Rossella Burattino, Corriere della Sera 7/7/2012, 7 luglio 2012
QUELLA BIO E QUELLA VERDE LA COSMESI «SOSTENIBILE»
Esigenti e consapevoli. Si definiscono «eco-bio-compatibili». Sono i consumatori che scelgono di stare dalla parte della natura anche quando si parla di bellezza e di benessere.
Le dimensioni del fenomeno
Ma quanto è diffuso il fenomeno eco-bio? «Negli ultimi anni ha registrato una richiesta in continua crescita — racconta Gian Andrea Positano, direttore del centro studi Unipro (Associazione italiana delle imprese cosmetiche) —. I prodotti biologici e verdi hanno un valore di mercato di 400 milioni di euro, le loro vendite crescono del quattro per cento ogni anno da almeno cinque anni. E il sessantacinque per cento dei clienti sceglie marchi che si impegnano nella sostenibilità e riducono al minimo il loro packaging».
Le aziende cosmetiche si allineano a questa nuova sensibilità e si adoperano per attribuire alla propria merce l’irresistibile green appeal. L’affare ha contagiato anche il mass market: «Al supermercato — spiega Positano — si trovano articoli e cosmetici con alte percentuali di principi attivi naturali. Sono realizzati da famose multinazionali, da sempre convertite alla chimica, e ora anche all’interno delle catene della grande distribuzione».
La differenza
tra «verde» e bio
Come si riconoscono? Intanto, bisogna distinguere tra bio e naturale. La prima è una certificazione ufficiale (data soltanto dopo accurate analisi e rispettando regole ferree), la seconda, invece, dà un’idea della tendenza ma si inserisce in uno stile di vita da credo ecologista. In pratica, «se ci si vuol fregiare del marchio biologico, deve essere tale almeno il venti per cento del prodotto finito — raccomanda Alessandro Spadoni dell’Icea (Associazione italiana agricoltura biologica) — mentre, la presenza di materiali di sintesi di derivazione petrolchimica (come i conservanti che oggi non hanno alternative naturali) non deve superare il due per cento.
Quest’ultima garanzia è richiesta per tutti i prodotti "verdi"». E poi leggendo con attenzione le etichette. Molti riportano i contrassegni Ecocert, Cosmo Bio, Bdih, Bioforum, Soil Association e Icea-Aiab. Certificano, in maniera diversa, l’assenza di materie prime non vegetali considerate a rischio, come gli Ogm e i conservanti di sintesi, garantiscono la presenza di ingredienti non manipolati con raggi gamma, non testati sugli animali e provenienti da campi non trattati con pesticidi. Il problema, però, sta nella reale concentrazione dei principi attivi.
Per la bontà e l’efficacia dei cosmetici naturali sono fondamentali la qualità delle essenze, il sistema estrattivo adottato e la conoscenza del fitocomplesso della pianta. Parecchi si definiscono ecologici ma le loro formule contengono elementi chimici a cui sono aggiunte soltanto piccole percentuali di estratti botanici.
Leggere le etichette
Il trucco c’è: «studiare» con attenzione la lista degli ingredienti. Se ai primi posti ci sono tanti componenti in latino, significa che il prodotto contiene molti ingredienti di origine naturale, riportati secondo quantità decrescenti. «Il consumatore non è facilitato — spiega Antonella Antonini, docente di Chimica e tecnica cosmetica all’Università di Ferrara —, i nomi delle sostanze non sono in italiano e spesso mancano ancora le percentuali. Bisogna affidarsi all’ente che li certifica. Dal 2010 a mettere chiarezza c’è Cosmos, valido per tutti i Paesi europei, stabilisce e indica le quantità degli elementi naturali».
Un’altra regola è provare il cosmetico prima di acquistarlo: spesso i prodotti «verdi» sono meno piacevoli al tatto degli altri perché privi delle sostanze chimiche a cui siamo abituati come il silicone e il peg (donano «l’effetto seta»).
E la scadenza? È importante guardare il Pao (Period alter opening), il simbolo che ritrae una scatola con il tappo aperto, indica il numero dei mesi di conservazione ottimale del prodotto dopo l’apertura. Di solito va dai tre ai sei mesi, contro i dodici dei tradizionali perché i conservanti naturali hanno vita più breve ma si riconoscono con facilità: sono l’acido salicilico, ascorbico, benzoico, l’alcol benzilico e l’acetato sodico, tutti approvati dalla certificazione biologica.
No ai test sugli animali
Anche il termine animale appartiene al passato. «Dal 2004 — rivela Annalaura Stammati, fondatrice dell’Ipam, la Piattaforma italiana per i metodi alternativi — sono vietati i test «in vivo» sui prodotti finiti e, dallo scorso marzo, pure quelli sui singoli ingredienti. Con tre eccezioni: le prove di tossicità riproduttiva, cronica e metabolica. Tre esami fortemente invasivi per i quali il divieto scatterà nel 2013».
Sarà il bisogno di chiarezza o l’esigenza di sicurezza: della natura non si può fare a meno.
Rossella Burattino
rburattino@corriere.it