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 2012  luglio 09 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 9 LUGLIO 2012

Mercoledì 4 luglio, al Cern di Ginevra (che è il più grande centro di ricerca di fisica nucleare al mondo) code infinite per accaparrarsi un posto in una delle sale in cui era trasmessa una conferenza scientifica. [1] Nell’auditorium, davanti a centinaia di fisici, i due responsabili degli esperimenti, l’americano Joe Incandela e Fabiola Gianotti hanno presentato i risultati ottenuti dopo le ricerche degli ultimi sei mesi. Oltre due ore di grafici colorati, formule, simboli, cifre, diagrammi per dimostrare ai colleghi che il bosone di Higgs, cioè la «particella di Dio» esiste ed è anche più interessante di quanto si immaginasse. L’annuncio è stato seguito da un fragoroso applauso. [2]

Da mercoledì, dunque «conosciamo il segreto della massa delle particelle subnucleari, e quindi sappiamo come è fatto l’universo visibile. Purtroppo stiamo parlando solo del 4 per cento di quanto esiste, il 96% ci sfugge perché è sotto forma di materia ed energia invisibili» [3]

La particella di Dio in verità si chiama bosone. La sua esistenza fu ipotizzata dallo scienziato Peter Higgs: era il 1964 e la leggenda vuole che l’idea sia zampillata dalla mente di Higgs mentre passeggiava tra le montagne scozzesi del Cairngorms. Era sempre stato un tipo riservato, ma già da studente al Kings College di Londra rivelava le sue capacità in fisica teorica. [4] Fu il Nobel Leon Lederman a dargli il nome «particella di Dio»: per raccontarne l’importanza aveva scritto un libro suggerendo come titolo The Goddamn Particle, la particella maledetta. Ma l’editore, non convinto, lo tagliò in The God Particle, cambiando il senso e facendone la fortuna mediatica. [2]

Cos’è il bosone? È un particolare tipo di particella subatomica che prende il nome da Satyendra Nath Bose, fisico indiano. [5]. «È l’ultimo mattone del quale la fisica contemporanea ha bisogno per completare la principale delle sue teorie, chiamata Modello Standard. Questa è una sorta di “catalogo della materia” che prevede l’esistenza di tutti gli ingredienti fondamentali dell’universo. Comprende 24 particelle elementari organizzate in due famiglie: i quark e i leptoni, che sono i mattoni della materia (presenti nelle galassie, negli stessi esseri umani e nel mondo microscopico). Comprende inoltre una famiglia di altre 12 particelle, che sono i messaggeri delle quattro forze della natura (gravitazionale, debole, elettromagnetica e forte) che agiscono nell’infinitamente piccolo. I messaggeri previsti dal Modello Standard sono sei in tutto: Z, W+, W-, gluone, fotone, bosone di Higgs. Tutti questi componenti della materia sarebbero inanimati senza una massa: è il bosone di Higgs che li costringe a interagire tra loro e ad aggregarsi. In una delle descrizioni più celebri si paragona il bosone di Higgs a un personaggio famoso che entra in una sala piena di persone, attirando intorno a sé gran parte dei presenti. Mentre il personaggio si muove, attrae le persone a lui più vicine mentre quelle che lascia alle sue spalle tornano nella loro posizione originale e questo affollamento aumenta la resistenza al movimento. Vale a dire che il personaggio acquisisce massa, proprio come fanno le particelle che attraversano il campo di Higgs: le particelle interagiscono fra loro, vengono rallentate dall’attrito, non viaggiano più alla velocità della luce e acquisiscono una massa». [6]

Fabiola Gianotti, 48 anni, coordinatrice del progetto Atlas, nata a Torino da padre piemontese geologo e madre siciliana amante delle lettere, ha vissuto e studiato a Milano. All’inizio l’idea di una carriera letteraria, poi la scelta di dedicarsi alla fisica: è stata ricercatrice del Cern, poi responsabile del progetto che ha portato alla scoperta del bosone. È prudente: «Siamo dinanzi a risultati preliminari e prima di sbilanciarci troppo è necessario ancora un po’ di tempo». Però le probabilità di errore sono poche: 0,000028%. «Sono più di vent’anni che lavoriamo su questo. Non avrei mai immaginato di essere proprio io a coordinare il gruppo di tremila scienziati di 38 Paesi che oggi ha conseguito un così importante obiettivo». [7]

Le tappe della caccia al bosone. Negli anni Ottanta si impegnarono sia scienziati americani sia europei, immaginando ognuno una supermacchina. Gli Stati Uniti avevano il Super Superconducting Collider (SSC) per il quale costruirono una grande galleria in Texas. Ma il costo salì troppo e quando arrivò Bill Clinton alla Casa Bianca cancellò il progetto. A Ginevra, invece, si mobilitò l’Europa e furono investiti 6 miliardi di euro. Prima di usare l’Lhc al Cern si fecero delle indagini sul bosone anche con l’acceleratore Lep (sempre a Ginevra) attraverso il quale Carlo Rubbia compì le sue scoperte che lo portarono al Nobel. Ma per arrivare all’obiettivo era lo stesso Rubbia a ipotizzare l’Lhc. Negli Stati Uniti si impegnarono con l’acceleratore Tevatron al Fermilab di Batavia (Chicago), però la sua potenza era inferiore alle necessità. Lo migliorarono ma nell’autunno scorso Tevatron fu spento nella consapevolezza dell’impossibilità ad andare oltre. [4]

Stephen Hawking aveva scommesso cento dollari sull’inesistenza della particella di Dio. [4]

