Un ex-deputato, L’Illustrazione italiana 27 gennaio 1901, 27 gennaio 1901
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Il parlamento del 1901
Roma, domenica 20 gennaio 1901 Il silenzio claustrale di questo bel palazzo nei periodi di vacanza è davvero amico agli studi e alle meditazioni. Per l’abbandono in cui lo lasciano gli uomini politici diventa il più piacevole deserto di questo mondo e le notizie di fuori vi giungono tarde, affievolite e smussate. I giornalisti danno una capatina al corridoio verde, vi restano un minuto e poi se ne vanno via colle tasche vuote d’appunti, quindi più vuote del solito. Sfido! Non trovano che un commesso assonnato o addirittura dormente! Uscieri e commessi radunati in crocchio presso l’ufficio postale ciarlano di politica, di politica estera s’intende, perché quella interna è loro interdetta qui dentro e discutono della Cina e dei Boeri e s’interessano alla salute della regina d’Inghilterra. Uno di loro legge un giornale, gli altri commentano e dicono più o meno quello che diciamo e scriviamo noi, uomini politici e giornalisti: talvolta anzi ho sorpreso qualche frase d’un buon senso superiore. Io penso che un’intervista con un’usciere della Camera, in materia di politica estera, sarebbe fruttifera. E se poi si adattassero a parlare di politica interna, di politica parlamentare sopra tutto!... Ma su tale argomento essi sanno che il silenzio è d’oro: sono più chiusi e più misteriosi d’un deputato sonniniano: e non dico altro!Nella vasta sala di lettura al primo piano, due o tre oziosi, non di più, che si perdono nella grandezza dell’ambiente, scorrono i giornali: l’on. Giuseppe Lazzaro passeggia per ore e ore, fa dei chilometri e quando è stanco si sdraia sopra un divano di velluto, bello e soffice, e s’addormenta e gode i placidi sonni del giusto. Il dormitorio nazionale (così Matteo Renato Imbriani chiamava la sala delle Riviste, sempre immersa in una discreta penombra) ha perduta la sua solita clientela di dormenti: non lo frequenta che il marchese di San Giuliano, il quale benché quest’anno si sia fatto d’una mondanità davvero pericolosa per la pace del cuore delle belle dame è sempre il più instancabile lettore di riviste che esista sulla madre terra. E non dorme il marchese di San Giuliano. Dorme egli forse mai? Dove trova il tempo di saper tutto, di conoscere tutto, di leggere tutto? Salite in biblioteca e chi trovate? Il generale Dal Verme che compulsa atlanti e raccolte del Times, s’immerge in opere militari e geografiche e prende appunti e scrive note che si ammonticchiano sul suo tavolino. Studia anche l’on. Lacava e interrompe i suoi studii, di tanto in tanto, passeggiando per queste stanze e scambiando qualche parola coi rari ospiti dell’ultimo piano - parole acute e sensate. L’intelligenza dell’on. Lacava è tra le più lucide e pronte: e in fondo, il che non guasta, egli è un gran buon diavolo. L’ultima stanza della biblioteca, che sta sull’angolo di via della Missione,, è quella dedicata ai libri di letteratura italiana e straniera. È la più frequentata: Luigi Luzzatti s’è riserbata una grande scrivania, sulla quale stanno in bell’ordine opere di economia, di filosofia, di storia delle religioni: alcune di queste sono intonse, ma, non dubitate, Luigi Luzzatti un bel giorno prenderà la stecca e le leggerà e ne verrà fuori o una conferenza, o uno di quegli articoli della Nuova Antologia, di cui Maggiorino Ferraris sta sempre all’agguato. Discorsi e articoli pensati rapidamente, rapidissimamente costruiti e di cui il Luzzatti è superbo: l’orefice vanta sempre la sua gemma. Presso a una finestra studia e scrive Michele Torraca, che prepara forse i suoi voti pel Consiglio di Stato: presso a un’altra Pietro Bertolini legge, legge, legge, e dice che le sue letture non hanno scopo, ma io penso ch’egli stia cercando il motivo per svolgere poi qualcuna delle sue solite architetture, com’è Il Governo locale in Inghilterra. A un’altra finestra (oggi è domenica) c’è il Panzacchi, che riposa dall faticose cure di Stato, leggendo un libro di Ferdinando Martini: momento di sollievo, ahi quanto breve! «Come lavoro!» - egli sospira - «Le faccende pubbliche e private tanto ci assediano che i nostri non sono studii, ma furti fatti al tempo. Nam nos et publica et privata distringunt, et nostra fere sunt temporis furta, non studia». Così scriveva Gerolamo Donati ad Agnolo Poliziano. In un cantuccio io contemplo questi signori e mi trattengo di loro, senza che minimamente se ne accorgano: il che, non lo nego, è un bel divertimento. *** Verso il tardi, quando il sole parte e lascia la città umida e fredda, il pian terreno del palazzo s’anima alquanto. Giunge Giovanni Giolitti col suo eterno buon umore e subito si fanno intorno a lui quattro o cinque seguaci. Egli parla e gli altri lo stanno ad ascoltare, coll’attitudine rispettosa di ufficiali subalterni che il comandante chiama a rapporto. Poi viene Giulio Prinetti e anch’egli fa crocchio di amici, di avversarii, d’indifferenti e di curiosi. Discorre a voce alta, facendo ben risuonare l’erre, e sono parole incisive, mordenti, taglienti, ascoltate con chiara compiacenza e con largo eco d’ilarità