Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 5/7/2012, 5 luglio 2012
LA SPINTA AMERICANA E IL PESO DELL’EUROPA SUI CONTI DEL LINGOTTO
Che cosa c’è dietro l’annuncio di Sergio Marchionne sulla possibile chiusura di uno stabilimento di Fiat Auto? Non tanto l’ennesima querelle sindacal-giudiziaria sulle assunzioni degli ex dipendenti di Pomigliano quanto soprattutto il crollo dell’Europa, e in particolare dell’Italia in recessione, nel complesso dei conti di Fiat-Chrysler. A dare la misura del problema è stata ieri Mediobanca Securities in un rapporto che ripartisce il valore del gruppo di Torino non più solo attraverso la classica somma delle parti (le principali società controllate meno i debiti), ma anche attraverso la somma dei valori suddivisi per aree geografiche, partendo dalle informazioni che Fiat ha cominciato a dare con la prima trimestrale 2012.
Quest’anno, Europa, Medio Oriente e Africa daranno alla Fiat 19 miliardi di fatturato con un trading profit negativo per 650 milioni; il Nord America 47 miliardi di fatturato con un margine positivo per 3,1 miliardi; l’America Latina (principalmente il Brasile), farà 10,6 miliardi di ricavi e quasi un miliardo di margine; l’Asia e il resto del mondo, 3,3 miliardi di ricavi e 350 milioni di trading profit. Partendo da tali previsioni e dai multipli dei concorrenti, l’analista Massimo Vecchio attribuisce all’Europa (Fiat) un valore negativo per 3,4 miliardi, mentre ne assegna di positivi al Nord America (Chrysler) per 16 miliardi, all’America Latina (Fiat) per 10,8, al resto del mondo (Fiat e Chrysler) per 2,4, alla Ferrari per 4 miliardi e così via fino a maturare un valore teorico lordo di 31,6 miliardi che, al netto dei debiti e degli interessi di minoranza (i sindacati Usa in Chrysler), scende a 16 miliardi. La somma delle parti tradizionale, fatta dallo stesso analista, porta a un valore assai diverso, 7,4 miliardi, sempre ottimistico ma molto più vicino alla reale capitalizzazione di Borsa, che corre sui 5 miliardi.
Il quadro disegnato da Mediobanca, più che per i numeri ipotizzati, vale per le differenze che disvela: fino a ieri si supponevano, adesso cominciamo a misurarle. Emerge così in Fiat il peso reale, seppur nascosto, del Brasile in contrapposizione alle tristezze del Vecchio continente. E allora che cosa si attende l’analista? Posto che Fiat Chrysler non ha i mezzi per impostare una strategia industriale paragonabile a quella di Volkswagen, il termine di paragone degli anni d’oro, Mediobanca prospetta il ritorno alla condivisione delle piattaforme tra produttori diversi, il taglio della capacità produttiva e due operazioni speciali: lo spin off della Ferrari e la fusione Fiat-Chrysler. In entrambi i casi, secondo lo schema Fiat Industrial-Cnh. Che funziona come segue. Si costituiscono due società ad hoc in Olanda (fisco comodo, leggi anche). All’una va la Ferrari, all’altra Fiat e Chrysler. In cambio i soci delle tre aziende conferite riceveranno pro quota azioni delle due «olandesi» e quanti si registreranno per la prima assemblea avranno poi voto doppio. In tal modo, l’Exor degli Agnelli, pur subendo una certa diluizione della quota di partecipazione, aumenterebbe di molto i diritti di voto senza dover sobbarcarsi un’Opa. Ma per arrivarci servirà il consenso dei creditori finanziari di Chrysler che, come sottolinea Arndt Ellinghorst del Credit Suisse, hanno diritto a non veder toccata la cassa della casa americana che costituisce la loro miglior garanzia.