Vittorio Zincone, Sette 29/6/2012, 29 giugno 2012
PIÙ TRASPARENZA GIOVEREBBE ALLA CHIESA
Gran fustigatore delle marachelle berlusconiane e bastonatore indomito di ogni razzismo politico, don Antonio Sciortino, 57 anni, è il direttore di Famiglia Cristiana, uno dei settimanali più venduti e diffusi d’Italia. Prete-giornalista, intreccia le due identità per criticare chiunque esca dal seminato del buon cattolico. Negli ultimi anni Sciortino ha bacchettato chiunque: politici, ministri, manager... È entrato in rotta di collisione col Carroccio leghista. Maroni lo ha querelato per un articolo in cui veniva definito “razzista”. Racconta don Antonio: «Matteo Salvini si allontanò dall’aula del Consiglio comunale milanese, quando mi stavano per consegnare l’Ambrogino». Ha litigato anche con Prodi: «Avevo scritto che era un errore istituire un ministero della Famiglia che avesse come priorità i Dico. Per un po’ di tempo mi ha tolto il saluto». E si è scontrato con Adriano Celentano: «Lo avevo invitato a seguire il Vangelo: Quando fai l’elemosina non metterti a suonare la tromba». E lui dal palco di Sanremo auspicò la chiusura di Famiglia Cristiana, dicendo: «Non vi occupate abbastanza di Dio». Ha più sentito Celentano? «No. Ma gli ho regalato un abbonamento al nostro settimanale».
Nel dodicennio della direzione “sciortiniana” Famiglia Cristiana è stata ribattezzata: Fanghiglia cristiana, Famiglia prodiana, Famiglia pagana... Carlo Giovanardi, dopo l’ennesima legnata contro la maggioranza di centrodestra, propose di togliere la parola “Cristiana” dalla testata. E Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede, una volta è intervenuto per chiarire che la “posizione di Famiglia Cristiana” non è la posizione del Vaticano.
Incontro Sciortino nella sede dei Periodici San Paolo. La sua stanza è gonfia di libri. In terra ci sono doni e targhe di riconoscimento. Dietro a un cesto di tagliatelle, omaggio di un parroco napoletano, c’è l’attestato di Grande ufficiale della Repubblica conferitogli dal presidente Ciampi nel 2005. Sul tavolo c’è l’ultimo numero del settimanale. In copertina il ritratto austero del cardinal Bertone annuncia l’intervista al prelato. Titolo: «Corvi e Ior... Solo calunnie». Partiamo da qui.
Il fustigatore Sciortino che cosa pensa dei Vatileaks, i documenti riservati che stanno circolando da settimane?
«Non vanno sottovalutati, né sminuiti. Un problema esiste: è grave che Paolo Gabriele, una delle persone più vicine al Papa, abbia tradito la sua fiducia».
Lei guarda il dito, in realtà ci sarebbe da osservare la luna: i contrasti interni al Vaticano. I cardinali si lanciano a vicenda accuse pesanti.
«È uno scenario che crea scandalo tra i fedeli. Ma l’accanimento di alcuni quotidiani sui gossip e le trame di potere mi dà fastidio. La Chiesa è ben altro: è il milione di persone del Family 2012, a Bresso».
Il cardinal Bertone dice che i giornalisti dovrebbero giocare meno a fare i Dan Brown. Ma i prelati litigiosi dovrebbero fare almeno un mea culpa?
«Il cardinale Ratzinger lo ha fatto nel 2005. Quando ha parlato della sporcizia all’interno della Chiesa».
Sono passati sette anni.
«La Chiesa è fatta anche di miserie umane. Il cardinale Consalvi, segretario di Stato ottocentesco, a Napoleone che minacciava di distruggere la Chiesa, rispose: “Maestà, non ci riuscirà, neppure noi preti siamo riusciti a distruggerla”».
Tradotto: la Chiesa va avanti nonostante il Vaticano. Nei Vatileaks c’è anche la vicenda di Gotti Tedeschi, il banchiere cacciato dallo Ior.
«Molti lettori mi chiedono se è vero che Gotti Tedeschi è stato allontanato perché voleva più trasparenza».
Che cosa gli risponde?
«Bertone sostiene che non sia così. E che già da tempo era cominciato il lavoro per riportare lo Ior al suo fine istituzionale: aiutare le missioni».
Gianluigi Nuzzi, autore di Sua santità, il volume in cui sono pubblicati i Vatileaks, ha scritto anche un libro (Vaticano Spa) in cui emergono i rapporti tra la mafia e la Banca Vaticana.
«Mi pare evidente che una maggiore trasparenza e una maggiore ricerca della verità gioverebbero non solo alla Chiesa, ma anche ai cristiani».
La pubblicazione dei Vatileaks aiuta la trasparenza?
