Pierluigi Battista, Corriere della Sera 5/7/2012, 5 luglio 2012
LA RIMOZIONE LEGHISTA BOSSI, CHI ERA COSTUI?
Bossi come Trotzkij. Un’esagerazione. Ma nel sito della Lega e sulla Padania sembrano aver preso alla lettera la lezione staliniana. Cancellare tutto ciò che ricorda il passato, annichilire ogni immagine di Umberto Bossi e del suo «cerchio magico».
Riscrivere la storia del rinnegato abolendolo in effigie. Anche se, stavolta, il «rinnegato Bossi» contrattacca e la sua gigantografia con il sigaro, momentaneamente sbianchettata, riconquista con impresa napoleonica il centro della scena usurpata.
È tutto vero. Non è un’esagerazione. Da quando Roberto Maroni e i maroniani hanno proclamato il nuovo inizio della Lega umiliata dal clan familistico bossiano, è cominciato il rito della profanazione mediante annientamento dell’immagine del Capo un tempo venerato e amato a cui si doveva obbedienza pronta e incondizionata. Per qualche giorno sul sito www.leganord.org si vedevano solo foto di Maroni sul palco, Maroni circondato dai suoi fedelissimi, Maroni omaggiato, Maroni in trionfo. E Bossi? Di Bossi non c’era più traccia. Solo il nome, in piccolo, sul simbolo della Lega Nord: cambiare stemma in fretta non è poi l’impresa più facile. Ma per il resto, via ogni raffigurazione dell’ex Capo. Se qualcuno avesse voluto leggere i discorsi di Bossi, un tempo onnipresenti, invasivi, schiaccianti, avrebbe dovuto andare in fondo alla pagina d’apertura del sito, tra link dal tono generico e anaffettivo come: «Libri e pubblicazioni», oppure «Retroscena». La Padania, poi, si era dimostrata meritevole del nomignolo che già le era stato affibbiato ai tempi del Bossi trionfante: la «Pravdania», in onore della leggendaria Pravda, la «Verità», monumento alla menzogna di regime nel comunismo reale. Solo che la «Pravdania» si era adeguata agli imperativi del nuovo gruppo dominante, accodandosi all’opera zelante e meticolosa di cancellazione di ogni reperto del passato. Specializzazione: fotomontaggio. Ecco allora la fotografia di gruppo in cui i reprobi bossiani vengono sostituiti con il maroniano ortodosso, un’immagine in cui un drappello di dirigenti leghisti sventola il vessillo con il Sole delle Alpi: solo che al posto di Luciano Bresciani e della sudtirolese Elena Artioli compare il vicepresidente della Lombardia Andrea Gibelli, che non era nemmeno presente nella cerimonia in cui era stata scattata l’istantanea. Senza considerare le folle oceaniche che, sulla Padania, circondavano due giorni fa Maroni che galvanizzava i leghisti. Folle oceaniche ma così oceaniche che certo non avrebbero potuto ondeggiare così massicciamente in uno spazio ampio ma non proprio oceanico come il Forum di Assago, dove è avvenuta l’intronizzazione del nuovo Capo.
Per carità, ritocchino. Per carità, miracoli di Photoshop. Per carità, solo problemi, come dicono alla Lega, di ristrutturazione del server in un sito che sta cambiando volto e che ha avuto qualche problema. Fatto sta che ieri Bossi, con un blitz, è tornato grandissimo e imponente, munito di quel sigaro che fa molto arma minacciosa e carismatica. Il server si sta riaggiustando. Ma chissà se gli aggiustatori hanno mai letto il passaggio del «1984» di Orwell in cui è descritto il funzionamento del Ministero della Verità: «C’erano i vasti depositi dei documenti corretti, e le fornaci, dove si distruggevano i documenti originali. E in qualche posto, del tutto sconosciuti, c’erano i cervelli che coordinavano tutto il lavoro e definivano la linea politica secondo la quale si rendeva necessario che questo frammento del passato venisse conservato, quello falsificato, quell’altro ancora cancellato dall’esistenza». Uguale alla Padania, alla «Pravdania», alla Pravda.
Del resto, l’arte della falsificazione dei nuovi regimi è stata splendidamente descritto da un libro di Alain Jaubert, «Commissariato degli archivi», pubblicato in Italia qualche anno fa da Corbaccio con una prefazione di Sergio Romano. È l’arte di rettificare, scontornare, ritoccare, cancellare le immagini imbarazzanti di qualche vecchio dirigente caduto in disgrazia. È un’arte molto in uso nei regimi totalitari, realizzata con criteri scientificamente inesorabili. Il «Ministero» orwelliano si è materializzato in Unione Sovietica con l’«Amministrazione centrale per gli affari letterari e l’editoria», a sua volta ricalcato sul modello del Ministero goebbelsiano della propaganda. È l’arte di nascondere la realtà, come il palafreniere cancellato mentre la foto ufficiale ritrae il Duce, in groppa a un robusto cavallo, che sguaina la spada dell’Islam, apparentemente senza nessun aiuto. È l’arte delle foto ufficiali in cui Trotzkij veniva annullato e con lui Kamenev, Bucharin, tutti i bolscevichi sacrificati sull’altare del Terrore staliniano. E veniva annullato anche Liu Shaoqi vittima della angherie maoiste durante la Rivoluzione Culturale e poi la «Banda dei Quattro» scomparsa dalle foto dopo la morte del Grande Timoniere. E venivano annullati i guerriglieri cubani, primo fra tutti Carlos Franqui, che aveva osato dissentire dalla linea ufficiale di Fidel Castro e del leggendario ma spietato «Che» Guevara.
Bossi annullato? Lui e il suo sigaro resistono stoicamente. Ma chissà per quanto: chi controlla il passato, spiegava Orwell, controlla il futuro. Il nuovo motto dei nuovi padani?
