Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 05 Giovedì calendario

FESTA AL CERN TROVATA LA PARTICELLA DI DIO


Quando è circolata la voce che i ricercatori del Large Hadron Collider, vicino Ginevra, avevano scovato l’introvabile particella di Higgs, ho avuto un brivido di emozione da “grande progresso della fisica” come non mi capitava da un
decennio.
La scoperta della particella di Higgs completerebbe un capitolo fondamentale nei nostri sforzi per comprendere gli elementi di base che
compongono dell’universo.
La storia cominciò negli anni ‘60, quando i fisici svilupparono quello che sarebbe diventato noto come “modello standard della fisica delle particelle”, uno schema matematico che si rivelò in grado di prevedere i risultati di qualsiasi esperimento in qualsiasi acceleratore di particelle in qualsiasi parte del mondo. Le equazioni imprigionavano quark ed elettroni, muoni e neutrini e una moltitudine di altre particelle fondamentali in una matrice matematica i cui schemi intrinseci, come la forma di un fiocco di neve perfetto, esibivano una rigorosa simmetria.
Ma anche se le previsioni della teoria venivano avvalorate da quasi mezzo secolo di dati sperimentali,
c’era una parte fondamentale che restava irraggiungibile.
La teoria includeva un’ipotesi, associata al fisico inglese Peter Higgs, sul modo in cui le particelle fondamentali acquisiscono massa. Semplificando, la massa di una particella è la resistenza che incontri se spingi contro di essa. La domanda è: da dove viene questa resistenza? La risposta, secondo la teoria di Higgs, è che
lo spazio è pieno di una sostanza invisibile — il campo di Higgs — che agisce come una sorta di melassa che esercita una resistenza fluidodinamica quando le particelle cercano di accelerare attraverso di essa. Più una particella è “appiccicosa”, più è influenzata da questo campo di Higgs e più pesante appare.
Il vuoto interstellare, ripulito di qualsiasi traccia di materia e radiazione, sarebbe comunque permeato dal campo di Higgs. Higgs ha proposto di riscrivere la definizione stessa di nulla, riempiendo lo spazio vuoto con una sostanza capace di conferire alle particelle la loro massa.
Era un’ipotesi strana ed esotica: il primo studio proposto da Higgs sull’argomento fu rigettato. Ma studiando più a fondo la sua idea, i fisici si resero conto che la sua semplicità matematica e le sue intuizioni erano ammirevoli. Altri tentativi teorici per individuare l’origine della massa delle particelle incappavano sempre in qualche incoerenza matematica, mentre l’ipotesi di Higgs te-
duro. Quando cominciai la specializzazione, negli anni ‘80, si parlava del campo di Higgs con tanta disinvoltura che ci misi un po’ a rendermi conto che quella teoria non era ancora stata confermata sperimentalmente.
Ma per qualunque teoria, per quanto intrigante dal punto di vista matematico, la conferma spetutto
rimentale è irrinunciabile. E questa è una delle ragioni principali per cui è stato costruito il Large Hadron Collider, un percorso tubolare lungo 27 chilometri situato qualche centinaio di metri sotto terra in prossimità di Ginevra, che si snoda oltre il confine tra Francia e Svizzera e torna indietro. Il collisore accelera protoni in direzioni opposte a una velocità quasi pari a quella della luce, e ogni secondo ne scaglia milioni uno contro l’altro. Secondo i calcoli queste collisioni possono essere sufficientemente violente da “raschiare” via un pezzettino minuscolo del campo di Higgs, che apparirebbe come una particella infinitesimale: lo Higgs.
Ma i calcoli mostrano anche che trovare questa particella non è un compito facile. La particella avrebbe vita breve, disintegrandosi rapidamente in altre particelle più familiari (come i fotoni, particelle di luce) e solo esaminando i prodotti della disintegrazione i ricercatori potrebbero accumulare prove dell’esistenza degli Higgs. Come se non bastasneva
se, le imponenti collisioni fra protoni producono un vortice di altri residui di particelle, rendendo difficilissimo localizzare con esattezza gli Higgs.
È un lavoro a cui migliaia di scienziati hanno dedicato decenni. Per me che sono un teorico e non prendo parte a questi sforzi sperimentali, il risultato è altrettanto eccitante. Anni fa, quando andavo al liceo, il mio professore di fisica ci diede un compito: calcolare la traiettoria di una palla appesa al soffitto con un pezzo di chewing-gum. Quella
sera, quando terminai i calcoli, corsi in corridoio per farli vedere a mio padre; il fatto che dei simboli matematici scarabocchiati a matita su un pezzo di carta potessero descrivere cose che accadevano effettivamente nel mondo reale era qualcosa che mi lasciava profondamente ammirato. Per questo ho sviluppato la passione per la fisica. Con questo annuncio, per quanto incerto e prematuro, ho provato di nuovo quel senso di sbigottimento.
(Copyright New York Times-La Repubblica. Traduzione di Fabio Galimberti)