La scoperta è stata possibile grazie al Large Hadron Collider (Lhc), una ciambella del diametro di oltre 20 chilometri che, a circa 100 metri di profondità, va dal confine svizzero alla Francia e ritorna a Ginevra. [1] La ciambella è formata da una serie di anelli magnetici alti parecchi metri, raffreddati con 190 tonnellate di elio a 1,9 Kelvin (poiché l’universo ha una temperatura di 2,7 Kelvin, l’acceleratore del Cern è l’oggetto più freddo che esista nel cosmo). [3] All’inizio l’Lhc fece disperare un po’ gli scienziati: acceso a settembre del 2008, si ruppe dopo soli dieci giorni per problemi alla connessione fra due magneti. [8]

Per costruire l’acceleratore Lhc, costato circa 9 miliardi di euro, le imprese italiane hanno vinto commesse per 350 milioni di euro. Asg (ex Ansaldo Superconduttori) ha costruito 446 magneti superconduttori da 250mila euro ciascuno. La piemontese Simic ha fornito i contenitori dei magneti. Renco ha prodotto i tubi che rivestono la galleria dell’Lhc. Poi c’è la Caen di Viareggio: «Fu un’impresa ciclopica - ricorda Marcello Givoletti, presidente dell’azienda - dovevamo realizzare un’elettronica capace di lavorare sotto altissimi campi magnetici e il bombardamento delle particelle. Non abbiamo guadagnato molto (i fondi scarseggiavano), ma ora siamo considerati il numero uno al mondo. Poi abbiamo applicato le conoscenze in altri campi: stiamo lanciando un sistema per identificare a distanza materiali pericolosi in contenitori chiusi, come bagagli o container». L’Italia, pur essendo solo il quarto contribuente del Cern (480 milioni di euro in 6 anni), ne è il terzo fornitore. [9]

Il collisore accelera protoni in direzioni opposte a una velocità quasi pari a quella della luce (8 teraelettronvolt, in termini esatti), e ogni secondo ne scaglia milioni uno contro l’altro. [10]. Da questi scontri super energetici vengono fuori dei “pezzi” da cui si può capire se nello scontro è apparso il bosone di Higgs. Quindi gli scienziati non lo vedono, ma capiscono che c’è stato perché trovano i segni lasciati dalle particelle in cui si è trasformato (i fisici parlano di decadimento). Nel Large Hadron Collider si possono creare 500 milioni di collisioni al secondo: le tracce lasciate dai bosoni di Higgs sono poche decine. [1]

La particella trovata dal collisore del Cern ha una massa di 125.3 gev, un’unità di misura che si usa nel mondo dell’infinitamente piccolo dove un grammo è una montagna più grande dell’Everest. Una particella bella robusta: è 133 volte più massiccia del protone (che sta nel cuore di ogni atomo). [1]

Per Margherita Hack il bosone non è solo la particella di Dio: «Io lo chiamo addirittura Dio. Poiché è la particella che spiega come si forma la materia delle altre particelle e siccome queste sono quelle da cui poi deriva tutto - le stelle, gli elementi che abbiamo sulla terra, compresi quelli che compongono gli esseri umani - questa particella è veramente Dio». [11]

Sembra che non ci sia più niente da scoprire, ma non è così. Innanzitutto bisogna saperne di più sulla particella scoperta. La massa è compatibile con il bosone di Higgs, ma adesso ai fisici rimane il difficile compito di farne l’identikit e studiare le sue proprietà. Con una quantità sempre più grande di dati sarà possibile studiare eventuali anomalie e deviazioni che possono ancora mettere in discussione il Modello Standard o allargarlo. Gli scienziati devono ancora osservare come il bosone di Higgs decade, o si trasforma, in altre particelle più stabili dopo esser stato prodotto nelle collisioni all’interno di Lhc. [7]

Inoltre anche l’universo è ancora in gran parte ignoto: tutta la materia che possiamo vedere rappresenta soltanto il 4% dell’universo, il resto è costituito da una misteriosa materia oscura e da un’altrettanto enigmatica energia oscura. Non abbiamo la minima idea neanche del perché l’Universo è fatto di materia e non di antimateria. [7]

Ma almeno questa scoperta ha reso obsoleto l’Lhc? No. Sarà utilizzato per cercare particelle supersimmetriche, buchi neri microscopici e segnali provenienti da extra-dimensioni. Potrebbe trovare particelle o fenomeni capaci di rivoluzionare la nostra idea dell’universo. [7] Ora, per altri tre mesi, si continueranno a prendere ulteriori misure del bosone e poi verso la fine dell’anno Lhc sarà spento per un periodo di manutenzione di due anni nei quali si estrarranno molti degli aspetti enigmatici contenuti nei dati disponibili e ottenuti con scontri fra nuvole di protoni. Quando la macchina verrà riaccesa sarà spinta a funzionare alla sua massima capacità e allora negli scontri tra protoni si arriverà a 14 teraelettronvolt. Chissà cos’altro verrà fuori. [2]


NOTE: [1] Leopoldo Benacchio, IlSole24Ore.it 4/7; [2] Giovanni Caprara, Corriere della Sera 5/7; [3] Piero Bianucci, La Stampa 5/7; [4] Giovanni Caprara, Corriere della Sera 3/7; [5] Edoardo Boncinelli, Corriere della Sera 6/7; [6] Repubblica.it 4/7; [7] Valentina Arcovio, La Stampa 5/7; [8] la Repubblica 20/9/2008; [9] Lara Ricci, Il Sole 24 Ore 5/7; [10] Brian Greene, la Repubblica 5/7; [11] IlSole24ore.it 4/7.