Varie, 7 luglio 2012
Lo scandalo Libor
Pallinato Billi (Barclays) Il 28 giugno, autorità inglesi e americane hanno recapitato nella sede inglese della Barclays Bank una multa da 290 milioni di sterline. Sono 450 milioni di dollari. La più grossa sanzione della storia bancaria. Tutto è partito dalla denuncia anonima di un informatore raccolta dalla Commodity futures trading commission (Cftc) nel 2008 e portata avanti dalla Financial services authority britannica e dal Department of Justice statunitense. Il governo ha dato subito il via a una commissione d’inchiesta, la polizia anti-truffa comincia a valutare eventuali risvolti criminali. Barclays, insieme alle colleghe Royal Bank of Scotland, Hsbc e diverse altre, è accusata di aver manipolato per una decina d’anni le informazioni sui prestiti interbancari, falsando così la formazione del Libor, il tasso al quale sulla piazza di Londra le banche si prestano denaro tra di loro e che ha importanza fondamentale, non fosse altro perché è anche uno dei parametri su cui si decidono le rate dei mutui. il Foglio 3/7/2012 «Aldilà dei difficili tecnicismi, la sostanza è che muovere i tassi Libor, gonfiandoli o sgonfiandoli a comando, significa che si succhiano profitti su una torta globale di 500 trilioni di dollari». Fabio Cavalera, Corriere della Sera 30/6/2012 Lo scandalo tocca una ventina di banche ma il dito è puntato su Barclays perché reo confessa. Il presidente Marcus Agiusc si dimette in un batter d’occhio. Pochi giorni dopo, sotto le pressioni di governo e Banca di Inghilterra, tocca anche al direttore generale della banca Jerry del Missier e, soprattutto, all’amministratore delegato Bob Diamond, ritenuto da tutti il grande indiziato (nel frattempo rientrano le dimissioni di Agius a cui adesso tocca trovare un manager che riporti credibilità alla banca). Bob Diamond, «personalità arrembante più volte finita negli scandali per i suoi stipendi mirabolanti (4 milioni di sterline di salario base), per operazioni controverse (l’acquisto del ramo investimenti di Lehman Brothers) e per una certa sfrontatezza: l’anno scorso, appena arrivato al vertice di Barclays, disse che “il tempo delle scuse e dei rimorsi per i banchieri è finito”». Il Foglio 3/7/2012 «Qualcuno si era accorto che Bob Diamond era un simbolo pericoloso per la cittadella finanziaria sul Tamigi. Era il più ricco, 100 milioni di sterline di bonus in sei anni. Era americano, nel tempio costruito da pallidi banchieri con bombetta ed ombrello. Ed era troppo arrogante per capire la lezione dell’understatement inglese, la regola non scritta che suggerisce di non fare gli sbruffoni. “Il volto impresentabile del capitalismo”, lo definì Peter Mandelson, guru del blairismo. E quando un anno e mezzo fa promossero Diamond da capo del settore investimenti a capo supremo della Barclays, il suo direttore del marketing ebbe un dubbio: scusa, Bob, gli chiese, ma tu hai mai ritirato del contante con un bancomat? “Cavolo, no di certo, se ho bisogno di cash mando la segretaria a prendermelo”». Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 Libor sta per London interbank offered rate. Funziona per dieci valute e quindici diverse scadenze: ha quindi 150 diverse forme che ogni giorno girano sugli schermi degli operatori di tutto il mondo. 350 mila miliardi di dollari di derivati su tassi e 10 mila miliardi di prestiti e mutui guardano a qualche tipo di Libor per sapere quanto valgono. Giuditta Marvelli, Corriere della Sera 4/7/2012 Per costruire quel tasso ci sono sedici persone che alle 11 del mattino di ogni giorno rispondono alla stessa domanda: a quali tassi la banca che rappresentate può finanziarsi in pound? Se per la sterlina le banche sono sedici, per il dollaro sono diciotto, per il dollaro australiano gli istituti sono sette, per l’euro quindici e via così fino a coprire il panel di monete che si vogliono considerare. In totale sono coinvolte 22 banche da Barclays a Hsbc, da Jp Morgan a Norinchukin. I tassi sono comunicati a un addetto della British Banking Association (l’Abi inglese) che li gira a Thomson Reuters a cui è stato dato il mandato di eseguire i calcoli. Il conto è presto fatto: si eliminano le fasce più alte e quelle più basse e si fa la media del resto. A mezzogiorno è tutto pronto. Il meccanismo prosegue così da un trentennio circa. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012. «Il 20% del mercato interbancario si consuma a Londra, dove si svolge anche un terzo delle transazioni forex planetarie. Una realtà che ha contribuito a consolidare l’importanza del Libor, divenuto tasso di riferimento per numerosi strumenti finanziari. E termometro della salute di una banca: Thomson Reuters, infatti, pubblica il dato mediano, il Libor appunto, ma anche le indicazioni fornite da ciascun istituto. La percezione dello stato di salute della banca è fortemente influenzata dalla capacità, dichiarata, dei tassi per finanziarsi. Lo scandalo è tutto qui. Si chiama in causa l’autenticità del dato e il sospetto è che ci sia stato un deliberato lowballing , ribasso delle stime da parte delle banche con l’obiettivo di rassicurare i mercati». Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 I dettagli del sistema vengono fuori da alcune e-mail sequestrate dalla magistratura inglese e da quella statunitense: se alle 11 di ogni mattina un panel di banche doveva comunicare alla British Banking Association il tasso a cui prestava denaro alle altre istituzioni allo stesso tempo gli istituti speculavano scommettendo cifre importanti su rialzi o ribassi del Libor. Così dal 2005 al 2009 le autorità hanno individuato comunicazioni tra le sedi di New York, Londra e Tokyo di Barclays, con 173 richieste di manipolazione del Libor (indice inglese) e 58 dell’Euribor (indice europeo). Le e-mail sono informali, come questa del settembre 2006: «Ciao ragazzi, abbiamo una posizione importante sul Libor a tre mesi nei prossimi giorni. È possibile mantenerlo al 5,39 per cento? Sarebbe veramente d’aiuto». Febbraio 2007: «Ehi ragazzi, questo vostro tipo che piazza il tasso a tre mesi al 3,45 per cento non va per niente bene, ditegli di alzarlo». Risposta immediata: «Gli parlo subito». Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 7 settembre 2006. «Ho una grossa operazione da concludere oggi e mi aiuterebbe molto se l’Euribor fosse il più basso possibile». «Farò del mio meglio». 13 ottobre 2006. «Ho un’operazione gigante lunedì, intorno ai 30 miliardi. Mi servirebbe un Euribor bello, bello alto. Mi puoi aiutare?». «Facciamo sempre del nostro meglio». Non siamo al mercato del pesce. Nemmeno in un Suk arabo. Queste sono e-mail di alcuni operatori in derivati intercettate presso la sede di Barclays. Mail che svelano cosa ci sia dietro il tasso Euribor, quello su cui sono indicizzati i mutui di milioni di italiani e di europei: una gigantesca manipolazione. Un gioco di prestigio. Che per anni è servito alle banche, in questo caso a Barclays, per avvantaggiarsi nelle operazioni in derivati. Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Ma è con l’inizio della crisi finanziaria, tra il 2008 e il 2009, che le manipolazioni iniziano ad avere un altro obiettivo: far calmare le voci che indicavano Barclays in crisi di liquidità. «È il 3 settembre 2007. E al quartier generale di Barclays l’allarme è alto. “Alcuni senior manager di Barclays Bank – si legge – istruiscono gli operatori che inseriscono i contributi sul Libor in dollari di abbassare i livelli». Questo forse non riusciva ad ridurre effettivamente il Libor finale, ma certamente serviva per ridimensionare l’allarme sulla crisi di liquidità di Barclays: dichiarando di ottenere finanziamenti a tassi contenuti, infatti, la banca smentiva le voci sulla sua presunta crisi di liquidità». Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Lo scandalo lambisce anche la Banca d’Inghilterra. Sembra che le operazioni sospette di Barclays chiamino in causa il suo vicegovernatore, Paul Tucker, e l’allora governo laburista. «Bob Diamond ha sostenuto davanti alla Commissione che Tucker gli parlò delle stime curiosamente alte dei tassi da parte di Barclays, citando telefonate “preoccupate” di Whitehall, ovvero del governo. Pochi giorni dopo, le stime del Libor di Barclays crollarono da un più 0,15% a un meno 0,20%: “Credo siano stati dei ministri ad aver espresso preoccupazioni sulla stima del Libor di Barclays. Credo pensassero che data la crisi forse non potevamo più finanziarci e quindi avrebbero dovuto nazionalizzare la banca”». [Baduel, Rep] Sempre Bob Diamond, davanti alla commissione d’inchiesta del Tesoro, individua due fasi del caso. Una prima, dal 2005 al 2007, in cui gli operatori della banca agivano per arricchimento personale, e «la maggior parte dei 14 trader scorretti sono stati licenziati». Un secondo periodo, invece, successivo, e per così dire «di sistema», comincia nel 2007, quando i tassi espressi da Barclays cominciano a essere i più alti in assoluto in Gran Bretagna, e il mercato inizia a innervosirsi. Di qui il presunto avallo della Bank of England al raffreddamento artificiale: per non dover ammettere le difficoltà della banca. E, nota il Fianacial Time, protegge anche l’intero sistema: perché se Barclays avesse comunicato il suo vero stato di salute, anche gli altri istituti avrebbero dovuto seguirla, scatenando una reazione a catena. Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 Masneri: «E gli effetti positivi di un meccanismo non certo cristallino non finiscono qui: Barclays agiva anche calmierando i tassi, e a essere beneficiati – almeno in teoria – potrebbero essere stati ignari possessori di case. Degli 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari che nel mondo vengono tarati su Libor ed Euribor, infatti, i mutui sono una parte considerevole e i tassi raffreddati artificialmente dai banchieri di Barclays potrebbero aver contribuito a rendere le rate meno care». Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 In che rapporti sono Libor ed Euribor, il tasso a breve più familiare per gli italiani e gli europei? L’Euribor (Euro interbank offered rate) si è imposto negli ultimi anni come indicatore della stessa grandezza – il saggio a cui le banche sono disposte a prestarsi soldi – per i Paesi delle moneta unica. Il meccanismo con cui viene formato è simile a quello del Libor. Giuditta Marvelli, Corriere della Sera 4/7/2012 Se al Libor sono legati 350 mila miliardi di dollari di derivati e 10 mila miliardi di prestiti e mutui. All’Euribor, oltre a una montagna di mutui, sono indicizzati 220 mila miliardi di derivati. Praticamente tutto il mondo finanziario, ma anche la vita di tutti i giorni, gira su Libor ed Euribor». Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 «Fino ad oggi sembrava che le manipolazioni riguardassero principalmente il tasso inglese. Ma un maxi-documento pubblicato dall’americana Cftc (Commodity Futures Trading Commission) racconta una storia ben più complessa: ad essere manipolato era anche, o soprattutto, il tasso Euribor. Il tasso Euribor viene fissato ogni giorno grazie al contributo di 40 banche coordinate dalla Ebf (associazione bancaria non regolamentata). Ogni istituto comunica in via elettronica a Thomson Reuters il tasso al quale pensa di poter ottenere finanziamenti non garantiti: Thomson Reuters fa la media e fissa quotidianamente il tasso Euribor ufficiale. Con questa procedura è dunque difficile che una singola banca possa da sola manipolare l’Euribor, perché il tasso viene fissato su una media di 40 contributi diversi. Ma un modo c’è ugualmente: basta che più banche si mettano d’accordo. Insieme possono influire con maggiore efficacia sul risultato finale». Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Alcuni fondi, le cui strategie dipendono dall’Euribor o dal Libor, stanno già pensando a fare causa. Franceschini: «Alan Rusbridger, direttore del filo-laburista Guardian: “Lo scandalo dei rimborsi spese truccati dei deputati ha dimostrato che la politica è disonesta, il Tabloidgate dei giornali di Rupert Murdoch sta dimostrando che gran parte dell’informazione e dei media sono disonesti, ora il Liborgate potrebbe rivelare che sono disoneste anche le banche”. Le istituzioni (tranne la magistratura) che hanno fatto grande la Gran Bretagna sono insomma finite nella fogna». Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 ---------- Il 28 giugno la Financial Service Authority (la Consob britannica) commina una multa da 290 milioni di sterline a Barclays. Barclays è stata multata per 450 milioni di dollari, la più grossa sanzione della storia bancaria, dalle autorità inglesi e americane congiunte. Avrebbe manipolato nientemeno che il tasso Libor, su cui si basano 360 trilioni di dollari di obbligazioni in essere in tutto il pianeta, per trarre vantaggio dalle oscillazioni “pilotate” di esso. Eugenio Occorsio, Affari & Finanza, La Repubblica 2/7/2012 costata mezzo miliardo di dollari di multa a quella che è considerata l’ultima banca privata inglese. Il governo ordina una commissione d’inchiesta, la polizia anti-truffa (Serious fraud office) valuta gli eventuali risvolti criminali. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 l’aggiustamento dei tassi interbancari secondo i desiderata di banche e traders. che segnala i tassi effettivamente pagati dalle banche e non quelli comunicati all’esterno La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la scoperta e l’ammissione che per una decina d’anni i trader dei maggiori istituti di credito hanno convinto i senior manager a taroccare i tassi Libor sui prestiti interbancari giornalieri e che, alzandosi o abbassandosi, ricadono in ultima istanza sulle contrattazioni di derivati (in particolare dei prodotti costruiti proprio sull’altalena degli interessi), poi sui costi dei contratti di mutuo e delle carte di credito. Aldilà dei difficili tecnicismi, la sostanza è che muovere i tassi Libor (acronimo per «London Interbank Offered Rate»), gonfiandoli o sgonfiandoli a comando, significa che si succhiano profitti su una torta globale di 500 trilioni di dollari. Fabio Cavalera, Corriere della Sera 30/6/2012 Libor, chi era costui? E in che relazioni di parentela sta con l’Euribor, il tasso a cui è collegato il mutuo per la casa? L’ultimo scandalo della finanza anglosassone porta alla ribalta un acronimo di cui molti risparmiatori hanno già sentito parlare. Libor sta per London interbank offered rate ed è il tasso a cui le banche sulla piazza di Londra si prestano il denaro. Per «costruire» quel tasso che i banchieri di Barclays (e anche altri? Chissà) avrebbero artificialmente diminuito per lustrarsi l’affidabilità, ogni giorno scendono in campo una ventina di banche. Il numero magico, ottenuto scartando i valori troppo ridotti e quelli troppo alti, viene definito rispondendo a questa domanda: «A che tasso pensate di poter prendere a prestito soldi dalle altre banche?». Il Libor funziona per dieci valute e quindici diverse scadenze: ha quindi 150 diverse forme che ogni giorno girano sugli schermi degli operatori di tutto il mondo, spostando 350 mila miliardi di dollari «appoggiati» su contratti derivati e prodotti finanziari che guardano a qualche tipo di Libor per sapere quanto valgono. Ed è proprio nella necessità di far funzionare dei contratti derivati che alcuni avrebbero infranto le regole. Giuditta Marvelli, Corriere della Sera 4/7/2012 In che rapporti sono Libor ed Euribor, il tasso a breve più familiare per gli italiani e gli europei? L’Euribor (Euro interbank offered rate) si è imposto negli ultimi anni come indicatore della stessa grandezza — il saggio a cui le banche sono disposte a prestarsi soldi — per i Paesi delle moneta unica. Il meccanismo con cui viene formato è simile a quello del Libor. Anche se il maggior numero di banche partecipanti al procedimento (una quarantina, quasi il doppio) potrebbe, si dice, renderlo meno influenzabile. Giuditta Marvelli, Corriere della Sera 4/7/2012 ##Lo scandalo Barclays investe il sistema bancario • Sulla Stampa Deaglio spiega lo scandalo che ha investito Barclays e perché riguarda solo indirettamente l’Italia: «Barclays ha accettato di pagare una multa di 451 milioni di dollari, il che potrebbe essere solo l’inizio, e presidente e amministratore delegato si sono dimessi in un batter d’occhio, e anche questo potrebbe essere solo l’inizio. La parola di Barclays Bank è risultata sistematicamente contraffatta per diversi anni, durante i quali ha manipolato, o quanto meno contribuito a manipolare, il Libor, uno dei tassi chiave del mercato finanziario mondiale, sulla base del quale ogni giorno si chiudono milioni di contratti. E sicuramente non ha agito da sola: i siti finanziari riportano i nomi di almeno altri 5-6 colossi, europei e americani, veri pilastri dell’economia finanziaria globale che avrebbero preso parte alla falsificazione. E’ bene sottolineare che il mondo bancario italiano non appare toccato da questo giro nefasto; in parte perché le dimensioni delle banche italiane non consentono loro, tranne pochissime eccezioni, di partecipare stabilmente al grande gioco della finanza globale e in parte per le sue tradizioni vecchiotte che lo fanno guardare con sospetto ai nuovi strumenti finanziari, e soprattutto perché la sorveglianza della Banca d’Italia è molto più occhiuta ed efficace di quella degli altri paesi avanzati. Un Libor manipolato ha quasi certamente avuto come conseguenza uno spread più elevato per paesi come l’Italia, la Spagna e anche la Francia». Fino ad oggi sembrava che le manipolazioni riguardassero principalmente il tasso Libor, quello inglese. Ma un maxi-documento pubblicato dall’americana Cftc (Commodity Futures Trading Commission) racconta una storia ben più complessa: ad essere manipolato era anche, o soprattutto, il tasso Euribor. Quello europeo. E di conseguenza mercati giganteschi. Solo al Libor sono legati 350mila miliardi di dollari di derivati su tassi e 10mila miliardi di prestiti e mutui. All’Euribor, oltre a una montagna di mutui, sono indicizzati 220mila miliardi di derivati. Praticamente tutto il mondo finanziario, ma anche la vita di tutti i giorni, gira su Libor ed Euribor. Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Il tasso Euribor viene fissato ogni giorno grazie al contributo di 40 banche coordinate dalla Ebf (associazione bancaria non regolamentata). Ogni istituto comunica in via elettronica a Thomson Reuters il tasso al quale pensa di poter ottenere finanziamenti non garantiti: Thomson Reuters fa la media e fissa quotidianamente il tasso Euribor ufficiale. Con questa procedura è dunque difficile che una singola banca possa da sola manipolare l’Euribor, perché il tasso viene fissato su una media di 40 contributi diversi. Ma un modo c’è ugualmente: basta che più banche si mettano d’accordo. Insieme possono influire con maggiore efficacia sul risultato finale. Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 7 settembre 2006. «Ho una grossa operazione da concludere oggi e mi aiuterebbe molto se l’Euribor fosse il più basso possibile». «Farò del mio meglio». Tredici ottobre 2006. «Ho un’operazione gigante lunedì, intorno ai 30 miliardi. Mi servirebbe un Euribor bello, bello alto. Mi puoi aiutare?». «Facciamo sempre del nostro meglio». Non siamo al mercato del pesce. Nemmeno in un Suk arabo. Queste sono e-mail di alcuni operatori in derivati intercettate presso la sede di Barclays. Mail che svelano cosa ci sia dietro il tasso Euribor, quello su cui sono indicizzati i mutui di milioni di italiani e di europei: una gigantesca manipolazione. Un gioco di prestigio. Che per anni è servito alle banche, in questo caso a Barclays, per avvantaggiarsi nelle operazioni in derivati. Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Per il Libor sulla sterlina gli gnomi sono sedici. Sedici piccoli indiani che alle 11 del mattino di ogni giorno che Dio mette in terra rispondono alla stessa domanda: a quali tassi la banca che rappresentate può finanziarsi in pound? L’interrogativo è in realtà un multiplo perché va moltiplicato per quindici volte (tanti sono i tassi per le differenti scadenze dal l’overnight ai 12 mesi) e poi per dieci valute. Se per la sterlina le banche sono sedici, per il dollaro sono diciotto, per il dollaro australiano gli istituti sono sette, per l’euro quindici e via così fino a coprire il panel di monete che si vogliono considerare. In totale sono coinvolte 22 banche da Barclays a Hsbc, da Jp Morgan a Norinchukin. Qualsiasi istituto può chiedere di partecipare ma deve fornire all’Associazione bancaria inglese il nome di un rappresentante.«I tassi – precisano alla British banking association – sono comunicati da un solo addetto che fa parte del Treasury team della banca a Thomson Reuters a cui abbiamo dato mandato di eseguire i calcoli». Il conto è presto fatto: si eliminano le fasce più alte e quelle più basse e si fa la media del resto. A mezzogiorno su milioni di schermi nel mondo appaiono i 150 tassi Libor, quindici scadenze per dieci valute. E così viaggiano nel 350 mila miliardi di dollari. Il meccanismo prosegue così da un trentennio circa. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 il 20% del mercato interbancario si consuma a Londra, dove si svolge anche un terzo delle transazioni forex planetarie. Una realtà che ha contribuito a consolidare l’importanza del Libor, divenuto tasso di riferimento per numerosi strumenti finanziari. E termometro della salute di una banca: Thomson Reuters, infatti, pubblica il dato mediano, il Libor appunto, ma anche le indicazioni fornite da ciascun istituto. La percezione dello stato di salute della banca è fortemente influenzata dalla capacità, dichiarata, dei tassi per finanziarsi. È in larga misura una presunzione, un’ipotesi presumibilmente ragionevole. Lo scandalo è tutto qui. Si chiama in causa l’autenticità del dato e il sospetto è che ci sia stato un deliberato lowballing , ribasso delle stime da parte delle banche con l’obiettivo di rassicurare i mercati. Nel caso di Barclays, rea confessa, è un fatto. Ma il destino non sarà diverso per tanti altri istituti ora indagati. Così fan (farebbero) molti, secondo i regolatori americani e inglesi. A scoperchiare quello che promette di essere un nuovo verminaio sotto il segno di un credito allegro, fu la Commodity futures trading commission nel 2008, che raccolse la denuncia anonima di un informatore dando corpo a sospetti molto diffusi e a quanto sembra del tutto giustificati. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 Il premier David Cameron in un lungo intervento ai Comuni è stato netto: «È uno scandalo quanto sta emergendo – ha dichiarato –. Per questo motivo, una commissione d’inchiesta parlamentare è stata incaricata di indagare a fondo. Raccoglierà testimonianze sotto giuramento. Avrà accesso a tutti i documenti del governo, del precedente governo e di tutti gli advisor. I banchieri che hanno agito in modo inappropriato dovranno essere puniti. E a conclusione di questo processo il Regno Unito avrà le norme più severe e trasparenti al mondo». Parole dure, ma che non arrivano a immaginare l’avvio di un’indagine pubblica analoga a quella assegnata dall’esecutivo al giudice Leveson per scandagliare i risvolti dello scandalo News of The World. E il motivo è semplice: sia l’ala Tory che quella liberaldemocratica del governo britannico vogliono una risposta rapida, nel giro di qualche settimana con l’obiettivo di introdurre nuove leggi entro la fine dell’anno. