Melania Di Giacomo, Corriere della Sera 7/7/2012, 7 luglio 2012
ROMA —
In Lombardia via 10 Province su 12, tutte tranne Milano e Brescia; 9 su 10 in Toscana, dove resiste solo Firenze; stesso discorso in Emilia-Rogna: saltano 7 su nove, a parte Bologna va bene solo Parma. E ancora in Campania, sono troppe prese singolarmente le Province di Benevento, Avellino e Caserta; nel Lazio Rieti, Latina e Viterbo. Secondo la tabella su cui stanno lavorando al ministero della Funzione Pubblica, sono a rischio chiusura (o accorpamento) 61 Province, già entro fine settembre, ma sarà solo a scadenza del mandato attuale che il riordino sarà operativo, spiegano.
Con la spending review, aveva detto nella conferenza stampa notturna post-consiglio dei ministri, il ministro Filippo Patroni Griffi, «si delinea il processo che porterà alla soppressione e all’accorpamento delle Province esistenti entro fine anno e che si fonderà sulla dimensione territoriale e sulla popolazione. Questo processo potrà portare presuntivamente ad un numero che si aggira intorno alle 50 Province», sulle attuali 107. Ora per la sforbiciata si pensa a due criteri, che verranno messi nero su bianco dal governo entro 10 giorni, come specificato nel decreto: una popolazione inferiore ai 350 mila abitanti e l’estensione sotto 3 mila chilometri quadrati. E in base a questi, le Province sotto osservazione sono 61 nelle Regioni a statuto ordinario, mentre solo 25 (compresi i capoluoghi che vengono fatti salvi) soddisfano i requisiti.
Questo non significa necessariamente che tutti gli enti saranno soppressi: sono infatti possibili accorpamenti. Due o tre province a rischio potrebbero coalizzarsi tra loro per evitare di sparire, poi a decidere saranno i consigli delle Autonomie (organi regionali). Così per esempio, abbandonando i campanilismi, potrebbero mettersi assieme i pisani e i livornesi, gli emiliani di Ferrara e i romagnoli di Ravenna.
Seguendo gli stessi requisiti in Sicilia su 9 Province ne rimarrebbero 4 (oltre a Palermo, Agrigento, Catania e Messina), e in Sardegna si salverebbe solo Cagliari. In quanto Regioni a Statuto speciale dovranno adeguarsi, inserendo quanto stabilito nei propri statuti, ma con più tempo davanti: «6 mesi dall’entrata in vigore del decreto».
L’obiettivo del governo Monti è quindi molto più ambizioso di quello comparso e poi sparito dalla manovra di Ferragosto dell’anno scorso, la seconda estiva del governo Berlusconi. Il 13 agosto l’allora ministro leghista Roberto Calderoli aveva tracciato il quadro della riduzione di quegli Enti con meno di 300 mila abitanti o di 3 mila chilometri quadrati. Il taglio avrebbe riguardato 29 Province su 107. Si ricorderà che però il provvedimento incontrò tra l’altro le resistenze della Lega, poi i fatti hanno travolto le intenzioni e il taglio delle Province è diventato un giallo a puntate.
Ed eccoci ad oggi. Il governo ha già fissato il target, i passi successivi sono due: la determinazione dei criteri geo-demografici cui dovrà seguire un provvedimento delle Regioni sul piano di «riduzioni e accorpamenti», che diventano operativi entro 20 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione della spending review.
In ogni caso, gli enti sopravvissuti saranno sottoposti alla cura dimagrante: come già previsto dal decreto «Salva Italia», avranno solo presidente e consiglio, mentre le giunte saranno soppresse. Finita la fase di riorganizzazione le Province avranno funzioni di pianificazione territoriale provinciale, tutela e valorizzazione dell’ambiente, e pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale. L’articolo 18 del decreto stabilisce anche che le città metropolitane vedranno la luce entro il primo gennaio del 2014. Saranno 10: Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Roma e Genova e avranno un «sindaco metropolitano», che potrà essere il sindaco del comune capoluogo o eletto dai cittadini; e un consiglio eletto tra i sindaci del territorio.
Melania Di Giacomo
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Se nel 2004 la Provincia di Fermo non si fosse divisa da Ascoli-Piceno, insieme avrebbero avuto più di 350 mila abitanti e in coabitazione avrebbero resistito alle revisione delle Province. E quella Monza e Brianza dovrà tornare a congiungersi con la Città Metropolitana di Milano o scegliere di fare Provincia con una limitrofa. Così come la Provincia a tre teste Barletta-Andria-Trani potrà scegliere se stare con Foggia (che sopravvive alla spending review) o andare nella città metropolitana di Bari. Sono alcuni degli effetti della riorganizzazione delle Province, con le 61 sub-judice, che cambierà la geografia italiana. Elenco di quelle a rischio alla mano si nota che la provincia di Perugia dovrebbe diventare estesa quanto la Regione Umbria, se ingloberà anche Terni; con lo stesso ragionamento il territorio di Campobasso grande quanto il Molise sommando la Provincia di Isernia che dovrebbe essere sciolta. Stesso discorso per Potenza che dovrebbe includere anche Matera.
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Quando la Provincia di Torino sarà sciolta per diventare città metropolitana, scomparirà un ente più antico dell’Italia stessa. Fu creata due anni prima dell’Unità con la legge Rattazzi, che le conferì una rappresentanza elettiva e un’amministrazione autonoma. Su quel modello sono state poi costituite le altre Province Italiane. Risalgono alla seconda metà dell’800 (all’epoca in tutto erano 59) anche altre Province che saranno soppresse seguendo i criteri indicati dal governo: da Ascoli Piceno ad Imperia, Benevento, Caltanissetta, Livorno, Macerata, Massa Carrara, Teramo e Piacenza. Sono di epoca fascista La Spezia, Gorizia, Enna, Matera, Pescara, Ragusa, Rieti, Savona, Terni e Vercelli. Le ultime tre, Monza e Brianza, Barletta-Andria-Trani e Fermo, sono nate nel 2004 e diventate operative dal 2009 con le prime elezioni, rischiano quindi di scomparire dopo una sola consiliatura. La Sardegna, Regione a Statuto Speciale, con un referendum lo scorso maggio, aveva già decretato l’abolizione delle sue 4 più recenti, Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Sulcis Iglesiente.
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Il governo è intenzionato a dimezzarle, l’Upi (Unione delle Province) parla piuttosto di «accorpamento». «Ieri sera (giovedì, ndr), prima del Consiglio dei ministro — dice il presidente, Giuseppe Castiglione — ho sentito il ministro Patroni Griffi e gli ho assicurato che vogliamo fare la nostra parte, ma il testo che è uscito è molto lacunoso e desta preoccupazione, mentre da un governo tecnico ci si sarebbe aspettati chiarezza». Carte alla mano, in effetti non è chiaro quando gli enti dovrebbero essere soppressi. E questo — aggiunge Castiglione — pone problemi pratici e politici. Oltre ai tagli che «ci preoccupano, perché con 500 milioni in meno rischiano di far saltare i bilanci», c’è la questione della scadenza dei mandati: «Se il riordino ci dovesse essere prima, come si farebbe a dire che il presidente della Provincia non è più quello che un cittadino ha eletto, ma è quello eletto da altri?». L’Upi ha scritto «una lettera ai segretari di partito, e chiede di essere ascoltata dalle commissioni parlamentari già la prossima settimana. Altrimenti non vedo altra strada che una mobilitazione dei presidenti».