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 2012  luglio 05 Giovedì calendario

PISTORIUS VINCE LE OLIMPIADI


L’uomo senza gambe ci sarà. Correrà nella corsia olimpica. Insieme agli altri campioni sani e non fratturati. Oscar Pistorius, sudafricano, sarà a Londra. Nei 400 metri e nella
staffetta. È la prima volta di un doppio amputato.
«È il giorno più bello, sono onorato, anni di duro lavoro, determinazione e sacrificio sono stati ripagati tutti assieme». Per tanti è un mostro inquietante, per altri un eroe della normalità. Blade Runner ha sempre rifiutato il ruolo della vittima. Non parcheggia negli spazi riservati ai disabili.
Aveva 11 mesi quando gli hanno tagliato le gambe sotto il ginocchio. Per una malformazione genetica (niente peroni, né caviglie). Avrebbe dovuto gattonare per il resto della vita, lui invece si è messo in piedi e ha provato a vincere. Non voleva stare in un angolo, ma con gli altri: preferiva il confronto alla pietà. Pistorius ha iniziato con le altre discipline: rugby, pallanuoto e tennis. Poi per un incidente in mischia ha scelto l’atletica e si è iscritto alle gare paralimpiche. Dove ha molto corso e vinto: con le protesi artificiali Ceetah, in fibra di carbonio, della Össur. Ad un certo punto dopo il 2004 quei giochi per disabili non gli sono bastati più. Erano un modo per ricordargli chi era e non chi voleva essere. Allora ha chiesto alla Iaaf (federazione internazionale di atletica) di poter correre con gli altri: «Studiatemi, esaminatemi, mi metto a disposizione ». La Iaaf ha preso tempo (molto), ha chiamato i suoi migliori esperti e alla fine ha detto no. «Troppi vantaggi, troppa spinta innaturale». La risposta
era che un tronco umano con quelle protesi diventava un baro. E lui a protestare, anche con una causa legale: «Sono senza caviglie, ho meno sangue nel corpo, niente muscoli del polpaccio. Uso da 14 anni le gambe artificiali, a disposizione di tutti, ma nessuno ha mai ottenuto i miei tempi, segno che il vantaggio non c’è». Poi la Iaaf ci ha ripensato e ha detto sì.
L’anno scorso Pistorius ai mondiali di Daegu, dove si era classificato con 45”07, nella gara dei 400 metri è stato eliminato in semifinale. Ma nella staffetta,
correndo in prima frazione (l’unica dove è autorizzato), ha contribuito al record nazionale 2’59”21. Peccato che l’abbiano poi escluso dalla finale con una censura preventiva. Come a dirgli: puoi giocare con gli altri, ma solo se te ne stai in un angolo e solo dove vogliamo noi. Il Sudafrica senza di lui, ma con un tempo peggiore, ha vinto l’argento. Ora la scelta di portarlo a Londra, anche se quest’anno Oscar ha dovuto lottare con piaghe fastidiose. Serviva ripetere il tempo di 45”30, lui ha corso di recente in 45”52 e a marzo in una gara regionale a Pretoria in 45”20. Ma è il quattrocentista attualmente più veloce
del suo paese.
Non è il primo atleta amputato a gareggiare nelle Olimpiadi. In tanti hanno lottato prima di lui. Natalie du Toit, sudafricana anche lei, 28 anni, ha perso la gamba sinistra in un incidente
stradale e ai Giochi di Pechino è finita 16esima nei 10 km in acque libere. Gareggia da tempo anche ai mondiali. Ma la differenza è che lei ha una gamba in meno mentre Pistorius ha due lame in più. Ai Giochi di St.
Louis nel 1904, George Eyser, americano, 33 anni, si esibì nella ginnastica con una protesi di legno e da un attrezzo all’altro vinse tre ori, due argenti, un bronzo. In gioventù aveva perso una gamba sotto a un treno.
A Roma nel ‘60, Murray Halberg, neozelandese, prese l’oro nei 5 mila metri, anche se il braccio sinistro era ridotto a un’appendice inerte. Glielo aveva conciato così uno scontro nel rugby. Quattro anni prima, a Melbourne, anche l’Italia aveva schierato un atleta con gravi handicap: il lottatore siciliano Ignazio Fabra, sordomuto, arrivò in finale dei pesi mosca contro il sovietico Gurevich. In vantaggio di un punto quando mancavano pochi secondi alla fine, Ignazio non capì i suggerimenti che gli venivano dall’angolo, attaccò invece di temporeggiare e perse. A Sydney 2000, la mezzofondista ameriÈ
cana Marla Runyan, dichiarata legalmente cieca, finisce ottava nei 1500. Il morbo di Stargardt, una degenerazione della retina, a nove anni l’ha condannata a non vedere più le parole sulla lavagna, poi il resto. Lentamente tutto era scomparso: amiche, giochi, confini. Ma contro le ombre poteva correre. Racconterà tutto nell’autobiografia dal titolo: «No finish line, my life as I see it», nessun traguardo, la mia vita come la vedo io.
Pistorius ha vinto, ma ha dovuto
combattere molto, soprattutto nei tribunali, fuori dalla pista. Con il suo sorriso ha girato il mondo per la causa: «Avrei bisogno di due Oscar: uno che ha il tempo di allenarsi e l’altro che dà battaglie legali». Ma ha vinto anche sua madre (morta giovane) che lo ha educato normalmente. «A mio fratello ogni mattina diceva: mettiti le scarpe e a me mettiti le gambe».