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 • «(…) Il capitolo della telefonata fra Diamond e Tucker del 29 ottobre 2008, che chiama in causa la Banca d’Inghilterra e l’allora governo laburista, è stato aperto da un’altra negazione. Diamond sostiene da giorni che Tucker gli parlò delle stime curiosamente alte dei tassi da parte di Barclays, citando telefonate “preoccupate” di Whitehall, ovvero del governo. Pochi giorni dopo, le stime del Libor di Barclays crollarono da un più 0,15% a un meno 0,20%. Ma ieri Diamond ha negato ogni responsabilità, ribadendo che Tucker parlò sia di stime alte che di interessamento del governo. Poi ha precisato: “Credo siano stati dei ministri ad aver espresso preoccupazioni sulla stima del Libor di Barclays. Credo pensassero che data la crisi forse non potevamo più finanziarci e quindi avrebbero dovuto nazionalizzare la banca”». [Baduel, Rep] alcuni fondi, le cui strategie dipendono dall’Euribor o dal Libor, stanno già pensando a fare causa. secondo il Financial Times, infatti, il sistema di manipolazione dei tassi messo in atto dal 2005 a Barclays e in 20 altre banche sotto inchiesta era perfettamente conosciuto dagli addetti ai lavori. Un sistema che viene svelato nei dettagli da alcune e-mail sequestrate dalla magistratura inglese e da quella statunitense: se alle 11 di ogni mattina un panel di banche doveva comunicare alla British Banking Association (l’Abi inglese) il tasso a cui prestava denaro alle altre istituzioni – più basso questo tasso, migliore la situazione economica percepita – allo stesso tempo gli istituti speculavano sui tassi, scommettendo cifre importanti su rialzi o ribassi del Libor. Le due operazioni, la stima dei tassi e la speculazione sugli stessi, avvenivano in divisioni diverse di Barclays, la sala trading e la tesoreria. Così dal 2005 al 2009 le autorità hanno individuato comunicazioni tra le sedi di New York, Londra e Tokyo di Barclays, con 173 richieste di manipolazione del Libor (indice inglese) e 58 dell’Euribor (indice europeo). Le e-mail sono informali, come questa del settembre 2006: “Ciao ragazzi, abbiamo una posizione importante sul Libor a tre mesi nei prossimi giorni. E’ possibile mantenerlo al 5,39 per cento? Sarebbe veramente d’aiuto”. Febbraio 2007: “Ehi ragazzi, questo vostro tipo che piazza il tasso a tre mesi al 3,45 per cento non va per niente bene, ditegli di alzarlo”. Risposta immediata: “Gli parlo subito”. Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 Dal 2007, con lo scoppio della crisi, le comunicazioni si diradano perché si teme di essere intercettati (come effettivamente succederà); nell’ottobre 2008 ci sarebbe stata poi la famosa telefonata – centrale nella vicenda, e che gli inquirenti devono verificare – tra lo stesso Diamond e il numero due della Banca d’Inghilterra, Paul Tucker, nel corso della quale quest’ultimo avrebbe dato l’avallo alla manipolazione dei tassi. Lo scandalo tocca una ventina di banche ma il dito è puntato in modo particolare contro le «big four». E la ragione è semplice: Barclays si è detta pronta a pagare una multa di 291 milioni di sterline. Ma il Daily Telegraph allarga pure alla Royal Bank of Scotland e ai Lloyds. E il Guardian inserisce nella lista la Hsbc. Fabio Cavalera, Corriere della Sera 30/6/2012 Sul tasso Libor inglese la manipolazione è ancora più facile, perché i contributi arrivano da meno banche. E infatti, testimonia l’inchiesta della Cftc e delle varie autorità inglesi e americane, le manipolazioni erano frequenti. Sempre per guadagnare con i derivati sui tassi. Ma è con l’inizio della crisi finanziaria, tra il 2008 e il 2009, che le manipolazioni iniziano ad avere un altro obiettivo: far calmare le voci che indicavano Barclays in crisi di liquidità. Questa strategia è evidente dopo un articolo di Bloomberg, che ventila appunto un problema di questo tipo per la banca inglese. È il 3 settembre 2007. E al quartier generale di Barclays l’allarme è alto. «È così che alcuni senior manager di Barclays Bank – si legge – istruiscono gli operatori che inseriscono i contributi sul Libor in dollari di abbassare i livelli». Questo forse non riusciva ad ridurre effettivamente il Libor finale, ma certamente serviva per ridimensionare l’allarme sulla crisi di liquidità di Barclays: dichiarando di ottenere finanziamenti a tassi contenuti, infatti, la banca smentiva le voci sulla sua presunta crisi di liquidità. Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 La banca, insieme alle “colleghe” Royal Bank of Scotland, Hsbc e diverse altre, è accusata di aver manipolato le informazioni sui prestiti interbancari, falsando così la formazione del libor, il tasso al quale le banche si prestano denaro tra di loro e che ha importanza fondamentale, non fosse altro perché è anche uno dei parametri su cui si decidono le rate dei mutui. il Foglio 3/7/2012 Forse i colossi della City speravano di chiuderla lì. Invece la storia prende contorni diversi. Dal governo all’opposizione, il coro è che bisogna colpire i furfanti. Che poi nell’occhio del ciclone ci sia Bob Diamond, amministratore delegato di Barclays, non è per accanimento ma solo per la certificata certezza (con ammissione) che il suo istituto ha superato i limiti del buonsenso. Fabio Cavalera, Corriere della Sera 30/6/2012 lo scandalo comincia a lambire anche la Banca d’Inghilterra. Il vicegovernatore, Paul Tucker, potrebbe dover riferire al Parlamento, perché sembra che le operazioni sospette di Barclays avessero il suo benestare. Ieri pomeriggio il primo ministro britannico, il conservatore David Cameron, ha confermato l’istituzione di una commissione parlamentare che “avrà accesso a documenti ufficiali e ministeriali, anche quelli del precedente governo, e potrà interrogare testimoni sotto giuramento”. Lo stesso Diamond individua due fasi del caso, come ha scritto in una lettera al presidente della commissione d’inchiesta del Tesoro, Andrew Tyrie. Una prima fase, dal 2005 al 2007, in cui gli operatori della banca agivano per arricchimento personale, e “la maggior parte dei 14 trader scorretti sono stati licenziati”. Un secondo periodo, invece, successivo, e per così dire “di sistema”, comincia nel 2007, quando i tassi espressi da Barclays cominciano a essere i più alti in assoluto in Gran Bretagna, e il mercato inizia a innervosirsi. Di qui il presunto avallo della Bank of England al raffreddamento artificiale: per non dover ammettere le difficoltà della banca, che come scrisse lo stesso Diamond, “non vuole guadagnarci, semplicemente proteggersi”. E, nota il Ft, protegge anche l’intero sistema: perché se Barclays avesse comunicato il suo vero stato di salute, anche gli altri istituti avrebbero dovuto seguirla, scatenando una reazione a catena. Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 Ma gli effetti positivi di un meccanismo non certo cristallino non finiscono qui: Barclays agiva anche calmierando i tassi, e a essere beneficiati – almeno in teoria – potrebbero essere stati ignari possessori di case. Degli 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari che nel mondo vengono tarati su Libor ed Euribor, infatti, i mutui sono una parte considerevole e i tassi raffreddati artificialmente dai banchieri di Barclays potrebbero aver contribuito a rendere le rate meno care. Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 Il 2 luglio, a sopresa, Marcus Agius si dimette. secondo un vecchio articolo della rivista britannica Private Eye, quando arrivò a Barclays venne istruito da un apposito staff, di domenica e a porte chiuse, a utilizzare il bancomat, strumento che mai aveva adoperato Il maggior indiziato è però Bob Diamond, amministratore delegato dell’istituto, personalità arrembante più volte finita negli scandali per i suoi stipendi mirabolanti (4 milioni di sterline di salario base), per operazioni controverse (l’acquisto del ramo investimenti di Lehman Brothers) e per una certa sfrontatezza: l’anno scorso, appena arrivato al vertice di Barclays, disse che “il tempo delle scuse e dei rimorsi per i banchieri è finito”. Rispetto a Bob “l’americano” – nato in Massachusetts, “faccia impresentabile del capitalismo” secondo Lord Mandelson, “Teflon Bob” secondo la stampa per il suo essere antiaderente alle critiche – il dimissionario Agius non poteva essere più distante. All’apparenza, perlomeno. Il sessantacinquenne presidente dell’istituto ha lasciato il posto “per il bene dell’azienda”, per “tutelarne la credibilità” e anche perché “lo scaricabarile, arrivato a me, non può più andare avanti”. . Ci è voluta una telefonata nel cuore della notte di Marcus Agius, presidente della Barclays e peraltro anche lui dimissionario, a convincerlo: «Bob, vogliono tutti la tua testa». Tutti, ovvero la Banca d’Inghilterra, la Financial Services Authority, il governo. Destino ha voluto che l’annuncio delle dimissioni sia venuto esattamente un anno dopo la deposizione di Diamond davanti alla commissione d’inchiesta sul crac finanziario del 2008, quando affermò in tono sprezzante: «Il tempo del rimorso, per i banchieri, è finito». Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 Il 3 luglio, alle 7 del mattino, si dimette l’amministratore delegato della banca, Bob Diamond, considerato il grande indiziato nel caso che sta facendo traballare l’intero sistema bancario britannico. Lo stesso giorno si dimette anche il direttore generale della banca, Jerry del Missier. Nel frattempo rientrano le dimissioni del presidente non operativo, Marcus Agius, a cui tocca adesso trovare un manager che riporti credibilità alla banca. Come se nulla fosse accaduto dal 2008 in poi, hanno continuato a scherzare coi tassi d’interesse e con nuovi sofisticati «giocattoli» finanziari a spese delle imprese e del lavoro, dimenticando di essere stati salvati dalla mano pubblica e dai contribuenti. Davvero troppo. Tanto che, anche il governatore della Banca d’Inghilterra, uomo prudente, è esploso in uno scatto d’ira. Mai era accaduto che Mervyn King, il numero uno dell’istituto centrale, pronunciasse parole così pesanti all’indirizzo dei banchieri che governano Barclays, Royal Bank of Scotland, Hsbc e Lloyds, il sancta sanctorum del risparmio. Li ha accusati, in una conferenza pubblica, di «trattamento meschino dei clienti» e di «manipolazione fraudolenta» perché, usando la doppia leva dei prestiti e della contrattazione di alcuni derivati, hanno aggirato le regole della buona condotta. Mister cento milioni», ovvero i cento milioni di dollari che gli furono riconosciuti come gratifiche quando era «semplice» responsabile del settore investment della Barclays e non ancora amministratore delegato, è stato invitato a togliere il disturbo. Le frasi del governatore Mervyn King sono una censura definitiva. Lui, però, non ci pensa affatto a dimettersi. Si limita ad annunciare che non intascherà i bonus previsti per il 2012. Può permetterselo visto che nel 2011 fra retribuzione e premi raggranellò 25 milioni di sterline, compreso il conto di 5,7 milioni dovuto all’ufficio delle tasse ma saldato dalla stessa Barclays. Il «salario» base, un milione e 350 milioni di sterline, gli consente comunque di godersi le partite del Chelsea campione d’Europa di cui è tifosissimo. Fabio Cavalera, Corriere della Sera 30/6/2012 Diamond sta ancora negoziando la sua uscita, ma si parla di una cifra assolutamente indefinita compresa fra i 2 e i 21 milioni di sterline. Secondo la società Manifest che tiene sotto monitoraggio anche queste dinamiche salariali il ceo uscente avrebbe ricevuto 120 milioni di sterline dal 2005 ad oggi, ovvero nei sette anni da membro del board del gruppo. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Bob Diamond si confessa davanti al Parlamento inglese: “Io amo Barclays”. L’ad dimissionario di Barclays, istituto di credito al centro dello scandalo Libor (dal nome del tasso al quale le banche si prestano denaro tra di loro e che sarebbe stato manipolato), è intervenuto ieri a un’audizione convocata ad hoc con la commissione Tesoro del Parlamento. “Ci sono stati alcuni comportamenti riprovevoli”, ha ammesso Diamond: “Quando ho letto le e-mail scambiate coi trader sono stato male fisicamente”. Diamond comunque non ha chinato il capo davanti ai parlamentari: “Barclays ha cooperato con i regolatori, siamo stati i primi a patteggiare e abbiamo preso misure severe con i responsabili”. Infine la stoccata: “Si sapeva da tempo che c’erano dei dubbi sui valori Libor, non possiamo pretendere che sia una sorpresa”. la sostanza dello scandalo Libor che l’ex ceo ha cercato di ricostruire fra mille imbarazzi è un’altra. Sbatte con l’intreccio, nei giorni caotici dell’autunno 2008, fra la determinazione laburista di nazionalizzare banche troppo fragili e quella di Barclays di salvarsi da sola. Accadde qualcosa «quando Paul Tucker (il vice governatore della Banca d’Inghilterra, ndr) parlò – ha ricordato Diamond – di esponenti di Whitehall che si interrogavano sui nostri tassi». Si diffuse cioè il timore che nel governo qualcuno prendesse in considerazione l’idea di nazionalizzare Barclays. Non c’erano problemi di finanziamento, ha sostenuto Bob Diamond, ma ci sarebbero stati se l’idea, per quanto teorica, di un intervento della mano pubblica si fosse diffusa sui mercati compromettendo un deal che stava maturando. Poche ore più tardi, infatti, investitori del Golfo iniettarono denaro nella banca, salvandola. Il precipitare del tasso con cui Barclays si finanziava secondo Diamond non dipende dalla diffusione di Libor manomessi, ma dai mercati che consideravano Barclays ormai salvata da Qatar e Abu Dhabi. Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 avidità e banchieri sono di nuovo sotto accusa. «Mi sono sentito fisicamente male quando ho saputo che i miei trader festeggiavano gli imbrogli sul Libor regalandosi bottiglie di champagne Bollinger», ha ammesso Diamond questa settimana. Non è la prima volta che critica certi eccessi: due anni or sono definì «imbarazzante» il conto di un pranzo da 44 mila sterline (50 mila euro) pagato da tre suoi broker nel più esclusivo ristorante della City per celebrare i bonus di fine anno. Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 per Alan Rusbridger, direttore del filo-laburista Guardian, il danno rischia di essere più ampio: «Lo scandalo dei rimborsi spese truccati dei deputati ha dimostrato che la politica è disonesta, il Tabloidgate dei giornali di Rupert Murdoch sta dimostrando che gran parte dell’informazione e dei media sono disonesti, ora il Liborgate potrebbe rivelare che sono disoneste anche le banche». Le istituzioni (tranne la magistratura) che hanno fatto grande la Gran Bretagna sono insomma finite nella fogna Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 Qualcuno si era accorto che Bob Diamond era un simbolo pericoloso per la cittadella finanziaria sul Tamigi. Era il più ricco, 100 milioni di sterline di bonus in sei anni. Era americano, nel tempio costruito da pallidi banchieri con bombetta ed ombrello. Ed era troppo arrogante per capire la lezione dell’understatement inglese, la regola non scritta che suggerisce di non fare gli sbruffoni. «Il volto impresentabile del capitalismo », lo definì Peter Mandelson, guru del blairismo. E quando un anno e mezzo fa promossero Diamond da capo del settore investimenti a capo supremo della Barclays, il suo direttore del marketing ebbe un dubbio: scusa, Bob, gli chiese, ma tu hai mai ritirato del contante con un bancomat? «Cavolo, no di certo, se ho bisogno di cash mando la segretaria a prendermelo», rispose ridendo il boss. Lo presentarono alla stampa in una filiale della Barclays, per umanizzarlo, ma fu un disastro: sembrava un pesce fuor d’acqua. Non vedeva l’ora di tornare nel suo cubo di vetro, tra la foto con Mourinho, il pallone ovale dei Patriots e il gagliardetto dei Red Sox, convinto che un allenatore non debba avere mai rimorsi. Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 ------------------- Barclays sprofondata del 15 per cento dopo il settlement da 450 milioni di dollari raggiunto ieri con le autorità di controllo di Gran Bretagna e Stati Uniti e la possibile defenestrazione dei vertici. il Foglio 29/6/2012 Fonte: il Foglio 3/7/2012 Testo Frammento OPERE E IMPRESE DEL “BANCHIERE BUONO” NELLA LONDRA SOTTO INCHIESTA– Roma. L’ultimo banchiere della vecchia scuola che si sacrifica per il bene della ditta e per salvare il delfino più giovane e arrembante. Così è descritto da chi conosce bene la situazione Marcus Agius, il presidente della Barclays che ieri a sorpresa si è dimesso in scia allo scandalo libor. La banca, insieme alle “colleghe” Royal Bank of Scotland, Hsbc e diverse altre, è accusata di aver manipolato le informazioni sui prestiti interbancari, falsando così la formazione del libor, il tasso al quale le banche si prestano denaro tra di loro e che ha importanza fondamentale, non fosse altro perché è anche uno dei parametri su cui si decidono le rate dei mutui. Nei giorni scorsi la Financial Service Authority (la Consob britannica) ha comminato una multa da 290 milioni di sterline a Barclays, ma nelle prossime ore potrebbero arrivare provvedimenti più pesanti, mentre lo scandalo comincia a lambire anche la Banca d’Inghilterra. Il vicegovernatore, Paul Tucker, potrebbe dover riferire al Parlamento, perché sembra che le operazioni sospette di Barclays avessero il suo benestare. Ieri pomeriggio il primo ministro britannico, il conservatore David Cameron, ha confermato l’istituzione di una commissione parlamentare che “avrà accesso a documenti ufficiali e ministeriali, anche quelli del precedente governo, e potrà interrogare testimoni sotto giuramento”. Di sicuro per Barclays la situazione rimane pesante e il maggior indiziato è Bob Diamond, amministratore delegato dell’istituto, personalità arrembante più volte finita negli scandali per i suoi stipendi mirabolanti (4 milioni di sterline di salario base), per operazioni controverse (l’acquisto del ramo investimenti di Lehman Brothers) e per una certa sfrontatezza: l’anno scorso, appena arrivato al vertice di Barclays, disse che “il tempo delle scuse e dei rimorsi per i banchieri è finito”. Rispetto a Bob “l’americano” – nato in Massachusetts, “faccia impresentabile del capitalismo” secondo Lord Mandelson, “Teflon Bob” secondo la stampa per il suo essere antiaderente alle critiche – il dimissionario Agius non poteva essere più distante. All’apparenza, perlomeno. Il sessantacinquenne presidente dell’istituto ha lasciato il posto “per il bene dell’azienda”, per “tutelarne la credibilità” e anche perché “lo scaricabarile, arrivato a me, non può più andare avanti”. In molti pensano che Agius non abbia colpe nella vicenda, tranne forse quella di essere stato troppo accondiscendente con Diamond. Anche lo stile dei due personaggi non potrebbe essere più diverso: sessantacinque anni, alto e magro, ex studente di Cambridge e Harvard, famoso per il suo contegno british e i suoi abiti di sartoria, le passioni per la caccia e il giardinaggio e l’odio per la celebrità, Agius sembra l’impettito Archie, protagonista di “Un Pesce di nome Wanda”, il film dei Monty Python. Prima di arrivare alla banca della regina, nel 2006, è stato per trent’anni a Lazard, tempio internazionale della grande finanza (per i detrattori, finanza ebraico-massonica), dove, seppur cattolico (gli Agius sono una antica stirpe maltese), ha scalato tutte le posizioni entrando nel 1972 e arrivando a essere prima capo della filiale inglese, poi vicepresidente mondiale del gruppo. La finanza del resto è di casa dagli Agius: il padre era presidente della banca Schroeders, suo cugino Nicolas dirige la Warburg e lui stesso ha sposato Katherine de Rothschild, rampolla del ramo inglese della famiglia. Niente a che vedere con Kate Rothschild, sua cugina, che dopo aver sposato nel 2003 l’altro rampollo Ben Goldsmith, finisce sui tabloid un giorno sì e uno no per le sue torride storie extraconiugali. Katherine de Rotschild è invece una tranquilla signora sessantenne che traffica in antichità (grande passione anche di Agius) e che è impossibile trovare tra le foto di Tatler. Il padre Edmond, venuto a mancare nel 2009, è stato una figura di spicco del capitalismo inglese: come il genero, teorico di un modo di fare banca vecchia maniera, poco incline a derivati e operazioni sintetiche. Esempio seguito da Agius, che nel 2009, dopo la prima ondata della crisi finanziaria, disse in un’intervista che “le banche sono finite nei guai perché tutti cercano di fare troppi soldi in maniera troppo veloce e in settori che non conoscono. Tutti hanno visto quanti soldi si possono fare con le attività di investment banking e con il trading e ci si buttano, senza avere esperienza”. Lui questa esperienza l’ha sempre evitata: secondo un vecchio articolo della rivista britannica Private Eye, quando arrivò a Barclays venne istruito da un apposito staff, di domenica e a porte chiuse, a utilizzare il bancomat, strumento che mai aveva adoperato, perché nei suoi anni a Lazard un segretario particolare gli procurava il suo argent de poche in una busta gialla, ogni settimana. Al di là delle caricature, Agius è più un banchiere “di sistema” che non uno di questi rampanti che giocano coi tassi: è un grande esperto di fusioni e un negoziatore anche duro. Fu lui che nel 2006 vendette la British Airports Authority (BAA), la società che gestisce gli aeroporti londinesi di Gatwick, Stansted e Heathrow, agli spagnoli di Ferrovial dopo trattative durate mesi e che fruttarono la cifra colossale di 10 miliardi di sterline. E fu sempre lui nel 2007 a far entrare i fondi sovrani sauditi nel capitale pericolante di Barclays (con 7 miliardi di sterline), preferendo con spirito molto inglese i soldi mediorientali piuttosto che un commissariamento di stato da parte di Londra. Con il suocero Rothschild condivideva non solo la passione per il giardinaggio (Rothschild era presidente della Reale società di agricoltura, lui è a capo dei Royal Botanic Gardens di Kew) ma anche la responsabilità sociale d’impresa, cioè la beneficenza, a cui ha dato impulso nei suoi anni a Barclays. E’ anche consigliere indipendente della Bbc, e fino a ieri, era presidente della British Bankers Association, l’Abi inglese. Ma da questa carica ha preferito dimettersi. Fonte: Fabio Cavalera, Corriere della Sera 30/6/2012 Testo Frammento LONDRA RIPUDIA I BANCHIERI DELLA CITY «CINICI, MANIPOLATORI E STRAPAGATI»– I colossi della City ne hanno combinate di tutte i colori. Come se nulla fosse accaduto dal 2008 in poi, hanno continuato a scherzare coi tassi d’interesse e con nuovi sofisticati «giocattoli» finanziari a spese delle imprese e del lavoro, dimenticando di essere stati salvati dalla mano pubblica e dai contribuenti. Davvero troppo. Tanto che, anche il governatore della Banca d’Inghilterra, uomo prudente, è esploso in uno scatto d’ira. Mai era accaduto che Mervyn King, il numero uno dell’istituto centrale, pronunciasse parole così pesanti all’indirizzo dei banchieri che governano Barclays, Royal Bank of Scotland, Hsbc e Lloyds, il sancta sanctorum del risparmio. Li ha accusati, in una conferenza pubblica, di «trattamento meschino dei clienti» e di «manipolazione fraudolenta» perché, usando la doppia leva dei prestiti e della contrattazione di alcuni derivati, hanno aggirato le regole della buona condotta. Sarà per via del fatto che è alla vigilia della pensione e che la prudenza può essere archiviata, però Mervyn King, e con lui la «Financial Services Authority», hanno lanciato un affondo che segnala quanto sia vicino alla rottura il rapporto fra la banca centrale e l’autorità di controllo da una parte e i vertici delle «big four», le quattro grandi banche della City. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la scoperta e l’ammissione che per una decina d’anni i trader dei maggiori istituti di credito hanno convinto i senior manager a taroccare i tassi Libor sui prestiti interbancari giornalieri e che, alzandosi o abbassandosi, ricadono in ultima istanza sulle contrattazioni di derivati (in particolare dei prodotti costruiti proprio sull’altalena degli interessi), poi sui costi dei contratti di mutuo e delle carte di credito. Aldilà dei difficili tecnicismi, la sostanza è che muovere i tassi Libor (acronimo per «London Interbank Offered Rate»), gonfiandoli o sgonfiandoli a comando, significa che si succhiano profitti su una torta globale di 500 trilioni di dollari. Un po’ a me e un po’ a te, c’è trippa per i trader (smascherati dalle email in cui si annunciano fiumi di champagne), per i capi e i supercapi. Se non è una truffa poco ci manca. Lo scandalo tocca una ventina di banche ma il dito è puntato in modo particolare contro le «big four». E la ragione è semplice: Barclays si è detta pronta a pagare una multa di 291 milioni di sterline. Ma il Daily Telegraph allarga pure alla Royal Bank of Scotland e ai Lloyds. E il Guardian inserisce nella lista la Hsbc. Insomma, un bel poker. Forse i colossi della City speravano di chiuderla lì. Invece la storia prende contorni diversi. Dal governo all’opposizione, il coro è che bisogna colpire i furfanti. Che poi nell’occhio del ciclone ci sia Bob Diamond, amministratore delegato di Barclays, non è per accanimento ma solo per la certificata certezza (con ammissione) che il suo istituto ha superato i limiti del buonsenso. La guerra è così aperta. «Mister cento milioni», ovvero i cento milioni di dollari che gli furono riconosciuti come gratifiche quando era «semplice» responsabile del settore investment della Barclays e non ancora amministratore delegato, è stato invitato a togliere il disturbo. Le frasi del governatore