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 2012  luglio 07 Sabato calendario

Andate a guardarvi la ola su Internet. L’esultanza da semifinale europea. Perché purtroppo per loro, i dipendenti statali nel cuore di chi dipendente statale non è - sono come il ragazzetto di Ermanno Olmi che nel Posto parte col buio dalla campagna brianzola e va spaurito negli ufficioni di Milano; poi diventa come l’impiegato di infimo livello dell’amministrazione giudiziaria in Vedrò Singapore? di Piero Chiara, che al pomeriggio si faceva il pokerino dietro l’aula di udienza della pretura, e spesso gli riusciva di sdraiare una ragazzetta sui vasti registri del casellario; e finiscono come Alberto Sordi in Un borghese piccolo piccolo , che si umilia e si fa lacché per lasciare in eredità al figlio la scrivania al ministero dei Lavori pubblici

Andate a guardarvi la ola su Internet. L’esultanza da semifinale europea. Perché purtroppo per loro, i dipendenti statali nel cuore di chi dipendente statale non è - sono come il ragazzetto di Ermanno Olmi che nel Posto parte col buio dalla campagna brianzola e va spaurito negli ufficioni di Milano; poi diventa come l’impiegato di infimo livello dell’amministrazione giudiziaria in Vedrò Singapore? di Piero Chiara, che al pomeriggio si faceva il pokerino dietro l’aula di udienza della pretura, e spesso gli riusciva di sdraiare una ragazzetta sui vasti registri del casellario; e finiscono come Alberto Sordi in Un borghese piccolo piccolo , che si umilia e si fa lacché per lasciare in eredità al figlio la scrivania al ministero dei Lavori pubblici. C’è tutto, no? I sogni e le ambizioni barattate col posto certo; lo stipendio da due pizze al mese e quindici giorni a Rimini, ma sicuro come il sole che sorge; la nullafacenza, la marginale furbizia quotidiana, un certo grigiume complessivo che è la costante di tutti i narratori del mondo. «Ma oggi parlare di dipendenti statali, e pensare a Fracchia, non ha molto senso», dice Rossana Dettori, segretario generale della Funzione pubblica per la Cgil. Bisognerebbe parlare, dice, degli infermieri, delle maestre d’asilo, dei fisioterapisti eccetera. Eppure viene troppo facile ammirare il tramonto di una mistica, quella del ragazzo che studia e fa il concorso perché tanto prima o poi accumulerà i punti necessari per ottenere l’impiego, i privilegi piccini, la traversata del deserto verso la pensione. Anche quel santuario è in fiamme e Giuseppe Roma, direttore del Censis (Centro studi investimenti sociali), dice che nell’aria «non c’è soltanto un desiderio di combattere tutto ciò che produce poco e spreca molto, o che ne dà l’impressione, ma il fatto è che il pubblico dipendente una volta aveva la fama del servitore dello Stato, si pensi al ferroviere o al postino negli Anni Cinquanta. Uno che aveva l’orgoglio di servire il Paese per quello che gli era richiesto. Oggi non è più così. È rimasto soltanto l’aspetto remunerativo, il risvolto pigro dell’esistenza trascinata senza sorprese, e insomma la macchina pubblica ha la reputazione del rifugio di peccatori». Figurarsi a dire queste cose ai diretti interessati. Mettono mano alla rivoltella. Francesca Valentini ha trentasei anni e lavora al ministero delle Attività Culturali (dal 2000 con otto anni di precariato), fa l’elenco preciso dei disagi, altroché benefici: «Le indennità non vengono pagate da mesi, gli organici sono carenti. E poi le comiche: i buoni pasto saranno abbassati a sette euro, ma i nostri di sette euro già sono...». Però il succo - al di là della rivendicazione sindacale - è lo sgretolarsi della fortezza inespugnabile: «Bè, di fatica ne ho fatta tanta, e adesso si parla di prepensionamenti, di mobilità. Io pensavo di avere tanti problemi, ma almeno non quello dello stipendio a fine mese». Un totem, ecco perché il resto del mondo brinda. «Ma l’incubo di non essere licenziati non è una fortuna, dovrebbe essere la base di ogni società civile», insiste Rossana Dettori della Cgil, persuasa che si spari al dipendente pubblico perché è un bersaglio fisso, facile da prendere, «mentre servirebbero assunzioni all’agenzia delle Entrate, se si volesse prendere gli evasori». E però il problema è più ampio, come dice Giuseppe Roma. E cioè quella sorta di lavoro è spesso il lavoro della sopravvivenza, dell’avvilimento di ogni estro. Racconta Giampiero Mughini (in Una città atta agli eroi e ai suicidi ) che Raffaele La Capria vinse il premio Strega da funzionario della Rai, «e il mio superiore ne rimase allibito. “Ma com’era possibile che un impiegatuccio da niente come me avesse potuto vincere un premio letterario di tale importanza”». La Capria racconta a Mughini di essere sempre stato pagato per diventare «un fannullone». Uno strazio ai confini della paranoia nelle Memorie di un impiegato di Federigo Tozzi, assunto negli uffici ferroviari di Pontedera a inizio Novecento. Dovette affidare a un romanzo breve il suo orrore per le ore d’ufficio, e difatti Roma dice che purtroppo mancano «alternative appetibili». Non ci lavora la politica. Tutto è depresso e complicato dalle procedure. Non c’è iniziativa privata, ma soltanto qualche iniziativa personale. E infatti - dice Roma - negli ultimi dieci anni gli assunti sono tre milioni di più, e sono i precari dei call center o le badanti. E per di più «se dici a un giovane di fare il meccanico o il falegname, si offende». Rimane una guerricciola da capponi: si sventolano bandiere alle disgrazie dell’altro.