Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 29 Venerdì calendario

QUANTO CI COSTA PORTAR FUORI I RIFIUTI


Dalla Campania i rifiuti vengono spediti in Olanda per essere inceneriti. Il servizio costa, compreso il trasporto via mare, 110 euro a tonnellata. Trenta in meno del prezzo pagato fino a qualche tempo fa per trasferire la stessa quantità di “munnezza” in Puglia, con i tir, a meno di 200 chilometri di distanza. Sembra un paradosso, eppure è una delle fotografie della “realtà rifiuti” nel nostro Paese. Uno scenario con poche luci e tante ombre, con una legislazione complessa e regolamenti diversi l’uno dall’altro, che variano da regione a regione, da provincia a provincia, da comune a comune. Con eccellenze nel campo della raccolta differenziata (come quella del Comune di Salerno, che tocca a tutt’oggi il 70 per cento) e percentuali lontane anni luce da quella nazionale (un caso su tutti: la Sicilia è al 9,4 per cento rispetto al 35 per cento della media italiana).
Ma anche un mondo pieno di insidie, di interessi illegali. Milioni di euro gestiti dalla criminalità organizzata che muove il traffico clandestino di rifiuti tossici e pericolosi, inviati di nascosto nell’Estremo Oriente o in Africa, come ha denunciato di recente la Direzione investigativa antimafia nel suo rapporto su clan ed ecologia. Affari sporchi, in tutti i sensi. Lontani tuttavia dal pensiero di milioni di cittadini che ogni giorno separano i rifiuti prodotti in casa e poi gettano la spazzatura nei cassonetti. “Che fine farà la plastica?”. “Quanto costa riciclare la carta?”. “E visto che separo tutto, perché esistono ancora le discariche?”.
Domande che sono alla base di studi statistici importanti, ma che pongono soprattutto problemi ancora in gran parte irrisolti. «Su 32 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno in Italia», spiega Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, «circa 15 milioni finiscono in discarica. I costi dello smaltimento variano da zona a zona: 70 euro a tonnellata a Roma, 200 euro invece nelle regioni del Nord e in Sicilia. La realtà è che utilizzare la discarica costa ancora troppo poco. Facendo una media nazionale di 100 euro a tonnellata, ogni anno buttiamo dalla finestra un miliardo e mezzo di euro, anche perché quei rifiuti sono irrecuperabili. Persi per sempre». Uno spreco colossale, «contrario alla direttiva europea che sullo smaltimento dei rifiuti prevede la famosa regola delle “4R”», dice ancora Ciafani, «riduzione, riuso, riciclaggio e recupero di energia. Le discariche vanno contro tutto questo. Costano poco, ripeto. E per questo motivo vanno tartassate, visto che sempre la direttiva europea del ’99, recepita in Italia nel 2003, prevede che in discarica vadano solo rifiuti pretrattati, ma fino a oggi tutti i Parlamenti, sia di centrodestra sia di centrosinistra, ne hanno rinviato l’applicazione. Bisogna togliere il tetto massimo dell’ecotassa fissato a 25 euro a tonnellata, una cifra ormai antica, e permettere alle Regioni di alzarla fino a 100 euro».

