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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

Bobo, l’ex veterocomunista sedotto e ripudiato dal capo - Conquistando la segreteria leghista, Bobo Maroni ha pareggiato i conti con Um­berto Bossi

Bobo, l’ex veterocomunista sedotto e ripudiato dal capo - Conquistando la segreteria leghista, Bobo Maroni ha pareggiato i conti con Um­berto Bossi. Gli amorosi sensi tra i due erano cessati da quando Um­berto ha ripudiato l’ex pupillo get­tandolo nello sconforto. Bobo ave­va nascosto il magone dietro gli or­ripilanti occhiali rosso-neri che inalbera da qualche tempo per dar­si un’aria scanzonata, anche a ri­schio di passare per squinternato. Ma rideva per non piangere, come il pagliaccio di Leoncavallo. La ri­vincita di ieri- preparata con punti­glio - mette fine alla frustrazione. Ecco,dall’inizio,la storia di amo­re e odio. Roberto Ernesto Maroni è nato (57 anni fa) e cresciuto nella quieta Varese, in una famiglia pia e democristiana, con una mamma ordinata e meticolosa la quale esi­geva che nel salotto incerato si en­trasse solo con le pianelle. Bobo, per soprammercato, era anche bravo, studiava nel Liceo classico Caroli e non aveva fronzoli. Una vi­ta piatta da spararsi. Roberto evitò la sciagura con una sciaguratezza: si iscrisse sedicenne a Democra­zia­proletaria e per otto anni fu vete­rocomunista. Nel 1979, fece di peg­gio: incontrò il trentottenne Bossi, quattordici anni più di lui, si prese una cotta virile e lasciò la rivoluzio­ne proletaria per quella padana. La mamma, invece, andò sulle fu­rie vedendo il figlio bighellonare con quell’esagitato in canottiera che un giorno faceva l’operaio,l’al­tro il paramedico e blaterava d’in­dipendenza del Nord, di avi celtici e del dio Po. Fagocitato dal nuovo amico, Bobo cominciò una vita di­sordinata. L’attività principale era andare nottetempo a spennellare sui ca­valcavia gli slogan dei cosiddetti lumbard, cioè loro due, più Giu­seppe Leoni, Francesco Speroni e qualche parente. La cosa avveniva così.Tra le urla della mamma, Bo­bo prendeva l’auto difamiglia, ca­ri­cava Umberto con i secchi di ver­nice e via sull’autostrada. Al primo cavalcavia, Bossi scendeva con gli attrezzi e iniziava, nell’oscurità, a dipingere il Sole delle Alpi. Bobo, per non farsi beccare dalla Strada­le, filava via, usciva al primo casel­lo, tornava indietro, riprendeva Bossi e lo scaricava al cavalcavia successivo. Così fino all’alba. Una volta, mentre Bobo stava facendo il giro,Umberto non si accorse del­l’arrivo di una pattuglia. Un agente gridò: «Fermo o sparo». Umberto scappò. Quello tirò. Seguì un ma­cabro silenzio. Temendo di averla fatta grossa, i poliziotti si dileguaro­no a tavoletta. Quando Roberto ri­passò, Bossi uscì dal nascondiglio, salì di corsa e, per l’agitazione, ro­vesciò nell’abitacolo i secchi di ver­nice condannando l’auto alla rot­tamazione e se stesso all’ostraci­smo da parte di mamma Maroni. Tra queste avventure, Bobo era diventato avvocato e manager le­gale della Avon, la multinazionale Usa della cosmesi. Molti anni do­po, con l’amicizia già agli sgoccio­li, Bossi per irridere Maroni davan­ti ai cortigiani diceva: «Questo qui vendeva rossetti, l’ho allevato io». Bobo non batteva ciglio, ma affila­va il coltello. Prima di questo, e per molti anni, Roberto fiorì al sole di Umberto. Lasciata l’avvocatura per la politica, nel 1992 divenne de­putato. Nel 1994, a 39 anni, fu mini­stro dell’Interno nel primo gover­no Berlusconi. Quando Bossi fece il ribaltone tradendo il Cav, Bobo, che al Viminale si trovava bene, si arrabbiò col capo. Per un po’, ten­ne il punto. Ma, troppo debole per camminare da solo, tornò presto all’ovile, la coda tra le gambe. Fu