Mervyn King sono una censura definitiva. Lui, però, non ci pensa affatto a dimettersi. Si limita ad annunciare che non intascherà i bonus previsti per il 2012. Può permetterselo visto che nel 2011 fra retribuzione e premi raggranellò 25 milioni di sterline, compreso il conto di 5,7 milioni dovuto all’ufficio delle tasse ma saldato dalla stessa Barclays. Il «salario» base, un milione e 350 milioni di sterline, gli consente comunque di godersi le partite del Chelsea campione d’Europa di cui è tifosissimo. Bob Diamond «è il volto non accettabile del sistema bancario», hanno sostenuto i suoi critici più accesi a cominciare da Lord Mandelson, ex numero due dei laburisti. Di certo non è l’unico principe della City sulla graticola. La compagnia è bene assortita. Solo che lui, Bob Diamond, ha un vizio che diventa virtù in certi ambienti: quella pretesa di avere sempre ragione sconfinante nella grassa supponenza. Per i suoi colleghi è una sorta di eroe. Qualche mese fa si presentò ai parlamentari di Westminster. E li mise al tappeto: «Il tempo dei rimorsi per i banchieri è finito». Rivendicando, petto in fuori, libertà di manovra, di bonus e di traffici. «Banchieri da casinò» li ha bollati Vince Cable, liberaldemocratico ministro delle attività produttive. Il «mister Bank» di Mary Poppins era un povero dilettante della City. Fabio Cavalera Fonte: Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 Testo Frammento LO SCANDALO LIBOR TRAVOLGE LA CITY - Il governo ordina una commissione d’inchiesta, la polizia anti-truffa valuta gli eventuali risvolti criminali, rotolano teste blasonate. Il caso Libor esce dagli angusti confini delle trading rooms e si trasforma in un atto d’accusa al banking britannico che minaccia di travolgere la City lanciando scosse oltre l’Atlantico e anche più in là. Il premier David Cameron in un lungo intervento ai Comuni è stato netto: «È uno scandalo quanto sta emergendo – ha dichiarato –. Per questo motivo, una commissione d’inchiesta parlamentare è stata incaricata di indagare a fondo. Raccoglierà testimonianze sotto giuramento. Avrà accesso a tutti i documenti del governo, del precedente governo e di tutti gli advisor. I banchieri che hanno agito in modo inappropriato dovranno essere puniti. E a conclusione di questo processo il Regno Unito avrà le norme più severe e trasparenti al mondo». Tempi stretti Parole dure, ma che non arrivano a immaginare l’avvio di un’indagine pubblica analoga a quella assegnata dall’esecutivo al giudice Leveson per scandagliare i risvolti dello scandalo News of The World. E il motivo è semplice: sia l’ala Tory che quella liberaldemocratica del governo britannico vogliono una risposta rapida, nel giro di qualche settimana con l’obiettivo di introdurre nuove leggi entro la fine dell’anno. L’annuncio del premier rinforzato dalle parole del Cancelliere George Osborne significa l’avvio di una nuova fase del caso Libor, ovvero l’aggiustamento dei tassi interbancari secondo i desiderata di banche e traders. Una vicenda che è costata mezzo miliardo di dollari di multa a quella che è considerata l’ultima banca privata inglese. Le dimissioni di ieri L’importante passaggio politico di ieri pomeriggio ha coinciso con due eventi che confermano l’innalzarsi della temperatura: le dimissioni di Marcus Agius, presidente di Barclays, e un sibillino comunicato dal Serious fraud office. La polizia anti-truffa ha fatto sapere che solo fra un mese sarà in grado di dire se avvierà un’inchiesta penale. E tanto basta per capire che sta già lavorando al caso, raccogliendo indizi per procedere, forse, con incriminazioni formali. Il cerchio intanto si stringe attorno ai massimi vertici di Barclays. Tanto da aver già provocato le dimissioni – attese ma non così presto – di Marcus Agius, presidente dell’istituto e franco nel dichiarare «la responsabilità ultima è mia». Il gesto d’addio ha secondo molti osservatori l’obiettivo di coprire Bob Diamond, ceo di Barclays e storica guida di BarCap, la banca d’investimento del colosso britannico. Gli azionisti da giorni cercano di puntellare la poltrona di Diamond, ma cresce la spinta politica con voci non solo dell’opposizione laburista, ma anche del fronte governativo in quota liberaldemocratica. L’uscita di scena di Agius è stata accompagnata dall’annuncio di un’indagine interna alla banca per individuare le responsabilità dei singoli. La lettera ai dipendenti In una lettera inviata a tutti i dipendenti del gruppo, Bob Diamond, giura di volerla pilotare lui stesso. «Andremo a fondo – ha scritto –, stiamo già valutando la posizione di coloro che sono direttamente responsabili, ma anche di chi ha posizioni di controllo. Abbiamo gli strumenti per farci restituire i bonus, ma anche per allontanare personale». Con se stesso è un po’ più clemente: «Se è successo nel corso del mio mandato – ha detto –, ho la responsabilità di chiarire». La pressione sul ceo è destinata a crescere con il passare delle ore. Domani sarà chiamato a una prima deposizione alla Camera di Comuni. Intanto il caso si allarga oltre i confini di Barclays. Da giorni si mormora di Royal Bank of Scotland e ieri ai sussurri sono seguiti i fatti con il licenziamento di quattro traders accusati di aver aggiustato il Libor alle loro necessità. Fonte: Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 3/7/2012 Testo Frammento I SEDICI «GNOMI» DELLA STERLINA - Per il Libor sulla sterlina gli gnomi sono sedici. Sedici piccoli indiani che alle 11 del mattino di ogni giorno che Dio mette in terra rispondono alla stessa domanda: a quali tassi la banca che rappresentate può finanziarsi in pound? L’interrogativo è in realtà un multiplo perché va moltiplicato per quindici volte (tanti sono i tassi per le differenti scadenze dal l’overnight ai 12 mesi) e poi per dieci valute. Se per la sterlina le banche sono sedici, per il dollaro sono diciotto, per il dollaro australiano gli istituti sono sette, per l’euro quindici e via così fino a coprire il panel di monete che si vogliono considerare. In totale sono coinvolte 22 banche da Barclays a Hsbc, da Jp Morgan a Norinchukin. Qualsiasi istituto può chiedere di partecipare ma deve fornire all’Associazione bancaria inglese il nome di un rappresentante.«I tassi – precisano alla British banking association – sono comunicati da un solo addetto che fa parte del Treasury team della banca a Thomson Reuters a cui abbiamo dato mandato di eseguire i calcoli». Il conto è presto fatto: si eliminano le fasce più alte e quelle più basse e si fa la media del resto. A mezzogiorno su milioni di schermi nel mondo appaiono i 150 tassi Libor, quindici scadenze per dieci valute. E così viaggiano nel 350 mila miliardi di dollari. Il meccanismo prosegue così da un trentennio circa. Il London interbank offered rate fu introdotto negli anni Ottanta per poter monitorare i tassi dell’interbancario. Una realtà che è andata moltiplicandosi se è vero che il 20% di questo mercato si consuma a Londra, dove si svolge anche un terzo delle transazioni forex planetarie. Una realtà che ha contribuito a consolidare l’importanza del Libor, divenuto tasso di riferimento per numerosi strumenti finanziari. E termometro della salute di una banca: Thomson Reuters, infatti, pubblica il dato mediano, il Libor appunto, ma anche le indicazioni fornite da ciascun istituto. La percezione dello stato di salute della banca è fortemente influenzata dalla capacità, dichiarata, dei tassi per finanziarsi. È in larga misura una presunzione, un’ipotesi presumibilmente ragionevole. Lo scandalo è tutto qui. Si chiama in causa l’autenticità del dato e il sospetto è che ci sia stato un deliberato lowballing , ribasso delle stime da parte delle banche con l’obiettivo di rassicurare i mercati. Nel caso di Barclays, rea confessa, è un fatto. Ma il destino non sarà diverso per tanti altri istituti ora indagati. Così fan (farebbero) molti, secondo i regolatori americani e inglesi. A scoperchiare quello che promette di essere un nuovo verminaio sotto il segno di un credito allegro, fu la Commodity futures trading commission nel 2008, che raccolse la denuncia anonima di un informatore dando corpo a sospetti molto diffusi e a quanto sembra del tutto giustificati. Fonte: Michele Masneri, il Foglio 4/7/2012 Testo Frammento LIBOR IN FABULA– Roma. Lo scandalo Libor si allarga mentre i vertici del gruppo bancario Barclays vacillano. Ieri mattina si è dimesso l’amministratore delegato della banca, Bob Diamond, considerato il grande indiziato nel caso che sta facendo traballare l’intero sistema bancario britannico; Diamond oggi si presenterà comunque, salvo un ennesimo colpo di scena, davanti alla apposita commissione del Tesoro inglese. Ma ieri pomeriggio si è dimesso anche il direttore generale della banca, Jerry del Missier. Nel frattempo sono rientrate invece le dimissioni del presidente non operativo, Marcus Agius, a cui tocca adesso trovare un manager che riporti credibilità alla banca. Ieri intanto sul tema è intervenuto il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, e si è espresso anche il presidente dell’Abi Giuseppe Mussari, secondo cui si tratta di un caso isolato che non riguarda assolutamente le banche italiane. Ma è un intero paradigma sotto accusa: secondo il Financial Times, infatti, il sistema di manipolazione dei tassi messo in atto dal 2005 a Barclays e in 20 altre banche sotto inchiesta era perfettamente conosciuto dagli addetti ai lavori. Un sistema che viene svelato nei dettagli da alcune e-mail sequestrate dalla magistratura inglese e da quella statunitense: se alle 11 di ogni mattina un panel di banche doveva comunicare alla British Banking Association (l’Abi inglese) il tasso a cui prestava denaro alle altre istituzioni – più basso questo tasso, migliore la situazione economica percepita – allo stesso tempo gli istituti speculavano sui tassi, scommettendo cifre importanti su rialzi o ribassi del Libor. Le due operazioni, la stima dei tassi e la speculazione sugli stessi, avvenivano in divisioni diverse di Barclays, la sala trading e la tesoreria. Così dal 2005 al 2009 le autorità hanno individuato comunicazioni tra le sedi di New York, Londra e Tokyo di Barclays, con 173 richieste di manipolazione del Libor (indice inglese) e 58 dell’Euribor (indice europeo). Le e-mail sono informali, come questa del settembre 2006: “Ciao ragazzi, abbiamo una posizione importante sul Libor a tre mesi nei prossimi giorni. E’ possibile mantenerlo al 5,39 per cento? Sarebbe veramente d’aiuto”. Febbraio 2007: “Ehi ragazzi, questo vostro tipo che piazza il tasso a tre mesi al 3,45 per cento non va per niente bene, ditegli di alzarlo”. Risposta immediata: “Gli parlo subito”. L’intercettazione con la Bank of England Dal 2007, con lo scoppio della crisi, le comunicazioni si diradano perché si teme di essere intercettati (come effettivamente succederà); nell’ottobre 2008 ci sarebbe stata poi la famosa telefonata – centrale nella vicenda, e che gli inquirenti devono verificare – tra lo stesso Diamond e il numero due della Banca d’Inghilterra, Paul Tucker, nel corso della quale quest’ultimo avrebbe dato l’avallo alla manipolazione dei tassi. Lo stesso Diamond individua due fasi del caso, come ha scritto in una lettera al presidente della commissione d’inchiesta del Tesoro, Andrew Tyrie. Una prima fase, dal 2005 al 2007, in cui gli operatori della banca agivano per arricchimento personale, e “la maggior parte dei 14 trader scorretti sono stati licenziati”. Un secondo periodo, invece, successivo, e per così dire “di sistema”, comincia nel 2007, quando i tassi espressi da Barclays cominciano a essere i più alti in assoluto in Gran Bretagna, e il mercato inizia a innervosirsi. Di qui il presunto avallo della Bank of England al raffreddamento artificiale: per non dover ammettere le difficoltà della banca, che come scrisse lo stesso Diamond, “non vuole guadagnarci, semplicemente proteggersi”. E, nota il Ft, protegge anche l’intero sistema: perché se Barclays avesse comunicato il suo vero stato di salute, anche gli altri istituti avrebbero dovuto seguirla, scatenando una reazione a catena. Ma gli effetti positivi di un meccanismo non certo cristallino non finiscono qui: Barclays agiva anche calmierando i tassi, e a essere beneficiati – almeno in teoria – potrebbero essere stati