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 2012  luglio 08 Domenica calendario

MAGNUM ITALIA


Quando il papa in persona sconsiglia di prendere i voti, che farà il novizio? «Alex, non farlo», disse una sera Henri Cartier-Bresson all’orecchio di Alex Majoli, «sei ancora in tempo... Non entrare in Magnum... Non sai cosa t’aspetta...». Ma Alex se lo sognava la notte, da quando aveva quindici anni, di vedersi aprire le porte del paradiso dei fotografi. «Lo interpretai come il suo modo di darmi il benvenuto», e la mattina dopo prese i voti, i voti dei cardinali del conclave fotografico più famoso del mondo. Era il 2001, e aveva solo trent’anni. Ma il novantenne fondatore aveva ragione. Alex non sapeva cosa lo aspettava. Ossia diventarne, dieci anni dopo, il presidente, di Magnum, la creatura di Cartier-Bresson, Capa, Seymour, Rodger, i quattro cavalieri di Daguerre i cui ritratti vengono religiosamente posati su altrettante sedie vuote ad ogni assemblea generale della cooperativa. È forse il presidente più giovane, di certo il primo presidente italiano. Eletto un
anno fa, riconfermato lunedì scorso dal meeting dei soci, convocato ad Arles. Magnum affida sessantacinque anni di storia a questo romagnolo con la coda di cavallo bionda, l’orecchino, la faccia da ragazzino che fa dubitare dei suoi quarantun anni e un portfolio di reportage che fa impressione. Ma non è solo grazie a lui che oggi la vecchia signora della fotografia mondiale parla italiano. Italiana è anche Lorenza Bravetta, torinese, a capo dell’ufficio per l’Europa continentale. Italiano, con bisnonno greco, è Giorgio Psacharopulo, direttore generale. E da lunedì c’è un italiano, Paolo Pellegrin, anche nel board di cinque fotografi che affianca il presidente. Tutti fra i trentacinque e i quarant’anni, tutti arrivati ai vertici nell’ultimo anno. «The Italian mafia», scherzano i colleghi. Una rivoluzione geopolitica, se si pensa che per i primi quarant’anni Magnum non aveva mai ammesso un solo fotografo italiano fra i soci. Sarà un segno di salute, se Magnum
goes Italian,
o di crisi, o di rilancio? Negli uffici di rue Hegésippe Moreau, a due passi dal cimitero di Montmartre, gli italiani di Magnum si schermiscono: «È solo una coincidenza».
Lorenza, del resto, è qui da quindici anni e ha cominciato dalla gavetta, stagista e anche centralinista. Prima di lei c’era, e c’è ancora, Enrico Mochi: cominciò stampando in camera oscura i negativi di Salgado, adesso guida la camera chiara elettronica che entro l’estate finirà di digitalizzare il mezzo milione e passa di immagini dell’archivio Magnum, comprese quelle che hanno fatto la storia della fotografia. Curioso: alle pareti di questa ex fabbrica di lingerie, tre piani di mattoni rossi trapanati da una scala a chiocciola di vetro che sembra un enorme teleobiettivo, le foto celebri non ci sono, quelle appese sembrano scelte per gusto personale dei titolari della scrivania sottostante. Del resto questa non è una sala mostre ma un quartier generale operativo con venticinque persone di staff.
Un caso, la Magnum degli italiani? «Forse», concede Lorenza, «ha pesato il fatto che quello italiano sia diventato il terzo mercato di Magnum ». È vero, conferma da Roma Roberto Koch di Contrasto, che distribuisce le immagini Magnum in Italia,maluihaun’altraspiegazione: «La fotografia italiana di reportage è cresciuta, i nostri giovani fotografi vincono premi, pubblicano su grandi testate, è finita un’era di subalternità e questo viene riconosciuto».
Immeritata, la subalternità. Grandi fotografi l’Italia ne ha avuti. Ma Magnum era nata, nel ’47 (al ristorante del MoMa, attorno a una bottiglia
magnumdi
champagne), come una specie di Yalta della fotografia, un asse di reporter francesi, inglesi, americani, lo sguardo umanista dei vincitori morali della guerra; e l’Italia l’aveva persa, la guerra. Solo che quel modello “nordatlantico” restò saldo per decenni. Fu Ferdinando Scianna il primo italiano che lo “bucò”, nell’89, invitato da un Cartier-Bresson sedotto dalle sue foto siciliane. Prima di lui, altri italiani erano giunti fin sulla soglia di Magnum: la candidatura di Romano Cagnoni sfumò forse per qualche veto; Gianni Berengo Gardin, invitato da Elliott Erwitt, declinò dopo molte esitazioni; mentre Mario De Biasi, l’«italiano pazzo » della rivolta d’Ungheria, era sotto contratto di
Epoca.
