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 2012  luglio 07 Sabato calendario

LA FINLANDIA GELA PURE I GRECI: VIA NOI DALL’EURO


Jutta Urpilaianan, chi è costui? Non è poi così grave,verrebbe da dire, ignorare il nome del ministro delle Finanze della Finlandia, anche perché il paese delle renne e della Nokia (ormai in crisi endemica, da economia del Mediterraneo), conta sì e no il 5% del pil europeo. Il che, però, vuol dire il doppio abbondante della Grecia, la cui crisi ci è costata (e non è finita…) tanti guai e quattrini. Perciò, quando il signor Urpilaianan (in realtà è una donna - nota di Dell’Arti) dichiara, come è avvenuto ieri, che «la Finlandia non resterà legata all’euro ad ogni costo e siamo pronti a tutti i possibili scenari», occorre prender la minaccia sul serio. Per diversi motivi. Primo, perché l’affondo del ministro di Helsinki cade alla vigilia del vertice che deve tradurre in regole e date precise gli accordi presi a Bruxelles nella famosa notte del 28 giugno. Non sono passati dieci giorni, e l’euforia per i risultati raggiunti da super Mario Monti hanno ceduto il passo allo sconforto. Anche a causa dell’ostilità di Helsinki, che non si presta ad alcun equivoco. Già lunedì scorso il premier Jyrki Katainen aveva fatto sapere che, per quanto riguarda lo scudo anti-spread, a suo avviso non era cambiato niente: Monti raccontasse quel che voleva, ma la Finlandia non avrebbe tirato fuori un quattrino senza garanzie severe. Ieri, assieme alla minaccia mica tanto velata di far le valigie e di lasciar la Ue, il governo di Helsinki ha ribadito che, prima di anticipare un solo quattrino alle banche spagnole, esigerà garanzie collaterali precise. Chissà forse un’ipoteca sull’Alhambra o sulle Ramblas. Secondo. E’ pur vero che la Finlandia, assieme all’altro cattivo di turno, l’Olanda, conta come il tre di picche (un po’ di più di zero…): i due Paesi, votando assieme, non potrebbero porre il veto se la Ue, di fronte all’emergenza, decidesse di impiegare i quattrini dell’Esm, il meccanismo salva Banche, per congiurare il collasso di Italia o Spagna. In caso di necessità, infatti, basta un quorum dell’85% mentre Helsinki e L’Aja, assieme dispongono solo dell’8% dei voti. Ma in politica i numeri si pesano, mica si contano. E’ impossibile che la Germania si schieri contro Finlandia ed Olanda, ovvero i soli Paesi Ue che possono vantare, assieme a Berlino ed al Lussemburgo, sulla tripla A. Terzo. Non occorre essere Machiavelli per capire che dietro l’intransigenza dei falchi si agita almeno una parte della maggioranza che sostiene Angela Merkel. La cancelliera ha preso atto dai sondaggi che all’opinione pubblica tedesca non dispiace la linea del governo, ovvero «nemmeno un euro ai soci del Sud finché non cedano sovranità alla Ue, cioè a noi». Certo, la Germania resta europeista, come dimostra l’accorato monito del “falco”Wolfgang Schaueble («se salta l’euro sarà un disastro mondiale»), ma a modo suo. E in questa cornice due mastini pronti ad abbaiare e magari a mordere fanno un gran comodo. Purché si tenga la museruola a portata di mano. Infine, ma non meno importante, la minaccia che arriva dal Nord segnala una novità, in peggio, della scena globale. Fino a ieri le proteste e gli ultimatum teatrali erano una specialità dei poveri, a partire dai greci, pronti a minacciare l’uscita di fronte a condizioni troppo severe poste dai parenti ricchi della Germania. Ora, come segnala il Fondo Monetario, il contagio ha investito anche gli Usa, dove l’occupazione stenta, e pure gli Emergenti, Cina compresa, che non potranno sostenere l’economia globale come nel 2009, dopo la crisi Lehman. Anche la Germania (e nel suo piccolo la Finlandia) sono a rischio, stavolta. Ma, ahimè, in questo caso non vale la regola “mal comune mezzo gaudio”. Il pericolo è che si spezzi la corda, già usurata, che tiene assieme la Comunità dei 17 aderenti all’area euro. Per giunta nel momento peggiore quando il collasso dell’Unione Monetaria, non pilotato, non potrebbe che portare alla guerra commerciale ed al protezionismo, l’ultimo stadio, come negli anni Trenta, di una crisi che da economica è ormai diventata politica. Almeno per questi motivi, non è il caso di scherzare sugli ultimatum del ministro Jutta (scusi la confidenza). Anche perché quando agli inizi degli anni Novanta Helsinki entrò nella Ue per sfuggire alla crisi che aveva colpito l’ex Unione Sovietica, nei sondaggi i finlandesi erano gli europeisti più convinti. Oggi quell’entusiasmo si è trasformato in delusione. Non solo per colpa loro.