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 2012  luglio 03 Martedì calendario

IL PD NON SI SA ANCORA CHE COSA SIA


Il Pd? «Non si capisce ancora cosa sia. Non lo sa neanche lui», intrappolato com’è nel «rifiuto di conciliare l’anima liberal e quella radicale». «I militanti non sono altro che i dipendenti dei loro leader, che distribuiscono loro incarichi, posti e opportunità di lavoro».
Il Pdl, invece, è stato l’apologia «dell’interesse privato che prevale sul pubblico. Una visione che ha infettato anche la sinistra». La «seconda repubblica» poi «non è mai nata, perché il sistema non è mai cambiato e prevalgono sempre gli interessi di partito». Il giudizio di Achille Occhetto è severo. Il padre della Bolognina rilegge con ItaliaOggi gli ultimi 20 anni dell’agone politico, dalla crisi della politica a quella, più specifica, del Pci-Pds-Ds-Pd. In Bersani trova un «bravo tecnico» e in Renzi «la giusta istanza di rinnovamento». Occhetto non da alcuna chance, invece, alle sopite ambizioni di «partiti a vocazione maggioritaria». E rivela: «La gioiosa macchina da guerra non è mai esistita»
Domanda. La Seconda Repubblica è in crisi. Lei ne è spettatore, dopo aver assistito da protagonista alla fine della Prima
Risposta. Non amo l’espressione Seconda Repubblica. Non c’è mai stata una Seconda Repubblica. Non si è mai passato da un sistema istituzionale a un altro. Preferisco parlare di seconda fase della Prima Repubblica.
D. Allora parliamo di crisi della Repubblica
R. Vede, il passaggio dalla prima alla seconda fase della repubblica doveva essere contrassegnato da tre elementi fondamentali: il primo elemento era il superamento dei vizi emersi con Mani pulite e la risoluzione della questione morale; il secondo elemento era il passaggio a un sistema di bipolarismo perfetto, contraddistinto da coalizioni alternative e organiche sulla base del programma e delle forze che le componevano; il terzo e ultimo elemento era l’approdo a una vera e propria repubblica dei cittadini, rispetto a cui i partiti dovevano fare un passo indietro nella gestione. Nessuno di questi tre obiettivi è stato perseguito.
D. Fallimento totale?
R. Per quanto riguarda il bipolarismo, nel centrodestra non si è creata una coalizione organica. Sono stati messi assieme partiti diversi tra loro. Si pensi al paradosso di una coalizione in cui convivevano Alleanza Nazionale e Lega. Il primo era un partito con tradizioni nazionaliste, il secondo un partito che voleva disgregare l’Italia. Per quanto riguarda la questione morale, invece, il governo Berlusconi ha aperto una nuova fase della corruttela nazionale; peggiore di quella avuta nella prima fase della repubblica. In quanto, non si è limitata al solo sistema delle tangenti, ma, attraverso i conflitti d’interessi, ha creato una spirale viziosa di interesse pubblico e interesse privato. Infine, per quanto riguarda la cosiddetta repubblica dei cittadini, si è fatto tutto il contrario. Hanno prevalso gli interessi di partito.
D. Il cuore la induce a essere indulgente con la sinistra
R. Questi tre obiettivi sono stati traditi anche dal centrosinistra. Che non ha tenuto conto di una questione, riassunta bene da una bella frase pronunciata da Prandelli: «quando si persegue il rinnovamento, certo il risultato conta, ma più del risultato conta perseguire l’idea. E quindi continuare a rinnovare senza avere paura del risultato». Invece, dopo il ’94, a sinistra ci si è spaventati del risultato. E, tranne la breve fase del primo Ulivo, anche nel centro sinistra si è fatto prevalere l’interesse dei singoli partiti della coalizione. Si è buttato a mare l’Ulivo. Si sono perseguiti strani accordi con Berlusconi, che riguardavano le riforme costituzionali, la bicamerale. E, soprattutto, il conflitto d’interessi, senza mutare le leggi in parlamento. Poi, con la distruzione del Grande Ulivo si è ricreato il primato dei partiti. Però si tratta di partiti autoreferenziali, i cui iscritti altro non sono che i dipendenti dei loro leader, che distribuiscono incarichi, posti e opportunità di lavoro. Sotto questo profilo la questione morale è riemersa ovunque, portando a degenerazione persino gli aspetti più positivi della Prima repubblica
D. Ma cos’è oggi il Pd? Un partito socialdemocratico, liberal o laburista?
R. L’idea di creare un partito democratico che unisse le diverse anime del centrosinistra è stato perseguita attraverso una fusione a freddo tra apparati. E non attraverso una necessaria convenzione programmatica, che creasse effettivamente un nuovo soggetto politico.
D. Quindi?
R. Cosa sia il Pd, per me, non è ancora chiaro. E forse ancora non lo è neanche allo stesso partito democratico. L’equivoco è nato quando si volle togliere dal nome la parola «di sinistra». In quella parola c’era un’idea chiara: bisognava uscire dalle macerie del comunismo, ma da sinistra. Con una sinistra che non fosse comunista, ma fosse di sinistra. Oggi, nel Pd, convivono pulsioni che vanno in questa direzione con altre che la negano. Molto spesso queste anime si elidono a vicenda. E ciò determina una scarsa chiarezza sull’identità del partito.