messo alla prova. La Lega alla fine degli anni No­vanta era secessionista e pullulava di Camicie verdi e Guardia nazio­nale padana. Bobo, per riconqui­stare i favori del cacicco, si mise al­la testa degli armigeri. Quando la magistratura reagì mandando gli agenti a perquisire la sede leghista di via Bellerio, Maroni si avventò su di loro. Nel parapiglia si vide, per la prima volta al mondo, un ex ministro di polizia addentare il pol­paccio di un poliziotto. Bobo ne eb­be due conseguenze: il naso rotto e una condanna a otto mesi, ridotta a quattro in Appello, per resisten­za e oltraggio. Negli anni Duemila, Maroni fu un signor ministro nei governi del Cav. Prima del Lavoro, poi di nuovo dell’Interno, contri­buendo a migliorare l’immagine boscimane della Lega. Ma quegli anni sono gli stessi della caduta in disgrazia presso Bossi e della cate­na di ev­enti che l’hanno portato al­la Segreteria. Tutto parte dall’ictus dell’11 marzo 2004. Fragile e non più autonomo, Umberto fu preso in consegna dalla moglie, Manue­la, e dai suoi fiduciari, riuniti nella combriccola del cerchio magico. Bobo,considerato fin lì l’erede, ne fu escluso proprio per questo. Per Manuela, la Lega era affare di fami­glia e Maroni il maggiore ostacolo ai suoi disegni nepotistici. Rober­to soffrì a lungo di non potere avvi­cinare Umberto e vide con sgo­mento che il suo mentore, intorta­to dal cerchio, diventava aspro e so­spettoso verso di lui. Poi, passò al contrattacco. Il Vi­minale è il posto giusto per influen­zare la vita degli enti locali. È da quel seggio che Bobo ha conquista­to i sin­daci del Nord che sono il ner­bo della Lega. Così,in tre anni, l’80 per cento del partito è passato con lui e ha iniziato a considerare Bos­si un vecchio arnese. Per ragioni di­verse, perfino un uomo chiave del cerchio magico, Giancarlo Gior­getti, è recentemente confluito tra i maroniani lasciando con un pal­mo di naso Manuela & Co. Si dice che Giorgetti debba gratitudine a Maroni per un pasticcio in cui era incappata la moglie. La signora, ca­vallerizza, è stata coinvolta in una faccenda di finanziamenti regio­nali illeciti, per avere gonfiato il nu­mero degli allievi di un corso di equitazione per disabili. Una paro­lina ben piazzata- dicon- ha limita­to i danni e lady Giorgetti se l’è ca­vata con una condannina a due mesi e la restituzione di una som­ma. Poi c’è stata la faccenda del de­putato Pdl Alfonso Papa. Preso di mira dall’originale pm anglo-na­poletano Woodcock (non ne az­zecca una), Papa è finito cento gior­ni in galera perché i deputati leghi­sti, per ordine di Maroni e contro le indicazioni di Bossi, hanno votato l’autorizzazione alla gattabuia.Da­to il pm, non c’era da dubitare che fosse una patacca, tanto che Cassa­zione e Riesame ha accertato l’in­giusta detenzione. Maroni però ha spiegato che del merito se ne infi­schiava, ma voleva la galera per da­re un segnale di «legalità».Sta di fat­to che ha dato una mano a Woo­dcock, il quale, dopo un po’, ha aperto l’inchiesta sul tesoriere Bel­sito e le miserie della famiglia Bos­si, con cui ha consegnato la Lega a Maroni. Un do ut des , tra l’ex mini­stro e il pm del Somerset? Nessuno lo dice, c’è chi lo pensa. Per com­pletare il periplo di Bobo, aggiun­giamo che è sposato da trent’anni e ha tre rampolli. La moglie, la riser­vatissima Emilia Macchi, sua com­pagna di liceo, ha un cognome glo­rioso poiché è la figlia di un fonda­tore dell’Aermacchi. Mai una paro­la su di lei, qualche sussurro su di lui per via della portavoce, Isabella Votino, giovane, graziosa e onni­presente, ma inutile nei rapporti con i giornalisti che ignora, tanto da essere ribattezzata portasilen­zi. Di qui la malizia: se trascura la stampa, di chi si cura?