Fosca Bincher, Libero 8/7/2012, 8 luglio 2012
SENZA SILVIO IL «FATTO» NON TIRA PIÙ
La data è di quelle da ricordare: 13 febbraio 2012. È stato quel giorno che Giorgio Poidomani, all’epoca presidente del consiglio di amministrazione del Fatto quotidiano ha preso carta e penna e chiesto al governo di Mario Monti il suo primo finanziamento pubblico ammesso dai diretti interessati: 162 mila euro. L’opportunità è arrivata da una legge del governo di Silvio Berlusconi, la n. 220 del 13 dicembre 2010 (art. 1, comma 40), che riconosceva a domanda delle imprese editoriali interessate un credito di imposta del 10% sulla carta acquistata e utilizzata. In teoria un finanziamento diretto a tutti. In pratica no: perché in tempi di crisi il plafond a disposizione non basta per tutti, quindi ottiene i soldi solo chi arriva prima degli altri. Il Fatto quotidiano non ha perso tempo, ed è stato fra i primi a fare domanda, anche se in attesa della risposta non ha inserito prudentemente l’importo del finanziamento pubblico in bilancio. La prima volta però non si scorda mai. E un po’ di imbarazzo chi ha chiesto doveva sentirlo (sulla prima pagina sotto la testata è strombazzato “non riceve alcun finanziamento pubblico”, che non sarà più vero), visto che quasi se ne scusa nella relazione che accompagna il bilancio 2011 dell’Editoriale Il Fatto, società che edita la testata diretta da Antonio Padellaro e Marco Travaglio. Un bilancio in utile di 4,5 milioni di euro (e non è affatto poco, anche se l’anno prima erano 5,8), ma pieno di sorprese. La prima spiega anche quella richiesta di finanziamento pubblico: l’era delle vacche grasse è finita, e da quando Silvio Berlusconi è andato via da palazzo Chigi sono iniziati problemi economici impensabili anche nella vita de Il Fatto. Che quasi-quasi rimpiange l’era d’oro del Cav. Da quel giorno infatti i giornali hanno iniziato a perdere il 10% di copie vendute. Per Padellaro e Travaglio è andata decisamente peggio, travolgendo il balzo delle vendite in edicola pure registrato nella media 2011 (71.109 copie, crescita dell’11% sul 2010). «Nei primi tre mesi del 2012», spiega la relazione ancora firmata Poidomani, «le vendite in edicola sono state in media pari a 52.849 copie al giorno, con un decremento del 24% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente». È andata male anche con la pubblicità, e in modo disastroso da marzo in poi. Il 29 marzo infatti Poidomani sembra ancora ottimista su risultati: «la raccolta pubblicitaria, tanto per l’edizione su carta che per quella on line è stata in linea con il budget e in miglioramento rispetto all’esercizio precedente ». Poco più di un mese dopo nel verbale di assemblea è scritto l’esatto opposto: «Giorgio Poidomani mette in evidenza il non soddisfacente risultato che emerge ad aprile, caratterizzato oltre che dalla prevista flessione delle vendite in edicola, anche da una preoccupante contrazione della raccolta pubblicitaria sulla carta: meno 25% rispetto al primo quadrimestre del 2011». Nel frattempo anche gli abbonamenti sono scesi a quota 21.900, di cui il 20% per via postale e l’80% on line in formato pdf. Tutta colpa - dicono al Fatto - dei siti pirati che consentono di scaricare il giornale senza pagare. Come se non bastasse lo scherzetto che Berlusconi ha combinato ai ragazzacci de Il Fatto andandosene via da palazzo Chigi e facendo perdere loro il bersaglio preferito dai lettori, anche Mario Monti (che va indigesto), ha aggiunto guaio a guaio. Gli amministratori de Il Fatto avevano pensato bene di non leggere il proprio quotidiano (fra i protagonisti della battaglia contro le grandi banche del paese) e investire la liquidità accumulata negli anni precedenti proprio in obbligazioni bancarie. Hanno comprato titoli di Banca Intesa, Unicredit, Monte dei Paschi e Banca di credito cooperativo di Roma. Ed è andata male: nel bilancio 2011 li hanno dovuti svalutare di 234.905 euro, perché le quotazioni erano scese. Dopo deve essere andata peggio. E con i primi guai all’orizzonte è finita anche la pace fra i soci. Al momento di scegliere quanti dividendi incassare, i soci industriali hanno fatto la proposta: dateci 3,1 milioni di euro. Si è alzato in piedi Travaglio, appoggiato da Padellaro e dai giornalisti e detto: «avete visto come sta andando? No, massimo 1,3 milioni di euro». Hanno vinto i primi, che volevano portare a casa i soldi. Il povero Poidomani ha tentato di limitare i danni: «aspettato almeno il 19 luglio, che scadono pronti contro termine da 3,2 milioni, altrimenti dobbiamo smobilizzare prima del tempo perdendo altri soldi». A vuoto: i famelici soci industriali hanno messo in pagamento il dividendo dal primo di giugno. Ah, visto che i guai non vengono mai da soli, nel bilancio 2011 è registrato anche il successo dell’ingresso de Il Fatto nella Zerostudio’s di Michele Santoro (che produce Servizio pubblico): ha investito 350 mila euro per avere nei primi tre mesi perdite di 203.605 euro. Santoro ha detto: «non preoccupatevi, per il secondo semestre