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 2012  luglio 05 Giovedì calendario

Allarme conti pubblici: l’Italia vede nero - Per i conti pubblici scatta la sirena d’allarme. Nei primi tre mesi di quest’anno il deficit è schizzato fino all’8% del Pil, il dato peggiore dal primo trimestre del 2009

Allarme conti pubblici: l’Italia vede nero - Per i conti pubblici scatta la sirena d’allarme. Nei primi tre mesi di quest’anno il deficit è schizzato fino all’8% del Pil, il dato peggiore dal primo trimestre del 2009. Sono molte le cifre negative re­se note dall’Istat: il saldo prima­rio, ovvero l’indebitamento al net­to degli interessi sul debito pubbli­co, è risultato negativo in misura pari al 3% del Pil. Le uscite totali so­no aumentate dell’1,3%, mentre le entrate sono diminuite dell’1%. Un quadro davvero poco prome­tente alla vigilia del Consiglio dei ministri che, nel pomeriggio di og­gi, si riunisce per varare il provve­dimento sulla spending review . L’obiettivo di un deficit all’1,7% a fine anno è a rischio. Bisogna subito dire che, tradi­zionalmente, il primo trimestre è il peggiore dell’anno: infatti nel 2011 il rapporto deficit-Pil s’era at­testato al 7%. Il peggioramento co­munque c’è, e deriva fondamen­talmente da due fattori: l’aumen­to della spesa per interessi sui tito­li di Stato (insomma, il tanto evo­cato effetto spread ); il calo delle en­trate causato dall’andamento ne­gativo dell’economia reale. Due cause di tensione che non sono state ancora rimosse né limitate. Lo spread con i titoli tedeschi resta saldamente sopra i 400 punti ba­se, mentre l’economia peggiora mese dopo mese. Non si vede co­me queste tendenze possano esse­re frenate. L’obiettivo di un disavanzo del­l’ 1,7% è stato indicato dal governo in base a un’economia stimata in discesa dell’1,2%. Ma oggi le ulti­me p­revisioni del Centro studi del­la Confindustria parlano di un ca­lo doppio, pari al 2,4%. Questa pro­fonda recessione comporta non soltanto una riduzione delle entra­te fiscali, ma un effetto matemati­co inevitabile di aumento del rap­porto fra deficit e Pil. L’ultima pen­nellata di questo quadro già fosco è rappresentata dalle spese per il terremoto che ha colpito l’Emilia. Mentre l’aggiunta di 55mila eso­dati da «salvare», in aggiunta ai 65mila già salvaguardati, avrà ef­fetti sui bilanci dei prossimi anni. E così, così come è a forte rischio l’obiettivo 2012 per i conti pubbli­ci, è in bilico il raggiungimento del pareggio di bilancio promesso al­l’Unione europea per il 2013. La zona euro, conferma Euro­stat, è in piena stagnazione: nel primo trimestre 2012 la crescita è stata pari a zero. Per vedere qual­cosa di simile a una ripresina, nel­l’intera aerea a moneta unica, sa­rà necessario aspettare l’inverno. Le stime dei principali centri di ri­cerca europei (Ifo, Insee, Istat) parlano di un timido +0,1% nel quarto trimestre dell’anno. I costi della recessione potran­no essere calcolati solo alla fine di questa lunga crisi. Ma nel nostro Paese gli effetti della tempesta so­no stati particolarmente pesanti a causa della frammentazione del tessuto produttivo. Il numero di fallimenti negli ultimi tre anni (2009-2011)è aumentato in misu­ra vertiginosa: secondo il Censis sono state 33mila le procedure di fallimento avviate, riguardanti in gran parte piccole e piccolissime imprese. Rispetto al 2008, il saldo fra apertura e chiusura di aziende è negativo: mancano all’appello oltre 13mila imprese, mentre su ogni cento aziende costituite nel 2006 sono ancora operative sol­tanto 58. Oltre il 70% delle piccole impre­se ha gravi difficoltà nel recupero di crediti commerciali, e oltre il 50% ha problemi di finanziamen­to da parte delle banche. «È bene che il governo proceda con la spen­ding review - osserva il presidente del Censis Giuseppe De Rita - ma bisogna soprattutto promuovere gli strumenti di microcredito, che rappresentano un puntello di fronte a uno scivolamento che per ora appare senza fine».