ignari possessori di case. Degli 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari che nel mondo vengono tarati su Libor ed Euribor, infatti, i mutui sono una parte considerevole e i tassi raffreddati artificialmente dai banchieri di Barclays potrebbero aver contribuito a rendere le rate meno care. Di sicuro adesso il sistema cambierà: almeno formalmente. E per cambiare tutto affinché nulla cambi, le grandi banche sono già al lavoro per trovare un nuovo sistema un po’ più trasparente. Il colosso giapponese Nomura e quello elvetico Ubs stanno testando (già da mesi, prima dell’inizio dell’indagine su Barclays) un nuovo indice, il Gcf Repo index, che segnala i tassi effettivamente pagati dalle banche e non quelli comunicati all’esterno; un sistema che già è utilizzato per tarare 233 miliardi di dollari di prodotti finanziari e che potrebbe crescere di importanza. Del resto il Libor è arrivato alla sua massima fama solo dagli anni Ottanta, e negli ultimi anni ha dimostrato di non essere così affidabile; non riflettendo adeguatamente, per esempio, la crisi europea. Un tasso di riferimento servirà sempre e si lavora su nuove soluzioni che in fondo non saranno molto dissimili. Come per i tanto bistrattati rating si tentano nuove strade con nuove agenzie tra cui una europea che si contrapponga alla triade Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch, allo stesso modo, secondo il motto per cui “finanza cura finanza”, le grandi banche sono al lavoro per sostituire il Libor con qualcosa di vagamente più trasparente. Tant’è vero che anche il dipartimento del Tesoro statunitense, in una recente raccomandazione alle banche, ha individuato diversi indici da testare per il futuro: lasciando fuori proprio il vecchio Libor. Michele Masneri Fonte: Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 4/7/2012 Testo Frammento BARCLAYS ATTACCA LA BANCA D’INGHILTERRA - Alle 7 del mattino si dimette Bob Diamond, alla 7 di sera l’ombra della vergogna lambisce la Banca d’Inghilterra. E forse molto di più. La cronaca delle dodici ore che hanno sconvolto la City va letta dalla fine, dall’affondo del dimissionario ceo di Barclays contro la banca centrale, nella figura di Paul Tucker, vice governatore, considerato il più papabile all’austera poltrona di Mervyn King, anzi di King Mervyn come lo si ossequia nel Miglio Quadrato a testimonianza del potere assoluto di cui gode. Marcus Agius il presidente uscente della banca che dopo aver presentato le dimissioni per proteggere Bob Diamond le ha ritirate per consentire allo stesso Diamond di dimettersi, ha svelato un memo inviato nel 2008 dal ceo uscente al top management della banca incluso JohnVarley che all’epoca era amministratore delegato. Poche ma sentite parole passate nel cianuro. «In seguito alla nostra ultima conversazione, il signor Tucker ha detto di aver ricevuto telefonate da figure senior di Whitehall che si domandavano perché il nostro Libor è sempre vicino ai margini più alti. La sua risposta è stata "devi pagare quel che devi pagare"…». La mail va avanti ma la preoccupazione espressa da Paul Tucker per nome e per conto degli uffici governativi - senior - è il contrattacco di un banchiere ferito. Umiliato nella propria professionalità, esposto ai venti di una polemica che oscilla fra gli eccessi della sua paga e quelli della sua ambizione, Bob Diamond ha reagito cavandosi un masso dalle scarpe. Da un giorno almeno circolavano voci sul possibile coinvolgimento dei regolatori, al punto che alcuni commentatori s’erano spinti tanto in là da spiegare le dimissioni di Bob Diamond come conseguenza della pressione politica scatenata dai messaggi minacciosi che Barclays faceva uscire a carico delle authority di controllo. Come dire: non si tocca l’establishment. E invece Bob Diamond ha brindato con un calice di veleno alla nomenclatura della City di Londra. E oggi è atteso per il secondo atto quando dovrà spiegare alla Commissione parlamentare del Tesoro il senso di quel memo. Ci ha pensato Marcus Agius a porre la vicenda in un contesto relativamente preciso, sventolando la bandiera dell’equivoco. La mail, ha lasciato intendere, sarebbe stata interpretata molto liberamente da Jerry del Missier il direttore generale della banca che ieri ha presentato le dimissioni. Barclays è infatti decapitata, senza numero uno e numero due e con un presidente ritornato rapidamente sui propri passi per gestire l’emergenza. Secondo Marcus Agius, infatti, Jerry del Missier (uno dei destinatari del memo di Diamond) avrebbe interpretato quelle parole come un invito ad essere "elastici" sulla determinazione del Libor una sua diretta responsabilità. Conclusioni che non sarebbero state condivise da Bob Diamond. Sembra di assistere a un complesso gioco delle responsabilità, nella banca e nella politica, che in ultima istanza mira al governo precedente: nel 2008 a Whitehall c’era il laburista Gordon Brown, non gli uomini del conservatore David Cameron. Le dimissioni di Bob Diamond, giustificate dal ceo come misura presa «per non pregiudicare il nome» della banca sono state salutate con soddisfazione sia dal Premier che dal Cancelliere. La sensazione è che non siano le ultime: la tempesta è appena cominciata. Fonte: L. Mais., Il Sole 24 Ore 4/7/2012 Testo Frammento FARO ACCESO SUI MANAGER DEGLI ALTRI ISTITUTI INGLESI - Se non ce l’ha fatta un sacerdote è difficile immaginare chi possa essere l’anima buona, e coraggiosa abbastanza, per mutare la pelle di un sistema che non riesce a redimere sé stesso. Stephen Green, 61 anni, fino al 2010 presidente di Hsbc, e prima di allora ceo del colosso con la testa a Londra e le radici in Cina, è un prete anglicano di solidi principi. L’etica che lo illumina potrebbe non bastare per metterlo del tutto al riparo da alcune pratiche che stanno facendo deragliare il banking britannico. Prima di inoltrarsi nei meandri della City s’era fatto le ossa negli ostelli per alcolizzati dell’East End, purificazione radicale alla vigilia della tenzone con le ambizioni smisurate dei suoi colleghi. Aveva anche resistito, Stephen Green, arrivando a radere a zero, in alcuni casi, le gratifiche dei traders, i meglio pagati per antica e tradizione. Poi nel 2008 cedette ponendo la sua firma sotto un pacchetto di 120 milioni di sterline, paga triennale per sei top executives di Hong Kong and Shangaii bank. Lord Green - oggi è ministro del governo Cameron - lo giustificò e si giustificò con la teoria di sempre: bisogna premiare il merito. Il problema è che lo scandalo Libor aggiunge nuove ombre al concetto di merito. I fatti, se provati, avvennero quando anche lui era al timone di un gruppo bancario che oggi è in cima al mondo, passato con danni relativamente contenuti fra i venti del ciclone credit crunch. Hsbc con Barclays, Ubs e Rbs è uno degli istituti-chiave nella determinazione del tasso interbancario londinese soggetto a presunte manipolazioni. Se anche la "finanza anglicana", per usare un lessico a noi familiare, ha davvero faticato a restare impermeabile agli eccessi, resta da capire che cosa farà il successore di Stephen Green. Non tanto il presidente, Douglas Flint, ma il cinquantaduenne ceo, Stuart Gulliver. Tocca a lui timonare la trasformazione di Hsbc in sé stessa, ovvero consolidarla, più di quanto lo sia stata in passato, nei mercati core, quelli del sud est asiatico. A cominciare dall’amatissima Hong Kong. «Il dinamismo è straordinario - ha dichiarato in una rara intervista rilasciata al Financial Times - puoi reinventare te stesso facendo i conto con un solo limite: la tua intelligenza. Non è così a Londra». Per ora gli tocca la meno eccitante prospettiva di valutare come finiranno gli accertamenti che Fsa, il regolatore Usa e quello giapponese svolgono anche sul caso Libor. Se finirà male ci sarà un motivo in più, crediamo, per spingere mister Green ad accelerare i progetti di trasloco nell’ex colonia di Sua Maestà. Stephen Hester, 51 anni, non può aspirare di muovere nelle brume scozzesi. È il ceo di Royal bank of Scotland, uno dei lavori più tosti del banking britannico dal credit crunch in poi. Svuotata di tutto dall’ego ipertrofico di Fred Goodwin che sognava di sedere in cima al mondo bancario europeo, Rbs è oggi all’80 e più percento del Tesoro. Un investimento dimezzato: il contribuente inglese vanta decine di miliardi di sterline di credito da Rbs e leggere che gli è anche toccato pagare un’extra sugli interessi dei mutui per via di un Libor taroccato, duole. Peggio, irrita e ancor di più. La prossima nella pipeline dei regolatori dovrebbe essere Ubs. È da Zurigo - vedi altro articolo - che potrebbe arrivare la notizia di un nuovo accordo multimilionario, ma poi sarà la volta di Royal Bank of Scotland. Si sussurra che Stephen Hester sia in attesa di un conto da 150 milioni di sterline. Per il momento ha liquidato quattro traders. Ruzzolerà anche il capo del gagliardo Stephen ? La mano è al buio, ma se dovesse accadere non potrà lamentarsi. «Se sei un calciatore - ebbe a dire nel 2009 appena investito del gigantesco mandato di resuscitare un cadavere finanziario - vuoi giocare la finale di Champions League. È lo stesso nel business…vuoi mettere te stesso alla prova con le sfide più complesse». Eccoti servito, mister Hester. Fonte: Giuditta Marvelli, Corriere della Sera 4/7/2012 Testo Frammento LA BEFFA DEI TASSI DECISI A TAVOLINO– Libor, chi era costui? E in che relazioni di parentela sta con l’Euribor, il tasso a cui è collegato il mutuo per la casa? L’ultimo scandalo della finanza anglosassone porta alla ribalta un acronimo di cui molti risparmiatori hanno già sentito parlare. Libor sta per London interbank offered rate ed è il tasso a cui le banche sulla piazza di Londra si prestano il denaro. Per «costruire» quel tasso che i banchieri di Barclays (e anche altri? Chissà) avrebbero artificialmente diminuito per lustrarsi l’affidabilità, ogni giorno scendono in campo una ventina di banche. Il numero magico, ottenuto scartando i valori troppo ridotti e quelli troppo alti, viene definito rispondendo a questa domanda: «A che tasso pensate di poter prendere a prestito soldi dalle altre banche?». Il Libor funziona per dieci valute e quindici diverse scadenze: ha quindi 150 diverse forme che ogni giorno girano sugli schermi degli operatori di tutto il mondo, spostando 350 mila miliardi di dollari «appoggiati» su contratti derivati e prodotti finanziari che guardano a qualche tipo di Libor per sapere quanto valgono. Ed è proprio nella necessità di far funzionare dei contratti derivati che alcuni avrebbero infranto le regole. In che rapporti sono Libor ed Euribor, il tasso a breve più familiare per gli italiani e gli europei? L’Euribor (Euro interbank offered rate) si è imposto negli ultimi anni come indicatore della stessa grandezza — il saggio a cui le banche sono disposte a prestarsi soldi — per i Paesi delle moneta unica. Il meccanismo con cui viene formato è simile a quello del Libor. Anche se il maggior numero di banche partecipanti al procedimento (una quarantina, quasi il doppio) potrebbe, si dice, renderlo meno influenzabile. Se da qualche parte i banchieri giocano tra loro al ribasso, il vero problema per le famiglie è il costo dei prestiti, che dipende dallo spread applicato dalle banche sopra il Libor o l’Euribor. L’Euribor è ai minimi storici — a tre 0,65%, a sei mesi 0,92% —, ma chi desidera fare un mutuo sa bene che dovrà pagare di più. Quello che viene aggiunto all’Euribor per chiudere i contratti di mutuo, in questo momento viaggia al 3%. Un anno fa, prima che scoppiasse la crisi, non superava il punto e mezzo percentuale. Fonte: Eugenio Occorsio, Affari & Finanza, La Repubblica 2/7/2012 Testo Frammento PERDE LA BANCA GUADAGNA IL BANCHIERE A WALL STREET E ALLA CITY LO STIPENDIO RESTA D’ORO– Sommerse dai commenti sull’eurovertice di Bruxelles, e anche in Italia dalle vicende calcistiche, giovedì scorso sono arrivate nelle redazioni due notizie trascurate che invece fanno epoca, dalle due capitali finanziarie del mondo, Londra e New York. La prima: la Barclays è stata multata per 450 milioni di dollari, la più grossa sanzione della storia bancaria, dalle autorità inglesi e americane congiunte. Avrebbe manipolato nientemeno che il tasso Libor, su cui si basano 360 trilioni di dollari di obbligazioni