Pierluigi Battista
Bossi come Trotzkij. Un’esagerazione. Ma nel sito della Lega e sulla Padania sembrano aver preso alla lettera la lezione staliniana. Cancellare tutto ciò che ricorda il passato, annichilire ogni immagine di Umberto Bossi e del suo «cerchio magico».
Riscrivere la storia del rinnegato abolendolo in effigie. Anche se, stavolta, il «rinnegato Bossi» contrattacca e la sua gigantografia con il sigaro, momentaneamente sbianchettata, riconquista con impresa napoleonica il centro della scena usurpata.
È tutto vero. Non è un’esagerazione. Da quando Roberto Maroni e i maroniani hanno proclamato il nuovo inizio della Lega umiliata dal clan familistico bossiano, è cominciato il rito della profanazione mediante annientamento dell’immagine del Capo un tempo venerato e amato a cui si doveva obbedienza pronta e incondizionata. Per qualche giorno sul sito www.leganord.org si vedevano solo foto di Maroni sul palco, Maroni circondato dai suoi fedelissimi, Maroni omaggiato, Maroni in trionfo. E Bossi? Di Bossi non c’era più traccia. Solo il nome, in piccolo, sul simbolo della Lega Nord: cambiare stemma in fretta non è poi l’impresa più facile. Ma per il resto, via ogni raffigurazione dell’ex Capo. Se qualcuno avesse voluto leggere i discorsi di Bossi, un tempo onnipresenti, invasivi, schiaccianti, avrebbe dovuto andare in fondo alla pagina d’apertura del sito, tra link dal tono generico e anaffettivo come: «Libri e pubblicazioni», oppure «Retroscena». La Padania, poi, si era dimostrata meritevole del nomignolo che già le era stato affibbiato ai tempi del Bossi trionfante: la «Pravdania», in onore della leggendaria Pravda, la «Verità», monumento alla menzogna di regime nel comunismo reale. Solo che la «Pravdania» si era adeguata agli imperativi del nuovo gruppo dominante, accodandosi all’opera zelante e meticolosa di cancellazione di ogni reperto del passato. Specializzazione: fotomontaggio. Ecco allora la fotografia di gruppo in cui i reprobi bossiani vengono sostituiti con il maroniano ortodosso, un’immagine in cui un drappello di dirigenti leghisti sventola il vessillo con il Sole delle Alpi: solo che al posto di Luciano Bresciani e della sudtirolese Elena Artioli compare il vicepresidente della Lombardia Andrea Gibelli, che non era nemmeno presente nella cerimonia in cui era stata scattata l’istantanea. Senza considerare le folle oceaniche che, sulla Padania, circondavano due giorni fa Maroni che galvanizzava i leghisti. Folle oceaniche ma così oceaniche che certo non avrebbero potuto ondeggiare così massicciamente in uno spazio ampio ma non proprio oceanico come il Forum di Assago, dove è avvenuta l’intronizzazione del nuovo Capo.
Per carità, ritocchino. Per carità, miracoli di Photoshop. Per carità, solo problemi, come dicono alla Lega, di ristrutturazione del server in un sito che sta cambiando volto e che ha avuto qualche problema. Fatto sta che ieri Bossi, con un blitz, è tornato grandissimo e imponente, munito di quel sigaro che fa molto arma minacciosa e carismatica. Il server si sta riaggiustando. Ma chissà se gli aggiustatori hanno mai letto il passaggio del «1984» di Orwell in cui è descritto il funzionamento del Ministero della Verità: «C’erano i vasti depositi dei documenti corretti, e le fornaci, dove si distruggevano i documenti originali. E in qualche posto, del tutto sconosciuti, c’erano i cervelli che coordinavano tutto il lavoro e definivano la linea politica secondo la quale si rendeva necessario che questo frammento del passato venisse conservato, quello falsificato, quell’altro ancora cancellato dall’esistenza». Uguale alla Padania, alla «Pravdania», alla Pravda.
Del resto, l’arte della falsificazione dei nuovi regimi è stata splendidamente descritto da un libro di Alain Jaubert, «Commissariato degli archivi», pubblicato in Italia qualche anno fa da Corbaccio con una prefazione di Sergio Romano. È l’arte di rettificare, scontornare, ritoccare, cancellare le immagini imbarazzanti di qualche vecchio dirigente caduto in disgrazia. È un’arte molto in uso nei regimi totalitari, realizzata con criteri scientificamente inesorabili. Il «Ministero» orwelliano si è materializzato in Unione Sovietica con l’«Amministrazione centrale per gli affari letterari e l’editoria», a sua volta ricalcato sul modello del Ministero goebbelsiano della propaganda. È l’arte di nascondere la realtà, come il palafreniere cancellato mentre la foto ufficiale ritrae il Duce, in groppa a un robusto cavallo, che sguaina la spada dell’Islam, apparentemente senza nessun aiuto. È l’arte delle foto ufficiali in cui Trotzkij veniva annullato e con lui Kamenev, Bucharin, tutti i bolscevichi sacrificati sull’altare del Terrore staliniano. E veniva annullato anche Liu Shaoqi vittima della angherie maoiste durante la Rivoluzione Culturale e poi la «Banda dei Quattro» scomparsa dalle foto dopo la morte del Grande Timoniere. E venivano annullati i guerriglieri cubani, primo fra tutti Carlos Franqui, che aveva osato dissentire dalla linea ufficiale di Fidel Castro e del leggendario ma spietato «Che» Guevara.
Bossi annullato? Lui e il suo sigaro resistono stoicamente. Ma chissà per quanto: chi controlla il passato, spiegava Orwell, controlla il futuro. Il nuovo motto dei nuovi padani?
Pierluigi Battista