Emiliano Morreale, la Repubblica 5/7/2012, 5 luglio 2012
L’EPICA MINIMA DEL TRAVET
In una serie di articoli pubblicati sull’Unità all’inizio del ’45, Mario Soldati sosteneva uno dei problemi fondamentali per ricostruire l’Italia era «l’assenza di buoni travet»: «Putridi e corrotti da vent’anni di fascismo, cedettero alla prima scossa. Quelli che hanno resistito sono pochi. A questi pochi, alla loro educazione tecnica e morale, è ora affidata la ricostruzione». Gli “impiegatucci” statali erano di fatto diventati proletari con la guerra, e potevano essere una forza progressiva che i partiti di sinistra avrebbero dovuto coltivare, mentre una orrenda stirpe di traffichini diventava nuova borghesia. Soldati, insomma, sosteneva che la sfida per l’Italia democratica sarebbe stata la nascita di un nuovo ceto di impiegati e funzionari. Nel frattempo, infatti, lo scrittore-regista sta preparando
Le miserie del signor Travet,
elegia del piccolo impiegato sabaudo, tratta dalle commedie di Vittorio Bersezio. Il quale, all’indomani dell’Unità d’Italia, aveva creato un personaggio il cui cognome, Travet (da pronunciarsi con la “t” finale) sarebbe diventato sinonimo di infimo impiegato statale. Il travet non è all’origine una figura disprezzata: non lo è in Bersezio, socialista sentimentale; non lo è, qualche decennio dopo, nel Demetrio Pianelli di Emilio De Marchi. E se i grandi scrittori russi potevano
puntare sul grottesco come Gogol’, o fare intravedere la tragedia dietro il quotidiano come Cechov, gli scrittori italiani tendono soprattutto ai toni dolceamari. Soldati comunque aveva intuito un nodo. In quegli anni il neorealismo non trascura la piccola borghesia impiegatizia e ministeriale (anche in pensione, come
Umberto D.
di de Sica). Vitaliano Brancati, discepolo di Gogol’, ci ha lasciato la più spietata descrizione del permanere dei germi del fascismo nei decenni in
Il vecchio con gli stivali,
su un impiegato vittima prima dei fascisti e poi dell’epurazione, da cui venne tratto
Anni difficili
(1947) di Luigi Zampa. Ma anche le due icone comiche nazionali, Sordi e Totò, hanno spesso interpretato figure di “statali” protervi, vessati o fannulloni. Insieme, li troviamo in un film di Monicelli tratto da alcuni racconti di Cechov,
Totò e i re di Roma
(1952), nel quale anche il paradiso degli statali è sommerso di carte bollate. L’umorismo di Sordi e di Totò, feroce e anarchico, nasce anche dall’esplosione di quel mondo lì, di ministri, passacarte, pubblici ufficiali, “impiegati di concetto” e “lei non sa chi sono io”. In letteratura, va ricordato almeno
Misteri dei ministeri
di Augusto Frassineti, esilarante “trattato di ministerialità generale e comparata” la cui prima edizione è del ’52. Negli anni del boom, poi, gli impiegati del “privato”, per il nostro peculiare modello di capitalismo, saranno spesso poco distinguibili dai dipendenti pubblici. Gli impiegati di Olmi (
Il posto)
o di Paolo Villaggio sono ulteriori declinazioni dei nostri travet, solo che lavorano nelle grandi industrie. Sempre alle vigilia del boom, Soldati racconta un altro travet,
Policarpo “ufficiale di scrittura”(
1958), tratto da bozzetti umoristici di inizio secolo di Gandolin. Ma il tono si è fatto più amaro, il protagonista Renato Rascel ha dei tratti di meschinità più accentuati. Quasi vent’anni dopo Monicelli riprenderà l’impiegato Sordi in un film definitivo,
Un borghese piccolo piccolo:
nel pieno degli anni di piombo il travet è soprattutto membro della “maggioranza silenziosa”, vittima, ingranaggio e specchio della strategia della tensione.