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 2012  luglio 05 Giovedì calendario

Fiumicino, ecco il Paese in perenne avaria - In una recente intervista, Be­netton ha detto di essere pron­to a investire a Fiumicino, se non sbaglio, l’astronomica cifra di 12 miliardi

Fiumicino, ecco il Paese in perenne avaria - In una recente intervista, Be­netton ha detto di essere pron­to a investire a Fiumicino, se non sbaglio, l’astronomica cifra di 12 miliardi. Ovviamente a condi­zione che vengano adeguate le ta­riffe. Basterebbe un decimo per far­lo funzionare alla grande. Dopo un anno di pendolarismo, tutti i fine settimana, sulla tratta Mi­lano- Roma, il cuoco è in grado di dirvi che Fiumicino è una buona approssimazione di come funzio­nano le cose in Italia: male. E la re­sponsabilità non è solo della politi­ca: anche i privati ci mettono del lo­ro. Chi assapora la zuppa da tem­po sa bene che da queste parti non ci sono pulsioni anticapitaliste. Ma fatevi 50 fine settimana a Fiumi­cino e vi renderete conto di come un servizio vitale come l’aeroporto della capitale sia gestito coi piedi. Anzi sia gestito sapendo che non se ne può fare a meno e dunque senza alcun incentivo a migliora­lo. E a farlo sono dei privati. Non so se Benetton o Palenzona abbiano mai provato il servizio of­ferto, ma il loro fallimento è totale. L’alternativa, per chi ha la necessi­tà di fare solo la Roma-Milano, c’è e si chiama treno. Quando anche gli irriducibili, come il cuoco, an­dranno in stazione, Benetton&Co. si lamenteranno del calo dei ricavi, abbasseranno ancor di più la quali­tà, e chiederanno sempre maggio­ri tariffe. Diranno che è colpa della politica, ma il (de)merito è solo lo­ro. Il pessimo funzionamento di un aeroporto come Fiumicino, ol­tre a danneggiare l’utente, pelato dalle tariffe, danneggia anche il lo­ro principale cliente e cioè l’Alita­lia. Ecco, basta vedere i passi da gi­gante fatti dall’ex compagnia di bandiera per accorgersi di quelli da gambero fatti da Fco (la sigla del­lo scalo). Sembra un carrozzone pubblico. E lo è. Non fidatevi dei da­ti sul traffico passeggeri. In un mo­nopolio valgono poco. Bisognereb­be a esempio vedere quanti hanno rinunciato all’aereo o ci rinunce­ranno, per colpa dell’aeroporto. Vorrebbe, il cuoco, avere una cuci­na della bellezza di Roma! Non ba­sta Fiumicino per rinunziare a Ro­ma, tanto più che a un turista il sup­plizio è somministrato una volta nella vita. Avete mai visto un bagno a Fiu­micino? O meglio: l’avete mai sen­tito? In caso affermativo ve lo ricor­derete per sempre. Da quante setti­mane non funziona il microfono per gli annunci del gate B2? E pri­ma del comodo B2 era un altro. Per­ché ai varchi di sicurezza di Linate nel medesimo giorno le scarpe del­lo stesso passeggero seminudo non fanno suonare gli allarmi e a Fco sì? «Qua so’ tarati diversi, se­mo più sensibili», vi dicono gli ad­detti alla sicurezza. Avete provato a bervi un caffè espresso a Fco? Sie­te ancora vivi? E le file ai controlli dedicati sulla Roma-Milano? Non parliamo delle attese del pullman quando, come spesso avviene, non si è al finger! Alitalia arriva pun­tale, ma spesso il ritardo si accumu­la per il bus dal parcheggio. Lo ge­stisce Alitalia, gli aeroporti? Boh, ma sarà più facile gestire il traffico e la logistica dei pullman in uno scalo, che dei voli a 10mila metri. All’aeroporto di Kiev c’è il wifi gra­tis per tutti. A Fco spesso non fun­ziona neanche il farraginoso siste­ma Linkedin della Freccia Alata. Aspetti l’invio dell’sms e quando fi­nalmente arriva ( non si tratta di se­condi, ma spesso di decine di mi­nuti) ti devi imbarcare. Ueee non scherziamo con i bagagli: i commu­ter hanno soprannominato i nastri di Roma, come le forche caudine. Si fanno scommesse non tanto sul tempo di riconsegna dei bagagli, quanto sul loro arrivo. La logistica e la circolazione di taxi e ncc al­l’esterno deve averla disegnata Jackson Pollock, ma dopo una do­se seria di allucinogeni. Più o me­no la condizione in cui, si dice, ver­sasse quasi quotidianamente uno dei tanti manager che si sono suc­ceduti a Fiumicino. Succede, più di una volta ogni 50 puntate, che qualche area dei terminal sia senza luce. «A dotto’ deve esse’ scattata» come in quelle famiglie che con tre ki­lowatt pretendono di avere fer­ro da stiro, scaldabagno e forno accesi insieme. Una volta anche in Freccia Alata è scattato il con­tatore: tutti in sala amica, che per l’occasione non è stata così amichevole. Hanno abolito il lu­strascarpe e i carica telefoni, ma in compenso gli addetti del­l’American Express imperversa­no da anni e ti offrono la loro carta placcan­doti come un pusher fareb­be con un tos­sico ad un ra­ve. Ma questo vale per la par­te migliore e nuova dell’ae­roporto: il ter­minal 1. Quello dei voli interna­zionali, meno utile al pendolare Roma-Milano, è un business ca­se da Harvard dal titolo: «Come una famiglia di successo veneta riesce a sputtanarsi nel giro di una generazione». Dalla curva IS-LM alla curva sud. Si dirà: non è tutta colpa del ge­store aeroportuale. Palle. Spes­so il costo di un biglietto aereo è inferiore a tasse e tariffe aero­portuali. Queste due ultime ci­fre sono lì a braccetto: a testimo­niare quanto un pessimo im­prenditore privato sia molto si­mile al leviatano statale.