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 2012  luglio 09 Lunedì calendario

MARCELLA PANUCCI LA NUOVA CONFINDUSTRIA AFFIDATA ALLA MANAGER “DELLA PORTA ACCANTO”


Questa mattina alle nove Marcella Panucci varcherà per la prima volta da direttore generale il portone di Viale dell’Astronomia. È la prima donna ad assumere il comando della macchina di quella che è stata una delle più potenti lobby nazionali e che ora combatte per non perdere ulteriore terreno e farsi travolgere dalla slavina della Grande Crisi. Donna, dunque, e quarantenne, età nella quale nel mondo si è ritenuti in grado di guidare i governi ma che dai noi, nel paese della gerontocrazia, è ancora considerata una fase della interminabile gioventù. Donna di potere, da oggi. L’ha scelta Giorgio Squinzi. Ed è la prima scelta netta del nuovo presidente della Confindustria. Scelta che ha già fatto discutere e anche storcere il naso ai “mandarini” confindustriali che, coerenti con lo spirito nazionale, invocano il merito e il cambiamento per tutti gli altri tranne che per sé. Scelta comunque da interpretare. Di certo una scelta di discontinuità. Perché Marcella Panucci non è un manager politicamente sensibile come potevano esserlo Innocenzo Cipolletta o Stefano Parisi, in due stagioni recenti ma diverse della Confindustria. E non ha nemmeno la rete fittissima di relazioni che poteva vantare Maurizio Beretta, attualmente double face un po’ presidente della Lega calcio un po’ capo delle relazioni esterne di Unicredit, o l’ambasciatore Giampiero Massolo se avesse lasciato la Farnesina per approdare tra gli industriali come avrebbe
voluto Emma Marcegaglia prima di optare per l’economista liberal, formatosi in Banca d’Italia, Giampaolo Galli. No, la Panucci ha vissuto lungamente al riparo della ribalta, tra le stanze della Confindustria, dove ha svolto tutta la sua carriera a parte qualche breve parentesi (come quella ultima che l’ha portata a capo della segreteria tecnica del ministro della Giustizia, Paola Severino) e le aule dell’Università Luiss, dove si è laureata e dove ha proseguito la sua attività di ricerca. Marcella Panucci è la donna di potere della porta accanto. Forse un non sense. O forse segno dei nuovi tempi. È calabrese, nata a Vibo Valentia il 23 gennaio del 1971. La madre insegnante, il papà dipendente pubblico, compagno di scuola di Giuseppe Bono da un decennio amministratore delegato della Fincantieri. L’unico legame indiretto con il potere che si riesce a trovare nel suo curriculum. Liceo a Vibo, e poi l’università a Roma alla Guido Carli. Corso in giurisprudenza, laurea con lode in Diritto commerciale (tesi su “L’acquisizione di partecipazioni e la normativa antritrust”). Compagna di corso Rossella Sensi, già presidente della Roma e ora assessore della sconquassata Giunta capitolina di Gianni Alemanno. Ma tra le due nessuna amicizia. La Panucci non ama il calcio e lo sport in generale. La Panucci è una prima della classe. Oggi è sposata con un consulente nel settore della sanità e ha due figlie. Entra in Confindustria nel 1995. È la Confindustria di Luigi Abete e Innocenzo Cipolletta che ha concertato sulla politica dei redditi con Carlo Azeglio Ciampi ma non con Lamberto Dini sulle pensioni. Panucci viene assunta nell’area finanza e diritto di impresa. Tre anni dopo viene mandata a Bruxelles, distaccata presso la Commissione. Nel 2005 diventa direttore del nucleo affari legali e diritto di impresa di Viale dell’Astronomia; nel 2009 direttore dell’area affari legislativi. Esperta di diritto commerciale e di semplificazione amministrativa. Anche per questo, o forse, soprattutto per questo l’ha scelta Giorgio Squinzi che considera la riforma della burocrazia il perno sul quale costruire un nuovo rapporto tra Stato e imprese. Squinzi e Panucci si sono conosciuti molti anni fa in Confindustria. C’è chi dice che a scegliere la Panucci sia stato il consigliere personale di Squinzi, quel Francesco Fiori di Voghera, già assessore regionale lombardo e poi europarlamentare di Forza Italia, infine, dopo una trombatura alle ultime europee, responsabile delle relazioni istituzionali della Mapei, con un legame assai stretto con Marcello Dell’Utri. Fiori