MARCO VALLORA, La Stampa 6/7/2012, 6 luglio 2012
Ma in questo caso i dubbi sono più che legittimi - Mah, che uno sia anche perplesso e guardingo, questo almeno sia concesso, e legittimo, visto che non è possibile che una settimana sì una settimana no venga fuori una notizia-choc su Caravaggio, sempre lui, il che, ovviamente, rende ogni volta più dubbiosi
Ma in questo caso i dubbi sono più che legittimi - Mah, che uno sia anche perplesso e guardingo, questo almeno sia concesso, e legittimo, visto che non è possibile che una settimana sì una settimana no venga fuori una notizia-choc su Caravaggio, sempre lui, il che, ovviamente, rende ogni volta più dubbiosi. E sempre queste parole-glamour, millantate: capolavoro, autografo, scoperta sensazionale che rivoluzionerà il secolo. Poi la coperta del silenzio, che tutto ricopre, e buonanotte al miracolo. Il che significa, probabilmente, che esiste una generazione o una task force di studiosi o pseudo-tali, che si è fossilizzata nella ricerca spasmodica (più o meno setacciante) dell’ultimissimo prossimo scoop caravaggesco, e che gratta solo in zona, e non attende altro che il momento sonnolento di dare all’Ansa lo squillo epocale dello scoop, pur di far parlare di sé. Allora: se si trovassero dei disegni certi ed indiscutibili (cosa sempre relativa, per tutti) ma proprio di Caravaggio, eh, certo, che sarebbe notizia cruciale ed intrigante. A dire che non era quell’improvvisatore esagitato romantico, come solo gli sceneggiati tv ritengono. Perché è ben probabile che disegnasse anche lui, ma bisogna capire come, e in che occasione, e con che tecnica, in che stile. Non poca cosa. Ma soprattutto, capire se e come li conservasse, se li affidava a qualcuno, a che punto del percorso li utilizzava, ecc. Ed ascoltare poi un consesso affidabile di veri esperti, per capire se questa «scoperta» rivoluzionaria può risultare attendibile. Sempre tenendo conto che la valutazione dell’occhio dell’attribuzionista è essenziale. Non bastano illazioni fanfarone, pretese ingenue, verifichine al computer, documenti onniparlanti (come Nostradamus). La sfumatura che onestamente un po’ sorprende, in questa agnizione estiva, che sarà verissima, per carità (non obiettiamo, non avendo ancora potuto visionare i fogli, ma già le foto lancian dubbi stilistici) consiste nello stile della notizia, nel contorno paratestuale, che non è piccolo indizio. Soprattutto senza prima un minimo, sereno confronto tra altri esperti e l’esigenza di verificare la scientificità di questi pur apodittici ed assolutistici strilli, dati per certi, alle stampe (la firma autografa assicurata del Merisi, ma dove?). L’ebook già pronto su Amazon, cotto per domani. Il filmatino ben confezionato, ove si dà per accertata la «scoperta rivoluzionaria» e l’effetto dirompente del «ritrovamento». Come se nemmeno più Iddio potesse metterla in discussione. Alla faccia della serietà. E poi una spia davvero inquietante e rivelatrice. Sono appena stati «scoperti»? Ma allora, che senso ha far subito i conti in tasca alla trouvaille (non sarà l’unica cosa che interessa davvero?) se valgono già 700 milioni o più, come un Cattelan-Hirst appena sfornato, e senza nessun confronto credibile con il mercato, perché appunto non ci sono esemplari di comparazione mercantile. Ma non sarebbe stato meglio sposare la più efficace soluzione del ritrovamento «senza confronti», «incommensurabile», versione forse più accattivante, misteriosa, sensazionale? altro che far conti e congratulazioni al Comune che ne è proprietario. Zappa sui piedi? Ma anche lì: «era da cent’anni che si cercavano». Come se fossero venuti fuori dalle cantine. Mettiamo i puntini sulle «i»: che esistesse un fondo di disegni, al Castello Sforzesco, del suo maestro manierista Peterzano, ove anche lui poteva essere contemplato, ma lo sapevano pure, a pappagallo, le maschere delle visite guidate e qualsiasi monografia, che si rispetti, del pittore.Che è stato a bottega dal milanese Peterzano, ci sono i documenti, che certo doveva disegnare come tutti i rampolli d’atelier, che certamente in qualcosa si sarà specializzato (in nature morte? Ovvio, prima della virtuosissima Cestella dell’Ambrosiana). Anni fa, uno dei più accreditati studiosi di Caravaggio e della scuola longhiana, Mina Gregori, aveva avanzato l’ipotesi, stilistica, che una celebre natura morta lombarda, potesse «passare» al giovane Caravaggio. Ed oggi sostiene: «Ma chi è che non sa che al Castello Sforzesco c’è un nutrito fondo di disegni della bottega di Peterzano, anch’io li ho studiati a lungo, e forse dopo tante scoperte si potrebbero analizzare meglio, ma bisogna verificare con quale credibilità si azzardano certe nuove attribuzioni». Adriana Conconi Fedrigolli (collaboratrice d’una monografia sulla collezione bresciana Avogadro) e Maurizio Bernardelli Curuz (responsabile di mostre bresciane, studioso che firma i suo saggi in catalogo con la referenza dott., un po’ inusuale) senz’alcuna prevenzione, non hanno però alcun vero pedigree caravaggesco, ma sole certezze, sull’ (ahimè) «Sistema Merisi». Due piccole domande, visto che graficamente certi raffronti posson collimare: ma che prova c’è che non siano dei disegni successivi d’allievi, che copiano opere finite? Pentimenti? Schiaccianti prove grafiche? Ragioni espressive? E soprattutto, un vero enigma. Ma se vien dato per certo che questi autografi di bottega giovanili (di stile però posteriore, profetico? mah) siano stati anche «più volte ripresi nelle opere di maturità», ma possibile che con quella sua vita scapestrata, dimenticato anni luce il suo non-amato maestro, in tarda età, come un sentimentale uccello migratore, Caravaggio li abbia riportati nella cuccia adolescenziale, per farli riscoprire da Curuz e Fedrigolli?