Differenze di costo. Dal Green Book 2012 di Federambiente (con i dati analizzati dalla Fondazione Utilitatis) emerge inoltre che una tonnellata di rifiuti prodotti in Campania costa poco più di 350 euro mentre in Lombardia meno di 225 e nel Lazio più di 320 Più in generale, in un anno, fra il 2008 e il 2009, in Italia una tonnellata di rifiuti è costata in media 14 euro in più (da 250 a 264 euro), mentre sull’igiene urbana i cittadini residenti nel Lazio sono quelli che pagano di più (quasi 187 euro pro capite), alzando la media del Centro Italia (166 euro pro capite) rispetto al Nord-Ovest (126 euro) e al Sud (142 euro).
A livello nazionale per la gestione integrata dei rifiuti sono stati spesi quasi otto miliardi e mezzo di euro. In testa alla classifica regionale c’è la Lombardia (con poco più di un miliardo e cento milioni), seguita sempre dal Lazio (un miliardo di euro) e dalla Campania (958 milioni). Cifre da capogiro che rendono bene l’idea di un settore chiave dell’economia del Paese. E in questo mondo chiuso si inserisce il trasferimento dei rifiuti all’estero. Dove i costi in discarica non sono poi così alti come da noi: 60-130 euro a tonnellata in Austria, 65 in Belgio, 60-90 in Finlandia, 60 in Irlanda, 20-30 in Olanda, 17 nella Repubblica Ceca e addirittura tre euro e mezzo in Portogallo.
«L’Italia è in grave ritardo», avverte Daniele Fortini, presidente di Federambiente. «Siamo lontani dal 20-20-20: raggiungere entro il 2020 il 20 per cento di riduzione di gas ciclo alteranti in atmosfera (CO2) e il 20 per cento di produzione di energia da fonti rinnovabili. In Europa questo obiettivo l’hanno già raggiunto Paesi come la Germania e la Danimarca. Noi siamo indietro, come la Grecia, il Portogallo, la Spagna e un po’ la Francia, dove si continua a consegnare alle discariche una grande quantità di rifiuti. In realtà, l’obiettivo europeo è discarica zero entro il 2020. La Germania è solo al 3 per cento, la Svezia all’uno. L’Italia al 43, sebbene con il 44 per cento di raccolta differenziata siamo fra i Paesi virtuosi. Tuttavia non abbiamo un piano nazionale e ancora oggi si discute, come accade a Roma, su dove aprire nuove discariche. Urgenti, è vero, ma non sono il futuro. Il trasferimento di rifiuti all’estero è una toppa, una scelta transitoria, ma non una scelta strategica. Il fatto è che è economicamente conveniente perché, come nel caso della Campania che spedisce i rifiuti in Olanda, si risparmia il 30 per cento. Lo fa anche il Nord Italia, che a 130 euro a tonnellata spedisce in Austria, Ungheria e Germania».
Secondo gli ultimi dati Ispra, nel 2010 sono state esportate 132 mila tonnellate di rifiuti non pericolosi dalla Campania, dall’Emilia, dal Friuli, dalla Lombardia, dal Piemonte, dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalle Marche, nonché dal Trentino, dal Veneto e dalla Toscana, ma ne sono state anche importate 202 mila (76 per cento legno destinato agli impianti di truciolati della Lombardia e dell’Emilia-Romagna). «Bisogna puntare e molto sugli impianti di compostaggio nel Mezzogiorno dove sono pochi», dice il presidente di Federambiente, «in modo da estrarre energia dalla fermentazione dei rifiuti, ottenere biogas, mentre quello che rimane può essere mescolato con i fertilizzanti chimici. Un compost da utilizzare in agricoltura».
Il fenomeno della spedizione dei rifiuti negli inceneritori del Nord Europa è tuttavia legato anche in questo caso ai prezzi particolarmente bassi. «Costa poco», riprende Ciafani di Legambiente, «perché il successo della raccolta differenziata ha messo in crisi l’utilizzo di quegli impianti che devono funzionare sempre ad alti regimi, con i forni costantemente al massimo della potenza, perché in caso di calo c’è il rischio di produzione di gas tossici e di diossine. Ecco il motivo per cui le società praticano prezzi bassi e raccolgono rifiuti da incenerire da altri Stati. Ma così facendo si provoca altro inquinamento con il trasferimento di carichi di decine di tonnellate di materiali per volta».
Un problema nel problema, insomma. Una realtà dalle mille sfaccettature, oggetto anche di indagini dei carabinieri del Nucleo operativo ecologico. Come quella, su incarico del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro, che ha portato nelle settimane scorse i militari dell’Arma a indagare sull’attività ridotta dei quattro Tmb, gli impianti per il trattamento meccanico biologico dei rifiuti, inferiore alle potenzialità delle strutture. Anche in questo caso si sospettano interessi economici poco chiari dietro il movimento “a scartamento ridotto” di quegli impianti. Punti di riferimento della gestione dei rifiuti di una regione, il Lazio, dove – sempre secondo l’Ispra – la raccolta differenziata è ferma al 16,5 per cento contro il 58,7 del Veneto e il 57,9 del Trentino-Alto Adige e poco meglio di Puglia e Basilicata (rispettivamente con il 14,6 e 12,4 per cento).
Rinaldo Frignani