Dino Martirano, Corriere della Sera 7/7/2012, 7 luglio 2012
ROMA —
Tra i 165 tribunali, ci sono 31 mini uffici giudiziari che trattano meno di 5000 nuovi fascicoli all’anno. Ma sul territorio nazionale ci sono sedi giudiziarie ancora più parcellizzate: tra le 220 sezioni distaccate ne esiste una da record (è quella di Guastalla, ma non è stato il ministro a rivelarne il nome) in cui lavorano 5 unità di personale amministrativo che producono «poco più di un centinaio di procedimenti utilizzando strutture che costano ai cittadini per le sole spese vive circa 50 mila euro l’anno». Per non parlare poi dei micro uffici del giudice di pace in cui, con un carico di poche decine di cause ogni anno, vengono utilizzati fino a sei impiegati: e questo succede a Pozzomaggiore, Calvello, Laurenzana, Nulvi, Casacalenda, Santo Stefano Belbo.
Ecco, partendo da questa geografia ottocentesca — «disegnata più sui viaggi in carrozza che sull’alta velocità» — il governo ha fatto cadere la scure sui rami secchi della giustizia: cancellati, dunque, 37 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate, 674 uffici del giudice di pace per un totale di 1.000 edifici che verranno dismessi. Il decreto legislativo varato dal consiglio dei ministri e predisposto dal ministro Paola Severino prevede che gli spostamenti del personale nelle «sedi accorpanti» potranno essere diluiti in 18 mesi ma per l’attuazione della delega ci sono 5 anni di tempo: anche se «l’accorpamento va fatto subito dove c’è la possibilità».
Il ministro Severino ha voluto chiarire che lo schema di decreto legislativo è stato «condiviso all’unanimità dal consiglio dei ministri». E poi ha aggiunto: «Un ministro (Filippo Patroni Griffi, ndr) mi ha raccontato che molti anni fa suo padre gli disse: "Chissà se almeno tu, quando sarai grande, vedrai la riforma delle circoscrizioni giudiziarie". Per questo dico che la riforma è davvero epocale».
Ma una rivoluzione del genere è anche impopolare e le critiche al governo non vengono risparmiate. Feroci quelle degli avvocati (in sciopero) che sono stati attaccati frontalmente dal ministro: «La loro protesta si basa sul pregiudizio e io, che li conosco bene, dico che gli avvocati dovrebbero essere interessati all’efficienza della giustizia». Ma Maurizio Di Tilla (Oua) è già partito alla carica: «Non è una riforma epocale, è un pasticcio. Ora sarà rivolta...». Il Guardasigilli ha attaccato anche chi legge questa riduzione delle sedi giudiziarie come «una resa alla criminalità organizzata: «No, non è un resa. Tagliamo i rami secchi non la spesa».
I giochi, tuttavia, non sono ancora conclusi. Lo schema di decreto legislativo (costruito dalla direzione dell’organizzazione giudiziaria diretta da Luigi Biritteri) deve compiere ancora gli ultimi due passaggi: mancano i pareri non vincolanti (delle commissioni giustizia di Camera e Senato e del Csm) e la stesura definitiva prevista a settembre. Bene, ha detto il ministro, «confido nella collaborazione del Parlamento e del Csm affinché tutti capiscano che stiamo lavorando in una sede pubblica e non nel segreto di una stanza. Per cui nessuno pensi che qui si sia aperto il mercatino dei tribunali».
Tradotto, questo vuole dire che ci sono pure i margini per depennare dalla lista delle chiusure quelle situazioni al limite che non ce l’hanno fatta a superare i criteri oggettivi stabiliti dalla legge delega e tradotti nel decreto. Possono continuare a sperare Chiavari (che ha un palazzo di Giustizia nuovo di zecca) e Castrovillari (dove se ne sta ultimando un altro che è costato molti milioni), Lamezia Terme dilaniata dalla criminalità, Cassino, Caltagirone e Sciacca. I ripescaggi possono anche esserci — ha detto il ministro pur facendo attenzione a non fare nomi — «ma vanno individuati criteri oggettivi che valgano per tutti».