«Io non ci ho trovato nulla di nuovo. E mi chiedo quale sia il fine della pubblicazione».
Lei avrebbe pubblicato i Vatileaks se fossero finiti sul suo tavolo?
«No. Non ne vedo la ragione. Ho rispetto per la privacy».
Da collega, si sente di esprimere la solidarietà a Gianluigi Nuzzi che da giorni viene attaccato per il suo libro?
«Quando un collega viene criticato, la solidarietà va benissimo. Ma non condivido il fatto che abbia pubblicato documenti decisamente privati».
Dai Vatileaks emerge anche che, secondo Dino Boffo, dietro gli attacchi che hanno portato alle sue dimissioni, ci sia Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano.
«Può essere che a qualcuno desse fastidio la grande concentrazione di media cattolici nelle mani di Boffo. E può essere che ci sia uno scontro tra Conferenza episcopale e Curia su chi deve avere rapporti con le istituzioni italiane. Ma la cosa incredibile è che le notizie scabrose sul direttore di Avvenire siano spuntate nel momento in cui lui ha cominciato a criticare i comportamenti libertini di Berlusconi. Il giornalismo cane da guardia che si fa cane di servizio».
È vero che anche lei stava per subire una sorta di “trattamento Boffo”?
«Sì. Gli attacchi sono partiti quando ho cominciato a criticare il governo Berlusconi e la doppia morale di molti cattolici. So che hanno fatto la radiografia alla mia vita. Maurizio Gasparri, in un’intervista esilarante, disse che io ho abitudini estive scandalose».
Quali abitudini scandalose?
«Sosteneva di avermi visto in bermuda sull’isola di Marettimo in compagnia di un’amica».
È vero?
«Ero con molti amici. E non vedo che cosa ci sia di male. Anzi... Di male c’è che Gasparri ha cercato di screditare la mia persona invece di entrare nel merito delle mie critiche alla doppia morale di alcuni politici».
Doppia morale. Ce l’hanno anche le gerarchie ecclesiastiche. Il Vicariato di Roma non ha concesso il funerale religioso a Piergiorgio Welby che aveva chiesto che gli venisse staccato il respiratore. Lo stesso Vicariato concesse la sepoltura nella basilica di Sant’Apollinare a Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana.
«Le due cose non sono in relazione. Ma la messa a Welby andava concessa anche per mostrare il volto misericordioso della Chiesa. Mentre la sepoltura di De Pedis in Sant’Apollinare è un errore grave senza giustificazione».
La Chiesa è accusata spesso di chiudere un occhio sulla morale dei politici, in cambio di leggi “amiche”.
«A che cosa serve ottenere una legge favorevole alla vita, se poi il Paese viene degradato dal punto di vista etico? La Chiesa non può balbettare di fronte a provvedimenti razzisti e ad atteggiamenti sconvenienti».
Che cosa si aspetterebbe oggi da un politico cattolico?
«Che seguisse la dottrina sociale della Chiesa. Prima di impegnarsi sulle unioni di fatto, sarebbe importante un impegno a sostegno delle famiglie che si stanno impoverendo».
Lei ha incontrato il premier Monti...
«Gli ho chiesto di portare avanti una legge che dia la cittadinanza a chi è nato in Italia».
Che cosa ha risposto Monti?
«Che sarebbe bello, ma se lo facesse, la sua maggioranza entrerebbe in fibrillazione».
Il governo Monti...
«Come stile, rispetto a Berlusconi, si è passati dalla notte al giorno. Ma Monti dovrebbe osare di più sull’equità. Non si può far mettere in un angolo, altrimenti al posto suo ci potrebbe stare pure Scilipoti...».
Lei ha appena scritto un editoriale feroce contro i politici italiani.
«Il livello della politica non è mai caduto così in basso. E non faccio distinzioni tra destra, sinistra e centro... Chiedono sacrifici e non ne fanno. Non hanno dignità. Sono fuori dal mondo. Come i cattolici che hanno chiuso gli occhi di fronte a certi comportamenti libertini».
Parla di chi ha governato con Berlusconi?
«Parlo dei cattolici che devono impegnarsi seriamente. Non servono le etichette. Di certi provvedimenti xenofobi ci si dovrà vergognare a lungo. Il Vangelo è stato subordinato troppo spesso alle logiche degli schieramenti».
Lei spera nel ritorno di un partito cattolico?
«La storia difficilmente si ripete. L’unità dei cattolici va ritrovata nei valori. Non basta ribattezzare vecchi carrozzoni, rifacendogli il trucco».
Sciortino, ma sta parlando dei cosiddetti “centristi”?
«Parlo dei politici miopi che sembrano aspettare solo di essere spazzati via dall’onda di antipolitica».
Il grillismo le piace?