D. Ma nel Pd è rimasto qualcosa della Bolognina?
R. È rimasto soltanto che il Pd non è un partito comunista.
D. È rimasto anche Bersani. Che ne pensa di lui?
R. È difficile personalizzare. Lui cerca di fare il meglio possibile in questa situazione. Ha grandi capacità tecniche. Un ottimo ministro. Ma, come leader complessivo di una forza politica, armata di un chiaro progetto, non ha ancora avuto modo di fare la sua prova
D. Del compagno migliorista Napolitano cosa pensa?
R. Sta facendo bene la sua funzione. Con equilibrio.
D. E Renzi?
R. Renzi ha ragione quando sottolinea la necessità del mutamento della classe politica. Ha torto, ed è del tutto insufficiente, quando collega questo solo a un mero fatto anagrafico, senza una analisi degli errori fatti da coloro che dovrebbero essere cambiati
D. Bersani è del Pci-Pds-Ds-Pd. Viene dall’apparato di partito. Renzi, invece, è un cattolico liberale. Continua la doppia anima_
R. Sono due anime diverse, ma entrambe hanno al loro interno elementi di verità. La vera scommessa, che si voleva fare con la Svolta, era di trovare una sintesi tra l’essere liberal e l’avere una visione radicale delle necessità di mutamento strutturale dell’attuale modello di sviluppo. Una sintesi, quella tra queste due anime, che non si è mai voluta fare
D. Perché?
R. Perché si ritiene che l’idea liberal debba convivere per forza con politiche moderate. E l’idea più di sinistra debba convivere obbligatoriamente con vecchie visioni partitiche. In realtà non è così. In Italia abbiamo la grande tradizione dei fratelli Rosselli, di Salvemini, di Gobetti. Costoro erano tutti liberal ma, nello stesso tempo, erano radicali. Nel senso nobile ed alto della parola
D. Da sinistra la chiamavano “Ravanello”, la accusavano di essere rosso in superficie e bianco (democristiano, ndr) nel cervello.
R. Mi hanno detto anche di peggio. Questo è l’epiteto più simpatico. Credevano che volessi portare il partito a destra. La storia ha dimostrato il contrario. Al punto che ora sostengo la Sel
D. Il Pd, caduto Berlusconi, non riesce a crescere nei consensi
R. È frutto della crisi della politica. Della mancanza di fiducia nella politica. Quando, in un paese, si apre la fase pericolosissima di un distacco dei cittadini dalla politica dei partiti, quella ufficiale, la sinistra non guadagna mai.
D. Morto il Berlusconismo morirà il Pd?
R. Io spero che ci sia una riforma del Pd. Che nel partito si accolgano le istanze giuste di Sel e si crei la sintesi più alta tra la visione liberal e un chiaro orientamento nella direzione di una necessaria uscita dal disastro neoliberista. E dalla dittatura del sistema finanziario internazionale
D. Ma il Berlusconismo è davvero morto?
R. Il Berlusconismo è stata la visione del prevalere degli interessi privati su quelli pubblici, del far da se, del prevalere della competizione sulla cooperazione. Queste idee hanno pervaso la società italiana e infettato anche parte del centrosinistra. Esistono ancora. Bisogna andare cauti nel dire che il berlusconismo, inteso come questa visione della società, sia morto. È come la pelle di zigrino: si restringe, ma è ancora abbastanza ampia
D. Grillo chiama i due principali partiti Pdl e Pd meno L. Richiama un vecchio refrain del piano di Rinascita democratica della P2. Che voleva dare vita a due partiti speculari, uno alternativo all’altro, ma identici per cura degli interessi.
R. C’è qualcosa di vero in questo, ma non riguarda solo l’Italia. È stato vero negli Stati Uniti, per quanto riguarda la differenza tra Repubblicani e Democratici. Può diventare vero in Italia, se continua a imperare la filosofia della corsa al centro per vincere le elezioni. Col conseguente annacquamento delle prospettive di lungo termine
D. E le ambizioni veltroniane di partito a vocazione maggioritaria?
R. Non ritengo che il futuro sia di una sola delle forze in campo in autosufficenza. Non credo ne al partito veltroniano autosufficiente ne a quello vendoliano autosufficiente. Sostanzialmente sono per il bipolarismo, ma non per il bipartitismo
D. Triste epilogo per la gioiosa macchina da guerra?
R. La gioiosa macchina da guerra non è mai esistita se non sui media, dopo la sconfitta elettorale. Quella espressione non fu mai stata usata in campagna elettorale. Si trattava solo di una frase ironica che io dissi ai giornalisti, uscendo da una faticosa riunione sulla formazione delle liste dei Progressisti. Pensi, stavo per dire: «forse abbiamo fatto un’armata Brancaleone». Ma mi corressi giustamente, dicendo «questa si che è una gioiosa macchina da guerra». Era una espressione autoironica, non certo destinata a spaventare l’elettorato italiano
D. Insomma, i bambini ha smesso di mangiarli
R. (Ride) Io ho cambiato il Pci, ma anche il Pci non li mangiava_
D. Dica come vorrebbe riformare lo stato
R. Preferenze e doppio turno alla francese per la legge elettorale. Parlamentarismo e premierato per le riforme. Con un occhio agli Stati Uniti d’Europa.