sussidio pubblico. A rafforzare questa tesi è anche uno studio presentato alla business school della New York University da due ricercatori tedeschi, Frederic Schweikhard e Zoe Tsesmelidakis. I quali, seguendo il modello messo a punto dal premio Nobel Robert Merton, hanno quantificato il beneficio ottenuto dalle maggiori banche per effetto del “too big to fail”. Le cifre sono capogiro. Tra il 2007 e il 2010 queste roccaforti finanziarie hanno risparmiato 120 miliardi di dollari. Il vantaggio per il solo Citigroup è stato di 50 miliardi. Ma anche quella che fino a due mesi fa era considerata la banca più sana d’America – cioè la JPMorganChase – ha evitato di spendere una decina di miliardi in più grazie alle garanzie di un presumibile passo del governo in caso di crisi. Un risparmio, questo della JPMorgan, subito evidenziato da “Business week”: che lo ha messo in relazione con le recenti perdite per speculazioni avventate sui prodotti derivati, salite a 9 miliardi di dollari. “I soldi dei contribuenti non sono mai stati in pericolo”, aveva assicurato il ceo Dimon per smorzare le polemiche. Sì, il Tesoro non ha salvato la banca newyorkese come aveva dovuto fare nel 2008 per tanti istituti, mettendo sul piatto 750 miliardi di dollari. Ma la JPMorgancontinua pur sempre a ottenere una garanzia del governo, forse impalpabile, ma effettiva. a.zampaglione@repubblica.it