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 2012  luglio 06 Venerdì calendario

LA CO-SCONDUTTRICE RIPASSATA COME SI DEVE DA TREMONTI


Filippo Facci, da quando conduce In onda senza che si capisca un tubo di quel che dice o pensa, è la dimostrazione più o meno vivente e comunque pratica che si può essere spettinati, oltre che fuori, anche dentro la testa.
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«Ogni volta che Gerusalemme è apparsa più irrilevante e dimenticata, è stata spesso la bibliolatria, lo studio devoto della verità biblica condotto da persone in terre lontane – alla Mecca, a Mosca o in Massachusetts – a riproiettarle sopra la fede di queste ultime. Tutte le città sono finestre che mostrano la mentalità degli stranieri, ma questa è anche uno specchio a doppio senso che, mentre riflette il mondo esterno, rivela anche la sua vita interiore» (Simon Sebag Montefiore, Gerusalemme, Longanesi & C. 2012).
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Va In onda anche di peggio, del resto: per esempio la co-sconduttrice di Facci, comunque si chiami. Interrogando il pm palermitano Antonio Ingroia, ha definito «bellissimo» non so che suo articoletto apparso su Repubblica o forse sul blog di Beppe Grillo (ed è un po’ come se un giornalista, intervistando Gengis Khan, non lo chiamasse «signor Khan» ma «ehi, dico a te, brutto assassino»). E cos’aveva di «bellissimo» questo articolo? Invocava la verità sulle stragi di mafia (ma anche su ogni altra strage, omicidio, gambizzazione, trama mysteriosa eccetera). Sono loro, i magistrati, quindi anche lui, a indagare, ma se non salta fuori la verità la colpa è dei politici, anzi è vostra e mia: abbiamo votato il partito sbagliato, non leggiamo il Fatto quotidiano, Beppe Grillo non c’incanta, anzi le sue simpatie per l’Iran dei pasdaran, del «c’è lavoro per tutti», dei treni in orario, delle «donne che sono al centro della famiglia» ci sembrano pericolose belinate e per finire siamo liberali, quindi non ci rassegneremo mai (con buona pace della co-sconduttrice d’In onda, che invece lo troverebbe «bellissimo», contenta lei) a vivere in uno stato fascista governato da giudici, giornalisti e gabellieri.
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Intervistando, la sera prima, l’ex superministro dell’economia Giulio Tremonti, al quale ha più o meno chiesto (domanda «bellissima», ma tra le più insensate) se non si sentisse anche personalmente responsabile della crisi economica che sta attraversando il paese, insieme all’Europa e al mondo intero, la poveretta (sempre lei, la co-sconduttrice) s’è tirata addosso una ripassata memorabile. Raramente un giornalista è stato trattato con più disprezzo dal politico che sta intervistando. E lei, la poveretta, come ha reagito? Non ha reagito: la co-sconduttrice è rimasta zitta. Sono rimasti zitti anche il suo co-sconduttore e gli altri ospiti, compresi un economista antitremontiano (se avesse parlato, avrebbe dovuto dare ragione a Tremonti).
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«Forse oggi i vittoriani vengono derisi un po’ troppo per la loro idea che il romanzo fosse semplicemente una storia a lieto fine. La vera pecca dei vittoriani fu che considerarono la storia come un racconto a lieto fine – perché si concludeva con l’età vittoriana. Fecero di tutte le memorie dell’umanità un unico romanzo in tre volumi ed erano piuttosto sicuri di essere giunti al terzo volume» (G.K. Chesterton, Il racconto del mondo, Lindau 2012).
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Adesso che la politica è morta, che le cose avvengono altrove, e che per tenere su la serata dei talk show (tanto più che è estate, e il potente di questi tempi lascia la città per i mari del sud) bisogna convocare politici bolliti, di cui i telespettatori ricordano a malapena la faccia ma hanno dimenticato il nome, gente che (se mai ne ha avuta) non ha più importanza, ecco, adesso che i giochi sono fatti e rien ne va plus, non si potrebbero eliminare i talk show?
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Anche per una questione di spending review. Non c’è solo il taglio economico delle spese, infatti. Si tratta di tagliare anche le parole inutili: le banalità, i luoghi comuni, i sorrisetti saputi, gli slogan appiccicosi, le balengaggini. A che serve, del resto, far parlare Filippo Facci se tanto poi non si capisce quel che dice? E gli altri, che (peggio ancora) invece si capiscono benissimo e stanno sempre lì a ripetere le stesse frasi fatte, a fare sempre gli stessi occhiacci?
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«Leggere si può. Potete perfino essere un uomo di cultura, ma è sempre meglio mantenere il segreto su questo punto. Nessuno vi crederà se affermate di provare un vero interesse per Sartre, Kafka, Camus o per la poesia di Robert Graves. State chiaramente fingendo. Ora fingere va benissimo, ma vi deve mancare qualche venerdì se avete optato per lo snobismo intellettuale. È già così difficile accontentare lo snobismo sociale!» (il Duca di Bedford, con George Mikes, Il libro degli snob, Castelvecchi 2012).