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 2012  luglio 08 Domenica calendario

LA GERMANIA DA SOLA UN SATELLITE DELL’ASIA

Quando in Giappone, per effetto del terribile maremoto, si è fermata la centrale nucleare di Fukushima, migliaia di fabbriche cinesi hanno dovuto sospendere per settimane o mesi la propria produzione. Le stesse conseguenze si sono verificate dopo le alluvioni che hanno messo in ginocchio estesi territori della Thailandia. E potremo moltiplicare gli esempi di una crescente interdipendenza all’interno del sistema produttivo asiatico che, giorno per giorno, sta accumulando primati su primati in tutto il mondo. Eppure i rapporti politici tra i diversi Paesi dell’Asia sono tutt’altro che idilliaci: Giappone, Cina, Corea del Sud e India conservano tra di loro antichi e consolidati rancori. Negli ultimi mesi si sono inoltre acutizzati i conflitti di confine tra la Cina e i suoi vicini, a cominciare dalle Filippine e dal Vietnam.
In Asia ci troviamo cioè di fronte a comportamenti del tutto divergenti nel campo politico rispetto a quello economico. Mentre dal punto di vista politico e militare i diversi Paesi asiatici accompagnano la propria ascesa mostrandosi rispettivamente i muscoli in modo aggressivo, la cooperazione economica tra questi stessi Paesi cresce in modo esponenziale. Sia il Giappone che la Corea del Sud, pur considerando la Cina il più temibile concorrente politico, vedono nella Cina il primo partner commerciale e il maggiore destinatario dei propri investimenti all’estero. Basta osservare che, nell’ultimo decennio, sono aumentati di oltre sette volte i rapporti commerciali tra Corea del Sud e Cina e di oltre cinque volte quelli tra il Giappone e la Cina. Siamo ormai di fronte a legami che hanno tutta la tendenza a crescere e che non possono in ogni caso essere sciolti senza provocare danni irreparabili alle economie dei Paesi interessati. È utile inoltre osservare che la Cina da sola ha ormai raggiunto la quantità di produzione dell’industria manifatturiera dell’intera Europa e ha già superato quella degli Stati Uniti. Da qualche mese ormai, pur sottolineando ancora l’esistenza del primato europeo, eravamo rassegnati a questo sorpasso, ma nessuno ha fino ad ora riflettuto a sufficienza sulle conseguenze di relazioni sempre più strette che si stanno costruendo all’interno del sistema asiatico che, se non adeguatamente bilanciato, diventerà il dominatore dell’intera economia mondiale.
Questo rischio è emerso visibilmente nello scorso febbraio durante l’incontro tra il presidente Obama e i massimi dirigenti della Apple. Quando essi hanno riferito al presidente che l’assemblaggio di Ipad e IPhone era tutto concentrato in Cina ma che, dato l’avanzato processo di automazione, il valore aggiunto lasciato in Cina era trascurabile, il presidente Obama ha naturalmente domandato perché il montaggio stesso non veniva trasferito in California. La risposta non è stata quella che tutti ci aspettavamo e che cioè il montaggio in Cina è più a buon mercato. La risposta è stata che questo trasferimento non è semplicemente possibile. Il raffinato sistema dei fornitori asiatici (la così detta supply chain), l’integrazione tra le diverse imprese cinesi, giapponesi e sudcoreane, la flessibilità delle modalità di lavoro e la specializzazione dei tecnici intermedi è arrivata a un tale livello di efficienza che il trasferimento della produzione negli Stati Uniti non è semplicemente fattibile.
Questo è il mondo in cui viviamo. Noi, qui in Europa, non ci rendiamo invece conto che se non procediamo a integrare la nostra industria in modo da creare un punto di forza paragonabile a quello asiatico siamo perduti. È chiaro che il punto di riferimento di questo sistema europeo non può che essere la Germania ma è altrettanto chiaro che essa, da sola, non avrà mai la dimensione e la forza per resistere di fronte a questi nuovi sviluppi planetari. Senza la Francia, l’Italia, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e gli altri Paesi europei, nemmeno l’industria tedesca potrà resistere di fronte al dinamismo innovativo del sistema asiatico. Mi accorgo invece che il dibattito sull’euro e sul futuro dell’Europa è tutto concentrato sui problemi di oggi e non riesce a prendere in considerazione la grandezza delle sfide di domani. Ognuno coltiva il proprio orto di casa, felice quando le statistiche dicono che la perdita della propria quota di mercato mondiale è inferiore a quella del vicino, senza tuttavia considerare che il vero rischio è quello di essere tutti perdenti.
Continuando con la politica di oggi i tedeschi avranno infatti solo la soddisfazione di vedere le imprese degli altri Paesi morire di spread, sotto il peso di una insostenibile differenza del costo del denaro. Ma, con questo, sarà impossibile anche per loro costruire un robusto e duraturo sistema industriale. Non parliamo poi dell’ipotesi di dissoluzione dell’euro che vedrebbe l’ipotetico euro tedesco salire fino al punto di distruggere le potenzialità di esportazione della stessa industria germanica. Resta perciò una sola carta da giocare, che è quella della costruzione di una vera unione europea. Altrimenti anche la Germania, invece di esercitare il suo ruolo di locomotiva, diventerà un semplice vagone del treno asiatico.