Sergio Romano, Corriere della Sera 5/7/2012, 5 luglio 2012
LA GRAN BRETAGNA E L’EUROPA DENTRO MA CON UN PIEDE FUORI
Come mai la Gran Bretagna è fuori dall’area euro? Le sarò grato se vorrà illustrare le motivazioni (ufficiali e non) che hanno determinato tale posizione e quali conseguenze ciò comporta nei rapporti con gli altri Paesi e la Ue, nonché le prospettive future dell’attuale situazione. Questi interrogativi possono riguardare anche altri importanti Stati europei dove non è ufficialmente in vigore l’euro (Paesi scandinavi) se l’esclusione riguarda motivazioni diverse da quelle della Gran Bretagna.
Antonino Spezia
antonino.spezia@
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Caro Spezia,
Con l’importante eccezione di alcuni dei suoi migliori uomini politici (fra cui Edward Heath e Roy Jenkins), la Gran Bretagna è stata costantemente e coerentemente contraria all’integrazione europea. Quando gli fu chiesto se intendeva partecipare ai lavori per la istituzione della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e più tardi della Cee (Comunità economica europea), il governo britannico rifiutò e creò nel 1960 un’organizzazione concorrente (l’Efta, European free trade association, associazione europea di libero scambio) di cui divennero membri, al momento della fondazione, l’Austria, la Danimarca, la Norvegia, il Portogallo, il Regno Unito, la Svezia e la Svizzera. Aderì alla Cee nel 1972, dopo un lungo negoziato, quando si accorse che il Mercato comune, a differenza dell’Efta, aveva dato uno straordinario contributo alla crescita dei suoi membri. Ma il suo obiettivo, da allora, fu sempre quello d’impedire che l’integrazione economica sfociasse nell’unione politica. Fu questa la ragione per cui nel 1992, quando venne firmato il trattato di Maastricht, accettò di buon grado la prospettiva del Mercato unico, ma chiese e ottenne che le fosse riconosciuto il diritto di non scegliere («opt out») la moneta comune. Temeva tra l’altro che la City, dopo la scomparsa della sterlina, non sarebbe più stata, insieme a Wall Street, il maggiore mercato finanziario del mondo.
Non dobbiamo chiederci quindi perché la Gran Bretagna abbia rifiutato, insieme alla Repubblica Ceca, di aderire al «Fiscal Compact», firmato dagli altri membri dell’Ue a Bruxelles il 2 marzo di quest’anno per un maggiore coordinamento delle politiche di bilancio dell’Ue e dell’eurozona. Dovremmo chiederci piuttosto perché al Regno Unito, dopo la scomparsa del generale De Gaulle (fiero oppositore del suo ingresso nella Cee nella seconda metà degli anni Sessanta), siano state accordate condizioni così eccezionali. Vi sono membri dell’Ue per cui la Gran Bretagna è una polizza d’assicurazione contro la prospettiva di una Europa troppo germanica o franco-tedesca. Ve ne sono altri per cui è un ponte sull’Atlantico, il Paese che può meglio garantire la continuità dei rapporti euro-americani. E vi è infine in alcuni leader europei (fra cui Mario Monti) la convinzione che la Gran Bretagna, nonostante il suo euroscetticismo, sia il Paese più liberista dell’Unione, quello più disposto a giocare le partite economiche europee con le regole del mercato. A scanso d’equivoci, caro Spezia, aggiungo che non condivido queste posizioni.
I quattro Paesi scandinavi hanno politiche europee diverse. La linea della Danimarca è molto vicina a quella della Gran Bretagna, la Finlandia ha adottato l’euro, la Svezia avrebbe probabilmente fatto altrettanto nel gennaio 2006 se il 56,1% degli elettori, in un referendum del settembre 2003, non avesse votato no; e la Norvegia aveva già detto di no in due referendum.