in essere in tutto il pianeta, per trarre vantaggio dalle oscillazioni “pilotate” di esso. L’inchiesta, partita dall’americana Cftc (Commodity futures trading commission) e portata avanti dalla Financial services authority britannica e dal Department of Justice statunitense, si è chiusa proprio nei giorni in cui il discussissimo Ceo della Barclays, Bob Diamond, incassava gli ultimi spiccioli del maxicompenso (stipendio+bonus+ option+benefici) per l’anno scorso: l’equivalente di 20,1 milioni di dollari. Un payout sul quale infuria la polemica perché nello stesso anno di riferimento il titolo Barclays ha perso il 32,7% in Borsa. Per non parlare della composizione dello stesso emolumento: grande scandalo ha per esempio sollevato la voce “disagio fiscale” che Diamond avrebbe patito trasferendosi da New York a Londra, quantificato in 5,9 milioni di dollari. Travolto dalle proteste, Diamond ha gettato la spugna e ha detto infine che rinuncerà almeno alla componente “bonus”. ##Lo scandalo Barclays investe il sistema bancario • Sulla Stampa Deaglio spiega lo scandalo che ha investito Barclays e perché riguarda solo indirettamente l’Italia: «Barclays ha accettato di pagare una multa di 451 milioni di dollari, il che potrebbe essere solo l’inizio, e presidente e amministratore delegato si sono dimessi in un batter d’occhio, e anche questo potrebbe essere solo l’inizio. La parola di Barclays Bank è risultata sistematicamente contraffatta per diversi anni, durante i quali ha manipolato, o quanto meno contribuito a manipolare, il Libor, uno dei tassi chiave del mercato finanziario mondiale, sulla base del quale ogni giorno si chiudono milioni di contratti. E sicuramente non ha agito da sola: i siti finanziari riportano i nomi di almeno altri 5-6 colossi, europei e americani, veri pilastri dell’economia finanziaria globale che avrebbero preso parte alla falsificazione. E’ bene sottolineare che il mondo bancario italiano non appare toccato da questo giro nefasto; in parte perché le dimensioni delle banche italiane non consentono loro, tranne pochissime eccezioni, di partecipare stabilmente al grande gioco della finanza globale e in parte per le sue tradizioni vecchiotte che lo fanno guardare con sospetto ai nuovi strumenti finanziari, e soprattutto perché la sorveglianza della Banca d’Italia è molto più occhiuta ed efficace di quella degli altri paesi avanzati. Un Libor manipolato ha quasi certamente avuto come conseguenza uno spread più elevato per paesi come l’Italia, la Spagna e anche la Francia». Bob Diamond si confessa davanti al Parlamento inglese: “Io amo Barclays”. L’ad dimissionario di Barclays, istituto di credito al centro dello scandalo Libor (dal nome del tasso al quale le banche si prestano denaro tra di loro e che sarebbe stato manipolato), è intervenuto ieri a un’audizione convocata ad hoc con la commissione Tesoro del Parlamento. “Ci sono stati alcuni comportamenti riprovevoli”, ha ammesso Diamond: “Quando ho letto le e-mail scambiate coi trader sono stato male fisicamente”. Diamond comunque non ha chinato il capo davanti ai parlamentari: “Barclays ha cooperato con i regolatori, siamo stati i primi a patteggiare e abbiamo preso misure severe con i responsabili”. Infine la stoccata: “Si sapeva da tempo che c’erano dei dubbi sui valori Libor, non possiamo pretendere che sia una sorpresa”. ##Barclays, l’ex ad si scusa a metà • Davanti alla Commissione parlamentare del Tesoro l’amministratore delegato dimissionario di Barclays Bob Diamond ha presentato delle scuse a metà per lo scandalo che sta travolgendo la banca: «Alcuni hanno sbagliato, sono io stesso dispiaciuto, deluso e arrabbiato per questo», ha detto nelle tre ore di audizione, continuando a sostenere che lui non sapeva nulla e anzi rilanciando: «Si sapeva da tempo che c’erano dubbi sui valori del Libor, non possiamo pretendere che ora sia una sorpresa ». Diamond era chiamato a rispondere sullo scandalo del Libor, la manipolazione, contestata dalle autorità finanziarie britanniche e statunitensi a Barclays, dei tassi d’interesse fra le banche, che servono a calcolare anche tassi di interesse sul debito di contratti come mutui e carte di credito. Poche ore prima, governo e opposizione si attaccavano a vicenda sul tipo d’inchiesta, parlamentare o retta da un magistrato, che dovrà esaminare l’intero sistema bancario inglese, visto che gli istituti coinvolti nelle frodi sono almeno venti. [Baduel, Rep] • «(…) Il capitolo della telefonata fra Diamond e Tucker del 29 ottobre 2008, che chiama in causa la Banca d’Inghilterra e l’allora governo laburista, è stato aperto da un’altra negazione. Diamond sostiene da giorni che Tucker gli parlò delle stime curiosamente alte dei tassi da parte di Barclays, citando telefonate “preoccupate” di Whitehall, ovvero del governo. Pochi giorni dopo, le stime del Libor di Barclays crollarono da un più 0,15% a un meno 0,20%. Ma ieri Diamond ha negato ogni responsabilità, ribadendo che Tucker parlò sia di stime alte che di interessamento del governo. Poi ha precisato: “Credo siano stati dei ministri ad aver espresso preoccupazioni sulla stima del Libor di Barclays. Credo pensassero che data la crisi forse non potevamo più finanziarci e quindi avrebbero dovuto nazionalizzare la banca”». [Baduel, Rep] Fonte: Morya Longo, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Testo Frammento COSÌ SI MANIPOLA L’EURIBOR - Sette settembre 2006. «Ho una grossa operazione da concludere oggi e mi aiuterebbe molto se l’Euribor fosse il più basso possibile». «Farò del mio meglio». Tredici ottobre 2006. «Ho un’operazione gigante lunedì, intorno ai 30 miliardi. Mi servirebbe un Euribor bello, bello alto. Mi puoi aiutare?». «Facciamo sempre del nostro meglio». Non siamo al mercato del pesce. Nemmeno in un Suk arabo. Queste sono e-mail di alcuni operatori in derivati intercettate presso la sede di Barclays. Mail che svelano cosa ci sia dietro il tasso Euribor, quello su cui sono indicizzati i mutui di milioni di italiani e di europei: una gigantesca manipolazione. Un gioco di prestigio. Che per anni è servito alle banche, in questo caso a Barclays, per avvantaggiarsi nelle operazioni in derivati. Fino ad oggi sembrava che le manipolazioni riguardassero principalmente il tasso Libor, quello inglese. Ma un maxi-documento pubblicato dall’americana Cftc (Commodity Futures Trading Commission) racconta una storia ben più complessa: ad essere manipolato era anche, o soprattutto, il tasso Euribor. Quello europeo. E di conseguenza mercati giganteschi. Solo al Libor sono legati 350mila miliardi di dollari di derivati su tassi e 10mila miliardi di prestiti e mutui. All’Euribor, oltre a una montagna di mutui, sono indicizzati 220mila miliardi di derivati. Praticamente tutto il mondo finanziario, ma anche la vita di tutti i giorni, gira su Libor ed Euribor. Ecco come venivano artefatti. Lo spiega la Cftc. «Mi serve un Euribor basso» Il tasso Euribor viene fissato ogni giorno grazie al contributo di 40 banche coordinate dalla Ebf (associazione bancaria non regolamentata). Ogni istituto comunica in via elettronica a Thomson Reuters il tasso al quale pensa di poter ottenere finanziamenti non garantiti: Thomson Reuters fa la media e fissa quotidianamente il tasso Euribor ufficiale. Con questa procedura è dunque difficile che una singola banca possa da sola manipolare l’Euribor, perché il tasso viene fissato su una media di 40 contributi diversi. Ma un modo c’è ugualmente: basta che più banche si mettano d’accordo. Insieme possono influire con maggiore efficacia sul risultato finale. Ebbene: la Cftc ha scoperto che proprio così avveniva. «Alcuni operatori senior di Barclays – si legge sul documento – orchestravano le strategie di varie banche, con l’obiettivo di influenzare il risultato finale dell’Euribor». Insomma: chi operava in derivati, e aveva necessità a seconda dei giorni che l’Euribor fosse alto o basso, si coordinava con i colleghi di altre banche per fare in modo che i vari contributi inviati a Ebf e a Thomson Reuters fossero nella direzione desiderata. Drogavano la media finale. O, almeno, ci provavano. L’obiettivo, scrive sempre la Cftc, era sempre lo stesso: dato che molti derivati sono legati all’Euribor, manipolando questo tasso si potevano registrare guadagni o limitare le perdite. Ovvio: a scapito di chi fatica ad arrivare a fine mese per pagare la rata del mutuo. «Mi serve un Libor basso» Sul tasso Libor inglese la manipolazione è ancora più facile, perché i contributi arrivano da meno banche. E infatti, testimonia l’inchiesta della Cftc e delle varie autorità inglesi e americane, le manipolazioni erano frequenti. Sempre per guadagnare con i derivati sui tassi. Ma è con l’inizio della crisi finanziaria, tra il 2008 e il 2009, che le manipolazioni iniziano ad avere un altro obiettivo: far calmare le voci che indicavano Barclays in crisi di liquidità. Questa strategia è evidente dopo un articolo di Bloomberg, che ventila appunto un problema di questo tipo per la banca inglese. È il 3 settembre 2007. E al quartier generale di Barclays l’allarme è alto. «È così che alcuni senior manager di Barclays Bank – si legge – istruiscono gli operatori che inseriscono i contributi sul Libor in dollari di abbassare i livelli». Questo forse non riusciva ad ridurre effettivamente il Libor finale, ma certamente serviva per ridimensionare l’allarme sulla crisi di liquidità di Barclays: dichiarando di ottenere finanziamenti a tassi contenuti, infatti, la banca smentiva le voci sulla sua presunta crisi di liquidità. I nodi irrisolti Barclays ha deciso di chiudere la vertenza con la Cftc con una transazione, che non si traduce in un’ammissione di colpa. Pagherà 200 milioni di dollari entro dieci giorni. Nel complesso, le multe pagate alle autorità britanniche e Usa ammontano a circa 450 milioni di euro. Ma questo non calmerà di certo le acque. Da un lato perché appare evidente che presto altre banche potrebbero essere coinvolte nell’inchiesta. Inoltre perché alcuni fondi, le cui strategie dipendono dall’Euribor o dal Libor, stanno già pensando a fare causa. Infine perché appare evidente che vadano cambiate le regole: fin che a determinare il livello di Libor ed Euribor saranno le banche che più utilizzano i due tassi per operare su miliardi e miliardi di derivati, il conflitto di interessi resterà elevato. Fonte: Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Testo Frammento BARCLAYS, L’EX CEO AMMETTE GLI ERRORI - I piccoli indiani questa volta sono quattordici. Quattordici traders che hanno agito rischiando di affossare Barclays Bank mossi dall’avidità esclusiva di garantirsi un grasso bonus. Bob Diamond si indigna per il comportamento di dipendenti o ex dipendenti, poi immaginando un futuro in manette per speculatori pronti a falsificare i dati per un profitto eventuale, passa a discutere temi più seri: ovvero della sistematica correzione del Libor che sarebbe stata autorizzata dal suo vice, Jerry del Missier nella convinzione di interpretare la volontà del governo e dei regolatori. Davanti alla Commissione Tesoro della Camera dei Comuni ieri è andato così in scena un balletto che oscilla fra dichiarazioni d’amore (I love Barclays), scuse per l’agire inaccettabile di alcuni traders, e speranze (la storia ci assolverà). Ma la sostanza dello scandalo Libor che l’ex ceo ha cercato di ricostruire fra mille imbarazzi è un’altra. Sbatte con l’intreccio, nei giorni caotici dell’autunno 2008, fra la determinazione laburista di nazionalizzare banche troppo fragili e quella di Barclays di salvarsi da sola. Accadde qualcosa «quando Paul Tucker (il vice governatore della Banca d’Inghilterra, ndr) parlò – ha ricordato Diamond – di esponenti di Whitehall che si interrogavano sui nostri tassi». Si diffuse cioè il timore che nel governo qualcuno prendesse in considerazione l’idea di nazionalizzare Barclays. Non c’erano problemi di finanziamento, ha sostenuto Bob Diamond, ma ci sarebbero stati se l’idea, per quanto teorica, di un intervento della mano pubblica si fosse diffusa sui mercati compromettendo un deal che stava maturando. Poche ore più tardi, infatti, investitori del Golfo iniettarono denaro nella banca, salvandola. Il precipitare del tasso con cui Barclays si finanziava secondo Diamond non dipende dalla diffusione