è considerato il vero braccio destro di Squinzi. Ed è presenza già ingombrante per gli undici vice presidenti della squadra di vertice. Le “strane” uscite di Squinzi sulla riforma del mercato del lavoro («è una boiata»), che tanto è piaciuta al pidiellino Angelino Alfano, o sul rapporto Monti-Merkel («Monti saprà convincere la Cancelliera perché conosce il tedesco»), censurata con stile molto british dal premier («mi sono imposto una moderazione interpretativa»), potrebbero essere state consigliate proprio da Fiori. Il quale - è tesi diffusa in Confindustria - potrebbe aver pensato a una separazione dei ruoli: alla Panucci la macchina interna da riorganizzare, snellire, sburocratizzare; a Squinzi la rappresentanza generale esterna in esclusiva. E Fiori a fare da spin doctor incontrastato. È una lettura che fa perno sulla mancanza di rete interna (nessuno dei potenti direttori delle territoriali la conosce) e esterna della tecnocrate Panucci. Un modo - dicono - per controllare sul piano politico Confindustria. Che sta costruendo un rapporto stop and go con l’attuale governo Monti (basti pensare che alla vigilia dell’ultimo delicato Consiglio europeo Confindustria ha detto che il pareggio di bilancio sarebbe slittato anche a causa della politica economica restrittiva, per poi dire che il Prof va sostenuto) e che dovrà affrontare la prossima fase (campagna elettorale e nuovo esecutivo) nella quale predomineranno le incertezze più che i punti saldi. Meglio allora non avere potenziali concorrenti nel rapporto con la politica, con quella che già c’è e con quella che verrà. Sono dietrologie, come sempre tutte da verificare. Non è in ogni caso la politica (e nemmeno il sindacato) il terreno di azione della Panucci. Le sue simpatie non l’ha mai svelate. Nessuno di coloro che ha lavorato fianco a fianco saprebbe dire come la pensa con certezza. Una liberal? Forse sì, soprattutto per l’enfasi con cui parla dello spirito libero che trovò, giovane, in Confindustria. Liberal, ma non di sinistra. Forse. Pure l’approdo al ministero di Via Arenula con la Severino è stato dovuto al legame con l’Università. Lì si sono incontrate e per questo la Severino l’ha chiamata. Anche qui la politica, per quanto nella sua versione tecnica, non c’entra e nemmeno i tanti poteri forti dei quali la Severino è stata avvocato, da Francesco Gaetano Caltagirone a Cesare Geronzi fino a Gaetano Gifuni. E se provi a chiedere ai più giovani dirigenti della Confindustria, non a quelli che si sono sentiti scavalcati da una “giovane” donna, qualcosa sulla Panucci ti dicono pur off the record - «che è bravissima », «una fuoriclasse nelle sue materie ». «Una che si presentava alla riunioni preparatissima sui dossier ». Una tosta che ama il rock degli anni Settanta e Ottanta, quello di Bruce Springsteen, dei Pink Floyd, degli U2, dei Led Zeppelin; che si tuffa nella narrativa e non nella saggistica perché la lettura deve essere evasione e che per rilassarsi la domenica pomeriggio va in libreria con la famiglia e che, infine, in cucina dice di cavarsela sufficientemente. Ora c’è da capire se è questo il profilo che serviva a una Confindustria che deve cambiare e riorganizzarsi, perché la crisi sta cambiando la morfologia del capitalismo italiano. La Fiat se n’è andata non solo per le bizze di Sergio Marchionne. I piccoli non reggono più i costi dell’adesione tanto che i morosi stanno aumentando. Certo che un rinnovamento generazionale è indispensabile a una associazione nella quale a disputarsi l’ultima presidenza sono stati due grandi imprenditori sì (Squinzi e Alberto Bombassei) ma in età da pensione anche. Ed è certo pure che servono gli scossoni per rompere le resistenze. Ma il punto è che finora è il presidente Giorgio Squinzi a non aver convinto. Squinzi ha scelto il low profile, sta restringendo i confini confindustriali all’interno del recinto di un sindacato dei padroni, più che alle alleanze con la politica pensa al dialogo minimale con Cgil, Cisl e Uil. Per uscire dalla crisi, invece, c’è bisogno di idee e di progetti anche da parte della classe dirigente. E allora c’è da domandarsi: nella stagione dei tecnici, sarà una tecnica a salvare Confindustria?