Giampiero Mughini, Libero 5/7/2012, 5 luglio 2012
BASTA COI TALEBANI DELLA TRATTATIVA TRA STATO E MAFIA
Da cittadino italiano (e per giunta nato in Sicilia) figuriamoci se non vorrei che fosse fatta luce sulle tante tragedie che attengono alla recente storia siciliana, a cominciare dagli agguati mortali ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sì o no il massacro di quest’ultimo e della sua scorta trova la sua spiegazione nel fatto che Borsellino era contrarissimo a ogni ipotesi di contatto (o «trattativa» che dir si voglia) tra lo Stato e i vertici della cupola mafiosa, trattativa che tendeva a rendere meno cruento l’attacco portato da quel branco di assassini agli uomini e alle istituzioni della Sicilia? Sì o no quella «trattativa» (di cui non dubito che ci sia stata, e neppure tanto larvata) ebbe fra i suoi attori co-protagonisti personaggi come l’ex presidente del Senato Nicola Mancino? Sì o no il presidente Giorgio Napolitano era andato fuori dal suo seminato istituzionale nel prendere a cuore l’ «angoscia» di Mancino, sottoposto a un’indagine per fatti che risalgono a 25 anni fa e nei quali è del tutto evidente che non c’è alcuna sua responsabilità penale e semmai una responsabilità politica, ma di quella si occuperanno i libri di storia e non qualche pm palermitano?
LOTTA POLITICA
Domande una più drammatica dell’altra, e purché siano domande volte ad accertare la verità e non ad agitare il randello contro quelli che ti sono avversi politicamente. Un paio di giorni fa avevo perciò letto con molto piacere un articolo sulla prima pagina del Corriere della Sera a firma Ernesto Galli della Loggia, dove era messa a fuoco l’«angoscia» di un Mancino che telefona ai collaboratori più stretti del presidente Napolitano (e non solo a loro) perché teme di essere lasciato solo nel far da bersaglio del pm palermitano Antonio Ingroia: un magistrato di cui non ho dubbi che sia adamantino ma il cui indirizzo ideale morale e culturale è talmente pronunciato da risultare smaccato. Così come avevo letto con molto interesse l’intervista resa da Ingroia a Maurizio Belpietro (pubblicata su un recente numero di Libero) e da cui la forza di quell’indirizzo emergeva nettamente, e dico questo col massimo rispetto per il magistrato siciliano. Certo che chi ha istituzionalmente l’onere dell’Accusa - in questo caso la procura di Palermo - ha tutto il diritto di battere le sue piste, di approfondire gli elementi accusatori di cui dispone, e che non ci sono cittadini politicamente Vip che possano sottrarsi alle regole che valgono per tutti. Certo. Solo che allo stesso modo noi cittadini abbiamo il diritto di valutare indirizzi dell’Accusa che siano così ripetuti e insistiti nel puntare il Male e i Malfattori, quelli di cui scriveva Galli della Loggia, e come se nella politica e nella storia il Male e il Bene fossero così nettamente distinti e separati. «INTELLETTUALOIDI»
Apriti cielo. Vedo che Antonio di Pietro lancia contro l’editorialista del Corriere un veemente “intellettualoide”. Né quanto a trivialità ci va di meno leggera Barbara Spinelli - una giornalista da noi tante volte ammirata -, che accusa Galli della Loggia di non provare «alcuna pietà per i morti per mano della mafia». Né ci vanno di mano leggera i giornalisti del Fatto, gente che in fatto di sintonia morale e intellettuale con Ingroia sfiora il morboso. A loro l’articolo sul quotidiano milanese è apparso addirittura «un articolo degno di Berlusconi». Così hanno scritto nella titolazione della prima pagina di mercoledì 4 luglio. Nientemeno. Ora ci vuole uno laureato in kretinismo e con successivo master all’estero per dare del “berlusconiano” a Galli della Loggia. Capisco che quelli del Fatto il mondo lo dividano in due: loro che stanno in paradiso, e tutti gli Infedeli che non sono d’accordo con loro e che andranno all’inferno. Siccome io sono uno dei futuri abitanti dell’inferno, provo a spiegarmi.
DIALOGO NECESSARIO
L’ho detto prima. Che tra lo Stato dei primi anni Novanta e la gang mafiosa ci siano stati degli approcci e dei contatti a far diminuire il numero dei morti ammazzati, lo do per scontato. È sempre stato così e sarà sempre così quando c’è uno scontro politico di violenza mortale. Lo Stato italiano ha “trattato” con i delinquenti talebani e alquaedisti la vita di alcuni giornalisti italiani loro ostaggi. E ha fatto benissimo. Al tempo della guerra civile italiana del 1943-1945, era continua la trattativa tra partigiani e tedeschi per scambiarsi prigionieri, per salvare vite. Il libro forse più bello del grande Beppe Fenoglio (uno che partigiano lo era stato) è il racconto lungo dal titolo «Una questione privata», dove a fare da protagonista è un partigiano che cerca disperatamente di prendere prigioniero un tedesco per poi scambiarlo con un partigiano caduto in mano ai tedeschi, e dal quale lui vuole sapere se sì o no ha avuto un’affaire sentimentale con la sua fidanzata. Al tempo di uno degli eventi più sconvolgenti del Novecento, l’occupazione nazi della Polonia e la loro sistematica distruzione degli ebrei polacchi a cominciare da quelli serrati nel ghetto di Varsavia, singole personalità ebraiche ma anche istituzioni ebraiche «trattarono» disperatamente con i boia tedeschi a salvare delle vite: anche poche, anche pochissime, ma meglio che niente. Il sionista ungherese Rudolf Kastner trattò addirittura con il capo dei boia, Adolf Eichmann. Ottenne il rilascio di quasi 2000 ebrei, che un treno portò in Svizzera vivi. Orribile a dirsi, era gente che aveva potuto pagare pur di vivere. Nel dopoguerra israeliano Kastner venne accusato di avere venduto l’anima al diavolo. A sua figlia, a scuola, sputavano addosso e lanciavano sassi. Nel 1957 un ebreo sopravvissuto all’Olocausto uccise Kastner. Passarono gli anni e i giudizi su di lui cambiarono. Nel 2008 un altro reduce del ghetto di Varsavia scrisse così a un giornale israelian: «Salvò più ebrei Kastner di tutti i partigiani, di tutti i combattenti del ghetto di Varsavia e di tutti noialtri messi insieme». Questo per dire di una «trattativa » cento volte più drammatica e ambigua dell’eventuala trattativa siciliana. E non che io voglia commisurare Kastner a Mancino. Non sono “intellettualoide” sino a questo punto.