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 2012  luglio 05 Giovedì calendario

L’OLIO DI PALMA VA FORTE IN BORSA


Felda Global Ventures Holding (Fgvh), numero tre mondiale dell’olio di palma, è entrato in borsa raccogliendo 3,1 miliardi di dollari (2,5 mld euro). Lo sbarco è avvenuto nel listino di Kuala Lumpur, capitale della Malesia.
La prima giornata di scambi ha decretato il successo, con un rialzo del 20% del titolo.
Il 52,5% dell’azienda è posseduto dallo Stato.
Si tratta della più importante operazione dell’anno alle spalle di Facebook, che riuscì a rastrellare 16 miliardi di dollari (12,7 mld euro), trascinando però con sé un’infinità di polemiche. In ogni caso, un segnale di speranza, vista la situazione difficile dei mercati finanziari.
L’interesse degli investitori è giustificato dall’enorme appetito generato dal settore dell’olio di palma, che pesa per 40 miliardi di dollari (31,9 mld euro) a livello globale. L’offerta è stata 30 volte superiore alla domanda da parte degli istituzionali, tra cui il fondo sovrano del Qatar.
Nel quadro di un protocollo d’intesa concluso in primavera, la casa francese Louis Dreyfus ha rilevato una partecipazione dello 0,5% in Fgvh, anche se meno del 2,5% inizialmente preventivato.
La società malesiana è praticamente sconosciuta (o, perlomeno, lo era) in Europa. L’anno scorso essa ha conseguito un giro d’affari di 2,3 miliardi di dollari. Fgvh è il braccio commerciale di Felda, una cooperativa pubblica. Prima realtà del suo paese, Felda gestisce 900 mila ettari di terreni di palme, pari al’8% della produzione mondiale, dominata dalla sua compatriota Sime Darby.
La quotazione ha come obiettivo la trasformazione del gruppo in un attore integrato del comparto, fino alla lavorazione dell’olio.
Ma l’intenzione è anche quella di favorire l’espansione in Asia e in Africa. Metà dei soldi raccolti consentirà di investire nella piantagione di nuovi alberi, visto che quelli di Felda hanno un rendimento inferiore a quello dei concorrenti a causa dell’età elevata.
Intanto non cessano le polemiche sull’uso dell’olio di palma. L’allarme era stato lanciato da Greenpeace, che aveva accusato Nestlé e altri colossi dell’agroalimentare di contribuire alla deforestazione e alla distruzione della fauna in Indonesia, primo produttore del pianeta.
L’olio di palma, ricco di acidi grassi saturi, è ritenuto responsabile di disturbi cardiovascolari.
Oggigiorno, tuttavia, i produttori hanno aumentato la loro vigilanza per controllare l’approvvigionamento e ricorrere a olio certificato. In ogni caso, quello di palma è ormai divenuto da qualche anno l’olio numero uno a livello globale. Lo si ritrova in quasi un terzo dei prodotti consumati, soprattutto alimentari: dai biscotti alle patatine.
Altri sbocchi riguardano i cosmetici e i biocarburanti. Un business più concreto delle reti sociali.