Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 05 Giovedì calendario

METTI, UNA SERA TRA I FORZATI DELLO STREGA - A

h cojone, ma la smetti di raccontà cazzate?”. Viterbo, esterno notte, luna piena. La voce è un’ombra anonima, un lupo più pasoliniano di Emanuele Trevi. Ulula dall’alto, riparato da mura che sanno mantenere il segreto: “Ahò, nun hai capito, hai rotto er cazzo. Lassace in pace, falla finita”. Il parco del paradosso, scelto per l’incontro organizzato dal Festival Caffeina con gli altri candidati al premio Strega, merita il proprio nome. Con gli altri quattro quinti della truppa finalista (Carofiglio, Piperno, Fois, Ghinelli) Trevi è atterrato nella Tuscia per presentare il notevole Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie), viaggio nel mondo di Pier Paolo e Laura Betti. Lo insultano e lui, ignorando gli agitati poliziotti che con walkie talkie e malcelato imbarazzo cercano il colpevole, ne ride: “Sembra uno dei miei personaggi, ma quando ti urlano di non dire stronzate, continuare seriamente è impossibile”. Uno dopo l’altro, in un tour da forzati che li ha visti passare da Benevento a San Pietroburgo, gli scrittori si raccontano. In un altro scenario, tra le sinuose arcate del Ninfeo di Valle Giulia, tra poche ore, comunque vada sarà finita. Risultato incerto: c’è chi giura sulla rimonta di Carofiglio (Il silenzio dell’onda, Rizzoli) e chi investirebbe lo stipendio sul sorpasso di Piperno (Inseparabili, il fuoco amico dei ricordi, Mondadori). Trevi, per ora, in un’edizione in codifica-bile in cui per raggiungere la fascia gialla che assicurano garantisca fino a 40.000 copie in più tra gli scaffali, potrebbero bastare meno di 120 voti, guarda tutti dall’alto.
DA 65 ANNI, il Premio del liquore sannita ubriaca la letteratura italiana. Morante e Flaiano, Pavese e Moravia, Ginzburg, Moravia, Levi, Cassola, Eco. Gli eredi, a prima vista, scrivono meglio di quanto non comunichino. Piperno paragonato con qualche eccesso a Roth e Proust, biasima la rivoluzione sessuale e definisce la memoria “sopravvalutata”. Chi ricorda troppo, sostiene: “Vive in uno stato di risentimento”. Trevi cita Cioran e rimpiange “ma non sono nostalgico” i giganti di ieri. Ghinelli non rammenta il primo istante della creazione letteraria, ma dice seria: “Ricordo la prima volta che scrissi in modo per me significativo”. Fois parla di “bellezza assoluta” e Caro-figlio, il vero outsider del gruppo, sembra il meno compreso nel ruolo. Tra Piperno il timido che inganna apparendo borioso e Trevi (caratterialmente diversissimi, ma molto amici tra loro) potrebbe godere proprio Gianrico, l’ex magistrato con vena letteraria. Per Trevi che lasciò Rizzoli in polemica con la scelta di far competere Silvia Avallone al suo posto nello Strega di due anni fa, il trionfo di un Carofiglio inguainato in blusa Rcs rappresenterebbe la nèmesi. Piperno aspetta. Seguendo i percorsi a ritroso del vecchio Strega, quello in cui l’antica anima del Premio, Anna Maria Rimoaldi, nei ricordi di Fulvio Abbate: “Faceva votare anche i morti, spostando pacchi di schede da un bussolotto all’altro” non dovrebbe esserci partita. Equazione matematica tra i 64 voti dell’escluso Fois (sua la struggente epopea sarda di Tempo di mezzo, Einaudi) e il patto tra consorelle con Mondadori. Nessuno però brama per apparire in tv con il bottino ridotto a frazioni decimali, l’incognita Newton Compton (38 voti per la Ghinelli de La colpa) terrorizzano i pronostici e così l’addizione scontata potrebbe riservare sorprese. Da sempre, nonostante Cavallero di Mondadori si limiti all’ilare, inevitabile affermazione di sani principi: “Voteranno tutti secondo coscienza”, lo Strega vive di scambi telefonici ed epistolari utili a strappare il voto decisivo.
PASOLINI vergava lettere laconiche: “Caro Sereni, scusami questo atroce, laconico biglietto tutto bianco: ne sto scrivendo una dozzina. È per chiederti il voto allo Strega. Me lo darai?" e come rivelò Andrea De Carlo, certi squilli melliflui, ricevuti dopo silenzi decennali inducevano alla nausea: “Mi chiamò uno scrittore. Passò i primi dieci minuti a spiegarmi quanto ammirava i miei romanzi. Poi descrisse una sua deliziosa casetta marina, dove se avessi voluto avrei potuto passare qualche bel giorno di riposo. Infine, in un brusco cambio di registro mi aveva detto ’Volevo ricordarti che sono in gara per lo Strega, mi voti?’. Non c’è ragione di pensare che anche nell’occasione numero 65 sia andata diversamente. Stasera sorrideranno tutti, ma dietro le quinte , nonostante le narrazioni da retropalco spandano veline serene e “ottimo clima tra i concorrenti”, perdere non piace a nessuno. Come in quel verso di De Gregori sui poeti: “Sognano di vittorie e premi letterari/ pugnalano alle spalle gli amici più cari" anche gli scrittori fuori dal formicaio dei flash, nel loro piccolo, si incazzano. Scurati e Scarpa, arrivati quasi appaiati, con il secondo trionfante per un solo voto, rischiarono la rissa. Scurati attaccò il veneto: “buffone di corte, simbolo della categoria del ‘chiagni e fotti’, di chi ha parlato per anni in nome degli esclusi per poi sfruttare l’emarginazione e trarne benefici personali" e l’altro a controbattere: "Greve soldatino mediatico, autore pop costruito a tavolino con un’abile strategia propagandistica”. Oltre la siepe, dietro le maschere, in nome della sacra letteratura.