Aldo Grasso, Sette 29/6/2012, 29 giugno 2012
IL CONI? È STATO PIÙ MIOPE DI ME
Per amare le cose bisogna essere ingenui. Me lo ricordo ancora quel pezzo che scrissi nel 2003 su Lance Armstrong, per amore del ciclismo, per amore di un grande campione: «Benedetto dalla pioggia, Lance Armstrong è “pentacampeao”, iscritto d’ufficio a un club molto esclusivo, l’Olimpo riservato ai cinque volte vincitori. E ai francesi, per dirla alla Paolo Conte, le balle ancora gli girano». Eroe nel ciclismo, quella volta che concesse la vittoria al redivivo Pantani sulle rampe del Mont Ventoux, eroe nella vita, per aver saputo sconfiggere il cancro. Ingenui e anche un po’ ciechi. Adesso l’agenzia americana antidoping ha aperto una procedura formale nei confronti dell’ex campione di ciclismo Lance Armstrong, che potrebbe costare al ciclista alcuni o tutti i suoi sette titoli del Tour de France. La notifica delle accuse è stata recapitata a Armstrong, a Austin in Texas, via lettera: una missiva di 15 pagine in cui l’agenzia americana afferma che alcuni dei campioni di sangue prelevati al ciclista nel 2009 e nel 2010 sono «perfettamente compatibili con manipolazioni sanguigne, incluso l’uso di Epo o di trasfusioni». L’agenzia Usa, nella lettera in cui spiega le accuse, chiama in causa «diversi corridori e altri in base alla loro conoscenza personale, acquisita guardando Armstrong mentre si dopava» o tramite «ammissioni» dell’ex ciclista. Pare che l’Usada sia in possesso di nuove prove che coinvolgerebbero nelle pratiche vietate altri cinque ex tesserati, oltre a tre medici (uno sarebbe il dottor Michele Ferrari), un allenatore e il team manager Johan Bruyneel.
Il fuggitivo. Il periodo sotto esame va addirittura dal 1998 al 2011. Armstrong sarebbe accusato anche di aver fatto uso di Epo, testosterone, corticosteroidi, farmaci mascheranti e di aver fornito prodotti vietati ad altri corridori. Certo nessuno dimentica quella volta che Armstrong, in una tappa del Tour 2004, andò di persona a riprendere il fuggitivo Filippo Simeoni, colpevole di aver accusato il medico Michele Ferrari, lo stesso che seguiva il corridore statunitense, di avergli fornito sostanze dopanti. Per amore del ciclismo, il vincente ha sempre ragione. Già, il dottor Ferrari, medico tanto conosciuto quanto «chiacchierato», «allievo prediletto» di Francesco Conconi, il professore caro al nostro Coni accusato di praticare «doping di Stato» negli Anni 80 e 90 nel suo centro di Ferrara. Per Conconi si era parlato di un doping pensato, studiato, organizzato e attuato dalle stesse strutture sportive che a parole intendevano combatterlo, cioè il Coni e alcune federazioni sportive. Non è consolante ma, a quanto pare, il Coni sarebbe stato più cieco di noi. E non per amore.