Fulvio Bufi, Corriere della Sera 5/7/2012, 5 luglio 2012
LA PARABOLA DI TONY NEOMELODICO IN CELLA
La notizia dell’ultimo cantante napoletano, cosiddetto neomelodico, finito in manette è di ieri. Si chiama Tony Marciano ed è accusato di traffico di droga per conto della cosca dei Gionta di Torre Annunziata. In realtà Marciano si chiama Ciro, ma Tony è più adatto al personaggio che voleva essere ed è diventato, e non a caso è lo stesso nome del Montana di Scarface. Così funzionava meglio quando cantava brani come «Nun ciamm arrennere» (scritto tra l’altro con pessima ortografia napoletana), in cui vestiva i panni di un boss accusato da un pentito e costretto quindi alla latitanza. Non è il primo, Marciano. Né a esaltare in musica le gesta della camorra, né a finire sotto inchiesta. Pochi mesi fa — solo per restare ai casi più recenti — toccò a un altro, Nello Liberti, accusato di istigazione a delinquere per un brano e un video in cui si parlava di un capoclan detenuto e del «rispetto» che gli si doveva quando dal carcere commissionava omicidi. Che gente così non abbia nulla a che fare con qualsiasi movimento musicale — né neomelodico né veteroguappesco — non è più ormai nemmeno argomento di discussione tra gli addetti ai lavori. Però Tony Marciano, Nello Liberti e altri loro emuli quelle canzoni non se le cantano da soli. Hanno seguito in certe radio e tv locali, vendono dischi, le loro pagine sui social network sono piene di testimonianze di solidarietà quando finiscono nei guai. Rappresentano — per complicità o solo per tornaconto economico poco importa — il veicolo attraverso il quale le bande criminali affascinano i più giovani. Contribuiscono molto più di quanto si possa credere apprezzandone le limitatissime qualità musicali, a quell’acquisizione di consenso che ogni clan ha sempre ritenuto fondamentale per la propria esistenza. Il loro messaggio è diventato ormai una metastasi sottoculturale di quel cancro che è la camorra.