«Mi piace la voglia di partecipazione che è nata nel Paese, contro una politica lontana dagli interessi della gente. Mi piacciono meno certi contenuti estremi o populisti».
Grillo...
«Il successo di Grillo è figlio di una cattiva politica. Di una casta arrogante che si ritiene al di sopra della legge».
Lei sembra non salvare proprio nessuno. Serve il cosiddetto “ricambio generazionale”?
«Gioverebbe».
Fuori i nomi.
«Di questo governo mi piace Andrea Riccardi».
Non vale. Riccardi scrive spesso su Famiglia Cristiana. Renzi le piace?
«Sì. Parla un linguaggio nuovo rispetto a quello dei politici tradizionali. E dà la sensazione di essere più attento ai bisogni delle famiglie che ai propri privilegi».
Famiglie. Mi racconta la sua infanzia?
«Sono nato a Delia, un piccolo centro agricolo in provincia di Caltanissetta. La mia famiglia è di origini modeste. Mia mamma casalinga, mio papà riparava e vendeva scarpe».
Che studi ha fatto?
«Il liceo classico. Studi di filosofia e teologia a Roma, nelle università pontificie. E scuola di giornalismo alla Cattolica di Milano».
Quando si è reso conto che avrebbe voluto farsi prete?
«Dopo il liceo. Il momento delle scelte vere».
Folgorazione o lento avvicinamento alla Chiesa?
«Nessuna caduta da cavallo, modello san Paolo. Ma una lenta maturazione. Hanno influito sulla scelta il fascino di alcune figure di preti. E anche un nuovo modo di fare il prete».
Quale nuovo modo?
«Appartengo a una congregazione religiosa, la San Paolo, che ha come missione quella di annunciare il Vangelo attraverso i media. L’ho scelta perché mi affascinava l’idea di essere prete e, al tempo stesso, giornalista. La mia parrocchia, come diceva don Zilli, storico direttore di Famiglia Cristiana, è una “parrocchia di carta”. E i miei fedeli sono i lettori cui mi rivolgo ogni settimana dalle pagine della rivista».
Se non avesse preso i voti oggi sarebbe...
«Forse, un insegnante o uno studioso».
Ricorda il suo primo articolo?
«Sul giornalino di classe del liceo. Titolo: “Uno più”. Una presa in giro dei professori».
E il suo primo articolo per Famiglia Cristiana?
«All’inizio facevo piccoli pezzi. Ma nel 1985 venni catapultato a seguire il terzo viaggio di Giovanni Paolo II in Africa. Fu il mio “battesimo del fuoco” giornalistico».
Toto Papa. Chi sarà il prossimo Pontefice?
«Mi sembra una domanda poco delicata».
Chi è “il suo” Papa?
«Difficile scegliere. Ogni tempo ha il suo Papa. Paolo VI mi affascinava per la profondità di pensiero. Ma ho percorso i miei primi venticinque anni di sacerdozio con Giovanni Paolo II, che ho seguito come giornalista in tanti viaggi apostolici. E ho potuto conoscerlo meglio».
A cena col nemico?
«Ceno con tutti, c’è sempre da apprendere qualcosa».
Cenerebbe anche con Bossi?
«Uhm. Non sarebbe una cena piacevole».
Leader politici. Meglio Vendola o Bossi?
«Vendola l’ho incontrato in Puglia. Mi ha detto che era molto vicino a don Tonino Bello... Se posso, però, mi sfilo da questo gioco».
Ha un clan di amici? Un gruppo ristretto?
«Due in particolare, Anna e Luigi, giovani pensionati».
Che cosa guarda in tv?
«I talk show di informazione. Ma cambio quando si trasformano in rissa e non si capisce più nulla».
Che cosa ritiene televisivamente poco cristiano?
«Il Grande fratello & Co. Mostrano stili di vita diseducativi».
Il film preferito?
«Tra quelli più recenti, Terraferma di Emanuele Crialese. Una denuncia forte del trattamento inumano che spesso riserviamo in Italia agli immigrati».
Il libro?
«I romanzi di Andrea Camilleri, ambientati in luoghi che conosco molto bene».
La canzone?
«Dio è morto dei Nomadi, cavallo di battaglia degli anni giovanili».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«No».
Lei fa la spesa?
«Vivo in una comunità religiosa: i pasti sono in comune e c’è chi bada alla spesa e alla casa».
Conosce l’articolo 12 della Costituzione?
«Conosco e cito spesso la Costituzione, ma l’articolo 12...».
È quello sul Tricolore. Che cos’è per lei il Tricolore?
«È il simbolo dell’unità degli italiani. Dovrebbero vergognarsi quei ministri che, pur avendo giurato sulla Costituzione, hanno disprezzato il Tricolore invitando a farne usi ignobili».
Vittorio Zincone