Scianna fu così il primo italiano a scalare il cursus honorum quasi massonico (da contributore a socio effettivo, con garanti e votazioni a ogni grado) di quell’anarchia funzionante che è sempre stata questa orchestra di solisti gelosi e bizzosi, una congrega di nemici fraterni che si riabbracciano commossi una volta all’anno, e mezz’ora dopo magari si tirano addosso le sedie (è successo anche questo).
Magnum è la più longeva agenzia di fotografi al mondo, difficile dire come ci sia riuscita. Crisi finanziarie hanno rischiato di schiantarla fin dai tempi in cui Bob Capa colmava le voragini di cassa della cooperativa scommettendo sui cavalli. Adesso ci pensa con metodi più
professionali Psacharopulo, primo vero manager nella storia di Magnum. Lo ha imposto Majoli, appena nominato: «Noi sappiamo fare le foto ma non i conti». Infatti i conti due anni fa erano così spaventosi che sembrava giunta l’ora fatale. Fu in una tesissima assemblea a New York che i “giovani» e “periferici”, guidati dal nordico Bendiksen e dal mediterraneo Majoli, presero il timone, quasi un golpe. Ma Psacharopulo, bocconiano con una segreta passione per l’arte, uno che si è fatto le ossa nelle grandi banche americane, ha dovuto sudare per sedare i dubbi dei “grandi vecchi”. «I pittori del Rinascimento erano manager, non capisco perché il creativo debba essere anticommerciale ». Quanto alla giovane età, «quando Capa saltò su una mina in Indocina aveva un anno meno di me. Magnum nacque giovane e innovatrice e lo è di nuovo».
La rivoluzione di Magnum, insomma, è più concettuale che anagraficogeografica. «Il mercato è cambiato, o cambiamo o si muore», insiste Majoli, «c’era da togliere un po’ di polvere e, qualche assopimento sugli allori». Si cita spesso, qui, il saggio Abbas: «Il nostro maggior nemico è la mediocrità». «Magnum nacque per imporsi al mercato e non per subirlo», Giorgio rassicura ancora, «è una comunità di pensiero e non una merce, e io tratto Magnum con enorme rispetto per i suoi valori, come farei, che so, con Greenpeace». La briscola si chiama M3, la terza via di Magnum dopo la produzione di reportage e la gestione dei diritti d’archivio: un in-
sieme di fortissima proiezione sul Web, proposta di prodotti complessi e integrati (reportage, ricerca, editoria, mostre, internet) e rapporto diretto con i lettori attraverso i social network, «abbiamo 600mila follower tra Facebook e Twitter. Se il primo web, con l’inflazione delle immagini a disposizione di tutti, ci ha quasi ammazzato, il web 2.0 ci sta resuscitando». Sintomo di vitalità: in pochi anni la quota di fatturato prodotta dal nobilissimo archivio storico è scesa da oltre metà al 35 per cento, rimpiazzata
dalle nuove produzioni. Negli uffici di Magnum ora «si respira un’aria di stabilità efficiente. Altre agenzie nate per“rinnovareilmodelloMagnum”sono scomparse, noi ci siamo ancora», rivendica con mite orgoglio Lorenza: «Il contrasto generazionale che alcuni non sopportavano ci ha tenuto vivi, è come il legame fra nonni e nipoti. Eve Arnold, novantenne, ha partecipato fino all’ultimo e i ragazzi la adoravano. Siamo vivi perché abbiamo grandi radici
e rami robusti».
I grandi vecchi, Erwitt, Koudelka, la generazione di mezzo dei Peress, degli Abbas, lasciano fare. Si fidano di Alex, che si sente «un ponte fra le nostre diverse anime». E qui, che si tratti di un italiano non è indifferente: «Sono una specie di Svizzera neutrale, placo le gelosie tra fotografi di diverso passaporto, tra le nostre quattro sedi di Londra, New York, Parigi e Tokyo». Solo a lui lasciano dire che «bisogna sdrammatizzare il mito della “foto Magnum” stile Leicabianconero- istante decisivo», solo a lui lasciano proporre, ogni giorno, sul sito, una foto «che non è la foto indiscutibile, eterna, da incorniciare, ma è parte di un racconto aperto, interrogativo». Se vuoi farlo infuriare, riportagli le critiche su Magnum relitto del passato... «Ho appena portato in Magnum tre ragazzi », insorge, «Bieke Depoorter che ha solo ventitré anni, Jérome Sessini, Zoe Strauss che è un’artista d’avanguardia... Magnum è anche questo, oggi».
Certo, la sfida resta paurosa. Due giganti, Getty e Corbis, fanno incetta di agenzie naufragate, inglobano archivi smisurati, puntano al monopolio. Dall’altro capo del mercato, la fotografia ubiqua dei fotocellulari vanifica quel «diaframma f:8, ed essere lì» che era una volta il primo comandamento dei professionisti. «Non possiamo fare tutto né essere dappertutto», ammette Psacharopulo, «eppure Magnum c’è. Giocheremo sulla eccellente scarsità: fare poche cose, giuste, e farle benissimo. Siamo una goccia nel mare, ma una goccia scintillante».