Maurizio Crosetti, la Repubblica 7/7/2012, 7 luglio 2012
Il fascino è già nello schiocco della pallina, nell’inconfondibile “clack” degli ometti rossi e blu che se la passano, la sbattono contro le sponde o magari, possibilmente, la infilano in porta
Il fascino è già nello schiocco della pallina, nell’inconfondibile “clack” degli ometti rossi e blu che se la passano, la sbattono contro le sponde o magari, possibilmente, la infilano in porta. Gli antichi bambini dell’oratorio e della proto-sale giochi mettevano un pezzo di cartone dentro il buco, per impedire che ingoiasse la palla e per non dover inserire altre cento lire nell’apposita fessura. Esisteva, però, una più raffinata variante della frode: bloccare il pomello di distribuzione delle palline con le cento lire suddette, e lasciare così sempre aperto il movimento di ridistribuzione, cioè il cunicolo dentro la pancia legnosa del calciobalilla. In questo modo, la moneta “risparmiava” se stessa, strumento e scopo del trucco. Ventimila tesserati in Italia (esiste una federazione ufficiale che organizza tornei e campiona-ti), incalcolabili i praticanti. C’è chi lo chiama calciobalilla, è l’accezione più comune, anche se qualcuno storce il naso per l’allusione vagamente fascistoide del sostantivo. E c’è chi lo chiama calcetto, però questo nome poteva funzionare fino alla comparsa del “calcio a cinque”, per tutti “calcetto”, e insomma è meglio calciobalilla. Una terza corrente di pensiero lo definisce infine biliardino, ma si tratta di un gruppo minoritario. Sia come sia, il calciobalilla è un simbolo di decenni di storia ludica e sociale italiana, ma a differenza di altri suoi cugini dell’epoca, primo fra tutti l’avveniristico flipper, non è mai scomparso. Anche ai recenti Europei di Polonia e Ucraina, un esemplare ovviamente sponsorizzato non mancava mai nei centri-stampa, e mai restava senza giocatori. Ora va molto la versione undici contro undici, lunga come una tavolata di matrimonio, ma siamo nel campo dell’eresia: l’unico, vero calciobalilla si gioca uno contro uno (al massimo, due contro due) e prevede lo schema 2-5-3. Qui non sono previsti altri moduli, grazie al cielo, non come nel calcio vero e pitagorico. Le discussioni non si fermano al sostantivo da usare. C’è dibattito anche sulle norme, cioè su quelle manovre (gancio, sponda, doppio tocco, passaggio) che una federazione ammette e un’altra magari vieta. Pure da bambini, l’universo si divideva grosso modo in due categorie: calciobalilla “alla vola” e calciobalilla “alla ferma”. I virtuosi del polso snodato non finiscono mai di discutere su quale metodo sia canonico, e quale invece da sospendere a divinis. Reso immortale da Stefano Benni in Bar Sport, tra Luisona e telefono a gettone (il “click” insieme alfamoso“clack”:lastoriadell’umanità è anche un racconto di rumori perduti), il calciobalilla ha avuto le sue brave citazioni d’autore, come ne Il postino di Neruda, quando Mario (Massimo Trosi) si mette a giocare da solo per farsi notare da Beatrice (Maria Grazia Cucinotta). Perché l’oggetto è fortemente poetico, a cominciare dall’uomo che lo inventò negli anni Trenta, il soldato Alejandro Finisterre ricoverato in ospedale durante la Guerra di Spagna: aveva visto molti bambini feriti tra le corsie, voleva che avessero un gioco per passare il tempo, recuperò del legno e nacque una leggenda.