di Libor manomessi, ma dai mercati che consideravano Barclays ormai salvata da Qatar e Abu Dhabi. È a tratti caotica la ricostruzione che il ceo ha effettuato ieri, ma alcuni punti sono chiari ancorché tutti da verificare: le pressioni per avere chiarimenti sul Libor di Barclays arrivavano, via Paul Tucker, da ministri o dall’entourage del Tesoro, ma non dall’allora Cancelliere Alistair Darling; Bob Diamond ha insistito nel dire di aver saputo delle manipolazioni sui tassi solo pochi giorni fa. Intanto Paul Tucker è passato al contrattacco chiedendo di poter deporre davanti alla Commissine Tesoro. La giornata era cominciata con uno scontro fra il premier David Cameron e il leader dell’opposizione Ed Milliband a conferma che il caso Libor ha una dimensione politica. Accadde in epoca laburista e David Cameron lo ha contestato ieri a Ed Milliband replicando all’accusa di voler fare solo «un’inchiesta parlamentare» invece della più complessa indagine pubblica. Il confronto non ha impedito al premier di fare un invito al management di Barclays: non pagate liquidazioni d’oro a Bob Diamond. «Sarebbe completamente sbagliato – ha detto – perché i cittadini chiedono che i reati commessi nelle nostre banche siano perseguiti come quelli per le strade». Diamond sta ancora negoziando la sua uscita, ma si parla di una cifra assolutamente indefinita compresa fra i 2 e i 21 milioni di sterline. Secondo la società Manifest che tiene sotto monitoraggio anche queste dinamiche salariali il ceo uscente avrebbe ricevuto 120 milioni di sterline dal 2005 ad oggi, ovvero nei sette anni da membro del board del gruppo. Fonte: S. Car., Il Sole 24 Ore 5/7/2012 Testo Frammento QUANDO È RASSICURANTE CHE LA BANCA POSSA FALLIRE - Nove colossi bancari si sono premurati di lanciare alle autorità Usa il messaggio: «Non preoccupatevi: possiamo fallire». La legge Dodd-Frank richiede agli istituti più grandi di delineare come far fronte a un eventuale crack senza provocare traumi sistemici e senza che debba rendersi necessario un salvataggio pubblico: se un istituto è "troppo grande per fallire", va smembrato. Così Barclays, BankAmerica, JP Morgan, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Morgan Stanley e Ubs hanno sostenuto di non essere "too big to fail": in caso di insolvenza, dicono, potranno trovare soluzioni varie – dalla vendita a pezzi alla costituzione di una "bad bank" – che non creeranno sconquassi. Altre grandi banche rilasceranno la "road map" sugli esiti di una eventuale insolvenza nei prossimi mesi. È probabile che tutte ribadiranno: nessun problema, possiamo fallire. Fonte: MARIO DEAGLIO, La Stampa 4/7/2012 Testo Frammento BARCLAYS ANCHE LE BANCHE DEVONO PAGARE - Tornati da Bruxelles, i governi europei si sono messi a fare i «compiti a casa», ossia a mettere ordine nelle proprie finanza pubbliche, scardinate dalla crisi economica. Per gli italiani si tratta di una prova molto dura perché l’Italia è reduce da una «vacanza» lunga più di un decennio, ma non ci sono rose e fiori neppure per gli altri paesi: la Corte dei Conti francese ha stimato ieri in 6-10 miliardi di euro i tagli alla spesa pubblica da realizzare Oltralpe nel 2012 e in 33 miliardi quelli indispensabili l’anno prossimo per arrivare a un deficit pubblico pari al 3 per cento del prodotto interno lordo, assai superiore a quello italiano. Consolazione magra per gli statali italiani afflitti dalla prospettiva di ferie coatte e carriere ridotte. A consolarli, però, dovrebbe essere la notizia che i «compiti a casa» non li fanno solo i governi - e, tramite loro, gli statali. Anche la grande finanza internazionale è entrata nel girone delle penitenze. Il primo «peccatore» nel mirino è Barclays Bank, seconda banca inglese per ammontare delle attività, oltre trecento anni di storia, grande protagonista della finanza internazionale fino a ieri, simbolo della rispettabilità bancaria della City dove vige il motto «my word is my bond», la mia parola è il mio impegno. Barclays ha accettato di pagare una multa di 451 milioni di dollari, il che potrebbe essere solo l’inizio, e presidente e amministratore delegato si sono dimessi in un batter d’occhio, e anche questo potrebbe essere solo l’inizio. La «parola» di Barclays Bank è risultata sistematicamente contraffatta per diversi anni, durante i quali ha manipolato, o quanto meno contribuito a manipolare, il Libor, uno dei tassi chiave del mercato finanziario mondiale, sulla base del quale ogni giorno si chiudono milioni di contratti. E sicuramente non ha agito da sola: i siti finanziari riportano i nomi di almeno altri 5-6 colossi, europei e americani, veri pilastri dell’economia finanziaria globale che avrebbero preso parte alla falsificazione. onte: Enrico Franceschini, la Repubblica 6/7/2012 Testo Frammento CITY– La foto di Bob Diamond abbracciato a un esultante Josè Mourinho spunta da uno scatolone sulla scrivania di quello che era fino a ieri il suo ufficio, un cubo di vetro al ventiquattresimo piano del quartier generale della Barclays Bank, tra i grattacieli di Canary Wharf, la nuova City della finanza sulle rive del Tamigi. La Barclays è lo sponsor della Premier League, la “serie A” inglese, ed era Diamond a consegnare a ogni fine stagione la coppa al vincitore: soddisfazione doppia quando la mise qualche anno fa tra le mani dell’allenatore del Chelsea, sua squadra del cuore. Altri souvenir sportivi sbucano dallo scatolone, tra gli effetti personali accatastati dalla segretaria dopo le dimissioni del banchiere più ricco e potente di Londra. Ci sono il pallone con cui i New England Patriots vinsero il campionato di football americano e un gagliardetto dei Boston Red Sox campioni di baseball, di cui Diamond è rimasto appassionato tifoso anche dopo il trasferimento dagli Stati Uniti al Regno Unito, oltre a tante immagini di lui che allena le formazioni di basket, baseball e calcio in cui giocavano i suoi figli da piccoli. «Il nostro mestiere ha molto in comune con lo sport», amava ripetere l’ex-amministratore delegato della seconda maggiore banca britannica ai sottoposti. E spiegava: «In entrambi i casi, per avere successo, occorre un leader che indica l’obiettivo e un forte spirito di squadra per realizzarlo». Strano che non abbia applicato subito la metafora al contrario, quando si è scoperto che la squadra alle sue dipendenze truccava le partite. Per giorni, mentre infuriava lo scandalo delle manipolazioni del Libor, il tasso interbancario da cui dipendono le speculazioni più sofisticate ma pure i mutui sulle case e gli interessi sulle carte di credito, l’“allenatorecapo” della Barclays ha ostinatamente rifiutato di assumersi le sue responsabilità. Ci è voluta una telefonata nel cuore della notte di Marcus Agius, presidente della Barclays e peraltro anche lui dimissionario, a convincerlo: «Bob, vogliono tutti la tua testa». Tutti, ovvero la Banca d’Inghilterra, la Financial Services Authority, il governo. Destino ha voluto che l’annuncio delle dimissioni sia venuto esattamente un anno dopo la deposizione di Diamond davanti alla commissione d’inchiesta sul crac finanziario del 2008, quando affermò in tono sprezzante: «Il tempo del rimorso, per i banchieri, è finito». Frase degna di Wall street, il film di Oliver Stone tratto dal romanzo di Tom Wolfe, sui “padroni dell’universo” che governano il pianeta dalle cittadelle del capitalismo. «Greed is good», l’avidità è bella, sosteneva il protagonista della vicenda, parole che potevano stare bene anche in bocca a Bob Diamond. Invece ora avidità e banchieri sono di nuovo sotto accusa. «Mi sono sentito fisicamente male quando ho saputo che i miei trader festeggiavano gli imbrogli sul Libor regalandosi bottiglie di champagne Bollinger», ha ammesso Diamond questa settimana. Non è la prima volta che critica certi eccessi: due anni or sono definì «imbarazzante» il conto di un pranzo da 44 mila sterline (50 mila euro) pagato da tre suoi broker nel più esclusivo ristorante della City per celebrare i bonus di fine anno. Ma adesso non basterà rinunciare a caviale e champagne, né sarà sufficiente licenziare un “allenatore”, per ripristinare la reputazione della Barclays e della City. Altre venti banche inglesi sono accusate di manipolazioni del Libor simili a quelle della Barclays. Si difendono sostenendo di avere truccato i tassi su pressioni della Banca d’Inghilterra. Questa avrebbe cercato di influenzarle per fare un piacere al governo, stufo di salvare dal fallimento banche private con denaro pubblico. I fatti risalgono a quando a Downing street c’era il laburista Gordon Brown, ma oggi la City sostiene a suon di donazioni il conservatore David Cameron, per cui governo e opposizione si scambiano accuse a vicenda. Il denaro non ha odore, insegna l’antico motto latino, ma da questa vicenda esala dunque una generale puzza di marcio. «È ora di fare qualcosa per cambiare la struttura e la cultura delle banche, dai compensi eccessivi ai banchieri alle truffe vere e proprie a scapito della società», tuona Mervin King, governatore della banca centrale inglese. «La cinica avidità dei banchieri che falsificavano il tasso Libor per fare maggiori profitti ha comprensibilmente scioccato e sdegnato l’opinione pubblica, in particolare in un momento di grave crisi economica provocata dalla crisi finanziaria degli anni scorsi », s’arrabbia lord Turner, presidente della Financial Services Authority (l’agenzia che regolamenta il settore). «Le banche hanno accumulato un potere troppo grande e troppo concentrato nelle mani di pochi», concorda John Plender, columnist del Financial Times. Le critiche non provengono da rivoluzionari marxisti, bensì da seguaci del mercato e del capitalismo, il che rende ancora più ineluttabile una resa dei conti. Ma come? E con chi? «Bisogna riformare il sistema, fare pulizia e farla in fretta», commenta un banchiere italiano della City, preferendo mantenere l’anonimato, «la finanza è la prima industria britannica e Londra è la più importante capitale finanziaria mondiale, questa è una macchia che può danneggiare entrambe ». Ci sarà una pubblica inchiesta. Porterà a più regulation e controlli? A una riforma che divida le banche in due, di qua il settore investimenti, di là l’attività tradizionale di risparmio e prestiti? «È il minimo necessario », ritiene l’Economist, se si vuole cancellare la destabilizzante impressione che la City sia non solo il centro del “casinò banking”, ossia della finanza trasformata in gioco d’azzardo, ma addirittura una bisca di bari con gli assi nascosti nelle maniche. Tuttavia per Alan Rusbridger, direttore del filo-laburista Guardian, il danno rischia di essere più ampio: «Lo scandalo dei rimborsi spese truccati dei deputati ha dimostrato che la politica è disonesta, il Tabloidgate dei giornali di Rupert Murdoch sta dimostrando che gran parte dell’informazione e dei media sono disonesti, ora il Liborgate potrebbe rivelare che sono disoneste anche le banche». Le istituzioni (tranne la magistratura) che hanno fatto grande la Gran Bretagna sono insomma finite nella fogna, e proprio alla vigilia delle Olimpiadi che dovrebbero mettere Londra in vetrina davanti al mondo. Qualcuno si era accorto che Bob Diamond era un simbolo pericoloso per la cittadella finanziaria sul Tamigi. Era il più ricco, 100 milioni di sterline di bonus in sei anni. Era americano, nel tempio costruito da pallidi banchieri con bombetta ed ombrello. Ed era troppo arrogante per capire la lezione dell’understatement inglese, la regola non scritta che suggerisce di non fare gli sbruffoni. «Il volto impresentabile del capitalismo », lo definì Peter Mandelson, guru del blairismo. E quando un anno e mezzo fa promossero Diamond da capo del settore investimenti a capo supremo della Barclays, il suo direttore del marketing ebbe un dubbio: scusa, Bob, gli chiese, ma tu hai mai ritirato del contante con un bancomat? «Cavolo, no di certo, se ho bisogno di cash mando la segretaria a prendermelo», rispose ridendo il boss. Lo presentarono alla stampa in una filiale della Barclays, per umanizzarlo, ma fu un disastro: sembrava un pesce fuor d’acqua. Non vedeva l’ora di tornare nel suo cubo di vetro, tra la foto con Mourinho, il pallone ovale dei Patriots e il gagliardetto dei Red Sox, convinto che un allenatore non debba avere mai rimorsi.