L’impatto della criminalità organizzata e lo stato delle infrastrutture, ha lasciato intendere, sono due parametri fondamentali da prendere in considerazione: «Molti parlamentari sono venuti da me a rappresentare la propria richiesta ma dico che ora i cittadini saranno soddisfatti di questo provvedimento anche se costerà un piccolo sacrificio. Quello di fare 10 chilometri in più rispetto al tribunale sotto casa».
Dino Martirano
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In realtà i tribunali destinati alla chiusura — perché non sufficientemente produttivi — sarebbero ben più dei 37 individuati dal ministero della Giustizia. Dalla lista di quelli potenzialmente a rischio sono stati infatti esclusi 8 mini tribunali, salvati paradossalmente perché un anno fa il senatore Domenico Benedetti Valentini (Pdl) riuscì a imporre la cosiddetta «regola del tre», secondo la quale ogni distretto di Corte d’appello deve poter mantenere almeno tre tribunali. Benedetti Valentini, noto avvocato spoletino, nega che la sua Spoleto si sia salvata solo per la «regola del tre» ma, semmai, anche per «la lettera e la delega» che prevede variazioni dei territori dei circondari su cui insistono i tribunali. Eppure, ha lasciato intendere il ministro, i risultati di quella regoletta sono sotto gli occhi di tutti: si salvano, oltre a Spoleto, Rovereto, Vallo della Lucania, Lagonegro, Locri, Palmi, Barcellona e Patti mentre la scure del governo, seguendo i criteri della legge delega, deve cadere su Paola, Rossano, Lamezia, Castrovillari, Voghera, Chiavari, Tolmezzo, Vigevano, Orvieto, Crema, Cassino, Bassano del Grappa.
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A Chiavari tutti si chiedono perché lo Stato abbia investito 13 milioni di euro nel nuovo palazzo di giustizia (collegato direttamente al carcere per evitare i costi delle traduzioni dei detenuti) e poi con un tratto di penna cancelli quella sede giudiziaria trasferendo giudici, cancellieri, avvocati e fascicoli nell’intasatissima Genova. A una domanda del Corriere della Sera, il ministro della Giustizia Paola Severino ha risposto: «Chiavari è l’unico caso di un tribunale con una nuova edificazione e questo non è un criterio che rientra nella delega». Come dire, che la maggioranza di centrodestra che nell’estate 2011 votò la legge delega si è dimenticata di escludere dai tagli le sedi con nuovi ed efficienti palazzi di giustizia. Eppure ora Michele Scandroglio, parlamentare ligure del Pdl, se la prende con la Guardasigilli che ha assunto il suo incarico a novembre del 2011: «È uno scandalo che siano stati spesi 13 milioni e mezzo di euro per una nuova sede che non verrà utilizzata. Alla Camera, in sede di parere, cercherò nuovamente di spiegare che la chiusura di Chiavari è contraria ai principi di risparmio».
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A Castrovillari si sta per verificare una situazione paradossale: il tribunale è destinato a sparire dalla carta geografica delle sedi giudiziarie mentre in città si stanno ultimando i lavori del nuovo palazzo di giustizia. Come ha documentato Luigi Brindisi sul quotidiano «Calabria ora», le spese per la nuova cittadella giudiziaria sono state elevate: 12 milioni di euro stanziati perlopiù dal ministero della Giustizia e in minima parte dal Comune. Il paradosso, dunque, sta per colpire questo grosso centro della provincia di Cosenza che di recente ha visto nella sua aula bunker l’ennesimo maxi processo contro la ’ndrangheta dello Ionio: se passa il piano del governo, a Castrovillari presto ci saranno due sedi fantasma, il vecchio e il nuovo tribunale. Sul punto è intervenuta Doris Lo Moro, parlamentare calabrese del Pd: «Il Pd che ha votato contro quella legge delega voluta a sua tempo dalla maggioranza del governo Berlusconi, non può sostenere attuazioni irragionevoli o ragionieristiche».