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 2012  luglio 05 Giovedì calendario

PER L’ITALIA HIGGS VALE 350 MILIONI

«Higgs search update 4.07.12» recitava, con notevole understatement, il titolo della conferenza che si è tenuta ieri al Cern e che ha segnato un momento storico per l’istituzione ginevrina e per la fisica delle particelle. Dietro si nascondeva un segreto di Pulcinella: difficile frenare l’entusiasmo delle migliaia di fisici che hanno contribuito agli esperimenti Cms e Atlas quando, tre settimane fa, è apparso chiaro che dopo decenni il bosone di Higgs era stato trovato.
Aveva infatti già fatto il giro del mondo, ieri, la notizia dell’individuazione della traccia sperimentale di questa particella prevista a tavolino per spiegare perché le particelle acquisiscono una massa e come l’energia e la massa sono fra loro correlate. Ma ciò non ha impedito a Peter Higgs, 83 anni, seduto nell’auditorium gremito di ricercatori, di commuoversi nell’ascoltare le conclusioni di Fabiola Gianotti, la fisica italiana portavoce di Atlas, che ha entusiasmato la platea con semplicità e carisma. «Ci sono chiari segnali dell’esistenza di una nuova particella con una massa di circa 126 Gev, la significatività statistica è di 5 deviazioni standard (cioè la possibilità di sbagliare è una su tre milioni, ndr)», ha affermato Gianotti. «Non credevo che l’avrei vista prima di morire», ha commentato Higgs, che nel ’64 la ipotizzò. «La particella individuata potrebbe essere il bosone di Higgs previsto dal Modello standard - ha chiarito Gianotti - ma anche un altro bosone di Higgs, compatibile con un’altra teoria, per esempio quella della supersimmetria che, a differenza del Modello standard, spiega anche gravità e materia oscura. Servono ulteriori analisi». Certo è che si tratta della prima particella scalare mai trovata (cioè con spin intrinseco zero) e che «siamo penetrati nella fabbrica dell’universo a una profondità sconosciuta», ha aggiunto Joe Incandela, portavoce di Cms.
In prima linea in questa scoperta non ci sono solo ricercatrici e ricercatori italiani, ma anche le imprese: «L’Italia, pur essendo solo il quarto contribuente del Cern, ne è il terzo fornitore», spiega Sandro Centro, industrial liaison officer del Cern. «Per costruire l’acceleratore Lhc (Large hadron collider), costato circa 9 miliardi di euro, e i suoi 4 esperimenti, Atlas, Cms, Alice e LHCb, le nostre imprese hanno vinto commesse per 350 milioni di euro». Asg (ex Ansaldo Superconduttori) ha costruito 446 magneti superconduttori da 250mila euro ciascuno. «Grazie alle conoscenze sviluppate lavorando coi ricercatori - spiega l’ad Enzo Giori - ci siamo ora aggiudicati la commessa per fornire le bobine toroidali superconduttrici del reattore a fusione nucleare Iter. Per produrle stiamo completando un nuovo stabilimento alla Spezia (ex San Giorgio) e assumeremo 30-40 persone . E abbiamo dato vita a due spin off: uno fa risonanze magnetiche aperte per esami muscolo-scheletrici sotto carico (in piedi), l’altro un cavo superconduttore ad alta temperatura. Siamo solo in due al mondo a farlo». Se non avesse vinto la commessa del Cern, Ansaldo sarebbe stata acquistata dai coreani, ha aggiunto Fernando Ferroni, presidente dell’Infn, Istituto italiano di fisica nucleare che rappresenta l’Italia al Cern. Grazie all’esperienza maturata a Ginevra, anche la piemontese Simic che fornì i contenitori dei magneti, ora lavora per Iter. «Fu un’impresa ciclopica - ricorda Marcello Givoletti, presidente della Caen di Viareggio - dovevamo realizzare un’elettronica capace di lavorare sotto altissimi campi magnetici e il bombardamento delle particelle. Non abbiamo guadagnato molto (i fondi scarseggiavano), ma ora siamo considerati il numero uno al mondo. Poi abbiamo applicato le conoscenze in altri campi: stiamo lanciando un sistema per identificare a distanza materiali pericolosi in contenitori chiusi, come bagagli o container». Saes Getters ha esportato i suoi sistemi per fare il vuoto spinto in svariati acceleratori in giro per il mondo, mentre Renco, che ha prodotto i tubi che rivestono la galleria dell’Lhc, non ha registrato particolari benefici.
Fra tanti successi, due note dolenti: «L’incapacità italiana di unire ricerca e industria ci ha fatto perdere molte occasioni - afferma il direttore della ricerca del Cern, Sergio Bertolucci -, come quelle che hanno saputo sfruttare Oxford instruments e Siemens nel campo dei magneti. Ma soprattutto il fatto che i 600 ricercatori italiani che lavorano all’Lhc sono quasi tutti precari o semiprecari: spendiamo mezzo milione di euro per formarli e poi li regaliamo ai Paesi ricchi che li assumono».