soddisfatta. Egli non cura l’approvazione altrui: gli basta dire e colpire e, poiché tutto si sa qui dentro, ferire. Nessuno concepisce al pari di lui la vita parlamentare come una lotta di tutti i giorni e di tutte le ore: queste conversazioni demolitrici son quasi i suoi ozii, anzi sono giuochi di scherma, su cui, probabilmente, attivo e non disdegnoso anche delle piccole cose com’egli è, fa pure i suoi calcoli. Gli piace insistere: battere e ribattere pare sia il suo programma: non per lui fu scritto quel motto del Bossuet «La varieté, sans la quelle nulle agrément». E del resto egli non intende la vita politica come un agrément, ma come una fatica, pesante anche, allorché i tempi si fanno grossi. E questi tempi nostri, checché si dica, non sono davvero piccini. Giovedì 24, si riaprirà l’aula e saremo da capo coll’eterne ed insolubili questioni in che si sciupa la politica italia. Intanto si affilano le armi: e i curiosi si perdoni in mille congetture e non pochi scambiano le speranze loro per realtà future. «Vivrà o non vivrà il ministero!» si chiedono i deputati, quasi che non stesse a loro farlo vivere od accopparlo: ma la domanda non manca d’una certa finezza, perché potrebbe darsi anche che le correnti contrarie, le quali spirano qui, si neutralizzassero, e il gabinetto Saracco, fra il sì e il no, trovasse la maniera di vivacchiare. Alcuni così la pensano: è vero che codesti alcuni fanno parte del Governo e hanno pertanto il dovere professionale di essere ottimisti. «Noi staremo eternamente al Potere» mi diceva testè un sotto-segretario di Stato, ch’è un uomo d’ingegno e un capo ameno. Ma «l’io eterno duro» non sta scritto che sulla porta dell’Inferno. Intanto i capi si stringono in colloqui: un momento fa ho saputo che il marchese Di Rudinì e Sidney Sonnino sono stati a un convegno, in casa di Luigi Luzzatti, il quale ama le paci e vi s’intenerisce. E come l’ho saputo io, l’avranno saputo tanti altri e m’immagino le ciarle e i commenti che correranno questa sera e domani per la piccola città parlamentare e pei suoi sobborghi. Dunque, si dirà, niente coalizione Rudinì - Prinetti - Giolitti - Zanardelli e Sacchi? Dunque, se vi sarà concentrazione, sarà dall’altra parte? Dunque è sempre la vecchia maggioranza che sta a galla e che si rinforza? Dunque, dunque, dunque... Ma stasera ci sarà un articolo sulla Tribuna, domani un telegramma a un giornale di provincia, che ci rispospingeranno in pieno oceano di dubbii e di contraddizioni. Intanto l’on. Saracco e i suoi colleghi continuano a fare i ministri. *** A voi, belle lettrici, importerà sapere che i nostri uomini politici profittano delle vacanze parlamentari per divertirsi alquanto, poiché Roma, ora che sta per finire il primo semestre del lutto nazionale, torna quello ch’è stata sempre d’inverno, una città di lussi e di piaceri. Il gran mondo è invitato alle deliziose passeggiate, ai teatri, ai ricevimenti, persino alle conferenze, ove le signore accorrono, non sempre per ascoltare gli oratori, ma per altre cagioni di diletto. Faccio eccezione per la conferenza di S.A.R. il duca degli Abruzzi (link), avvenimento unico nel suo genere, e trionfo in cui la mondanità non è entrata per nulla, ma è entrata l’ammirazione e il rispetto per un’impresa semplicemente eroica. Bisognava assistere alle lotte, agl’intrighi, alle manovre, ai prodigi per poter strappare un biglietto! Era uno spettacolo! C’erano signore che se avessero potuto e saputo li avrebbero falsificati! Ci son state donne che non avendo potuto vincere il punto, si sono ammalate! Il mondo femminile, quando si mette in moto, per la pertinacia e per l’ardire rassomiglia alle vecchie legioni romane. E questa folla elegantissima e profumata s’è data convegno al Costanzi, per la prima delle Maschere. Accanto alle splendide acconciature delle splendidissime donne, spuntavano gli abiti neri dei ministri, dei sotto-segretari di Stato, dei Senatori e dei Deputati. Tutti questi che d’abitudine sono discordi, quella sera erano concordi nel desiderare una meravigliosa vittoria mascagnana e pur troppo sono stati concordi nel constatare l’inanità dei loro desideri. «Il pubblico andava alla caccia d’un bel motivo, d’una bella frase e quando gli riusciva d’afferrare qualcosa di squisito e di simpatico, prorompeva in applausi cordiali e fragorosi. Ma la perfida stanchezza vinse alla fine, e quelli ch’erano entrati in teatro allegri, uscirono dolenti. Fra una cosa e l’altra, non mi trattengo dallo stabilire, come ex deputato, quello che ponevo in sodo quando avevo l’onore di sedere tra i rappresentanti della Nazione. Non ostante che i deputati siano quasi tutti uomini maturi e per età alquanto rispettabili, si lasciano andare volentieri per la china fiorita delle dilettose cure in cui la donna è maestra ed essi sono scolari. Se il Bossuet, a cui oggi penso tanto e non so perché, tornasse a vivere, invano predicherebbe a questa gente ostinata nei più dolci peccati. Invando dipingerebbe «ces tortures insupportables, ces maux inconnus, que les plaisirs ont améné dans le monde». Plaudirebbe il grande oratore e poi farebbero punto e da capo, tale e quale come i cortigiani di Luigi XIV.