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 2012  luglio 07 Sabato calendario

ROMA —

Davanti alle elaborazioni che «attraverso le analisi di regressione su variabili combinate» arrivano a «un indicatore di normalità, cioè all’interpolante statistica» i ministri si sono arresi. L’analisi del commissario Enrico Bondi sugli sprechi nella spesa pubblica è passata senza obiezioni. Chi avrebbe potuto del resto mettere in discussione tabelle, calcoli e risultati frutto delle rilevazioni sugli acquisti di beni e servizi raggruppati in 54 categorie merceologiche effettuati da Regioni, Province, Comuni, Università, enti ricerca, enti pubblici non territoriali, che salgono a 72 nel caso dei ministeri e che si completano con le 15 categorie merceologiche monitorate per le Asl e gli enti ospedalieri?
Ha lavorato sodo e con scrupolo il risanatore Bondi, 77 anni, manager aretino laureato in chimica, già salvatore della Montedison e poi della Parmalat, chiamato qualche mese fa dal presidente del Consiglio, Mario Monti, a rimettere ordine nel modo in cui lo Stato e le sue articolazioni comperano beni e servizi. Un settore nel quale nessuno riesce ad addentrarsi perché ciascuna amministrazione segue i suoi percorsi, come testimonia il fatto che solo una minima parte degli acquisti (28,8 miliardi di euro) passa per la Consip, la società del Tesoro che dal 2000 ha tra i suoi obiettivi la «Razionalizzazione degli acquisti della P.A.». E allora Bondi, pragmatico com’è, ha seguito la via breve: con l’aiuto dell’Istat e della Ragioneria generale dello Stato ha setacciato tutto il setacciabile per giungere a una prima conclusione su un campione di spesa per beni e servizi molto significativo, pari a 61 miliardi di euro. Una conclusione basata su evidenze statistiche, appunto. Numeri che parlano da soli.
L’eccesso di spesa, ha spiegato l’altra sera in Consiglio dei ministri il commissario Bondi, va «dal 25% al 60% rispetto all’indicatore di normalità» o, nel caso dei comuni, rispetto a «un indicatore che si chiama "frontiera dell’efficienza"» e che è stato calcolato dalla Sose, la società pubblica per gli studi di settore. Spiegazioni statistiche dietro le quali si nasconde il semplice fatto che uno stesso oggetto, sia esso una lampadina o un rotolo di carta igienica, viene pagato da un’amministrazione 100 e da un’altra 160. Eccessi di spesa, ha continuato Bondi «su una quantità censita non enorme». Come dire: immaginate il resto. Di qui la conclusione: «Esistono abbondanti possibilità di risparmio». Che ha trovato concordi tutti i ministri. E ci mancherebbe.
L’analisi insomma non è stata contestata. Perfettamente a suo agio tra tecnici come lui, alcuni dei quali conosce personalmente da molti anni, l’«ospite» Bondi ha fatto la sua esposizione, come in un seminario. Poi è uscito, lasciando campo alla discussione su come tagliare. Strumenti messi a punto dal Tesoro e sui quali si è acceso il dibattito tra i ministri. Quello della Salute, Renato Balduzzi, ha difeso il suo territorio. E non è un caso che Bondi, nella conferenza stampa notturna al termine del Consiglio dei ministri, abbia specificato che la sua analisi ha toccato la Sanità solo per «gli acquisti di beni e servizi di natura non sanitaria». Ma, per carità, racconta uno dei ministri «non c’è stato alcuno scontro: forse perché siamo tecnici e non politici le nostre riunioni sono sempre tranquille, al massimo si discute, ma tra professori: non si alza mai la voce».
Superato l’ostacolo Sanità, l’esame del decreto si è avviato alla conclusione, con qualche modifica di dettaglio, come quando il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, ha chiesto e ottenuto da Monti di togliere la norma che cancellava l’obbligo per le amministrazioni di pubblicare sui quotidiani avvisi e bandi di gara per le forniture, «per non mettere ulteriormente in difficoltà il settore dell’editoria». E con cambiamenti di sostanza, come la previsione di arrivare con la prossima legge di Stabilità a escludere qualsiasi aumento dell’Iva. Del resto, se c’è un fantasma che ha aleggiato sulla lunga riunione del Consiglio dei ministri dell’altra notte è proprio quello della crescita, del prodotto interno lordo che, nonostante gli sforzi, non riparte.
Il governo non la chiama manovra, ma quello deciso è pur sempre un taglio della spesa pubblica da 26 miliardi. Passera, che già più volte ha espresso preoccupazione per i risvolti sociali della crisi, ha chiesto di evitare possibili effetti deflattivi, destinando i risparmi a interventi per la crescita, a cominciare appunto dallo scongiurare l’aumento dell’Iva. Bondi, nel frattempo rientrato, ha ascoltato senza più intervenire. Poi, in sala stampa, il «commissario» come lo ha sempre chiamato Monti ringraziandolo per «la forza e l’immaginazione che ha messo in questo lavoro», è tornato sulla sua esperienza: «Mi ha appassionato vedere come tante volte si potrebbero fare grandi risparmi in maniera semplice e indolore. Per esempio ci sono evidenze statistiche che in Italia abbiamo punti e tempi di illuminazione pubblica superiori alla media». Contributi arrivati dai cittadini via email. L’associazione Cielobuio ha calcolato che si potrebbe risparmiare mezzo miliardo adeguando l’illuminazione pubblica ai livelli di Germania o Regno Unito. E ancora di più si potrebbe ottenere sostituendo le lampadine con i led, come sta facendo il comune di Catania, ha concluso Bondi abbagliato dai fari delle tv. Chissà se da ieri qualcuno a Palazzo Chigi fa attenzione a spegnere le luci.
Enrico Marro