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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

SETTE IMPRESE SU DIECI SULL’ORLO DI UNA CRISI DI LIQUIDITÀ PER I RITARDI NEI PAGAMENTI


Sette aziende italiane su dieci soffrono problemi di liquidità a causa dei ritardi nei pagamenti. Una massa calcolata all’incirca in 75 miliardi (il 5% del prodotto interno lordo) solo per quanto riguarda i ritardi accumulati dalla Pubblica amministrazione, due terzi dei quali attribuibili alle spese per la sanità. E a questi 75 miliardi va aggiunto l’importo dei ritardi nel pagamento dei debiti commerciali, accumulati soprattutto dalle grandi imprese, accusate di fare finanza con la liquidità garantita dai mancati pagamenti alla catena dei fornitori. Inadempienze che ricadono sulle piccolissime, piccole e medie imprese, in pratica sul tradizionale tessuto imprenditoriale italiano, la cui struttura rende complicato non solo prevenire i pagamenti in sede di contrattazione, ma anche ricorrere alla tutela giurisdizionale, per i costi economici e sociali e per i rischi di perdere clienti che ricorrere agli avvocati e ai tribunali può comportare. In Italia i ritardati pagamenti non sono censiti ufficialmente, ma esistono indagini a campione sui pagamenti ritenute molto attendibili. Secondo l’annuale European paymentindex relativo ai primi tre mesi del 2012, nel confronto europeo l’Italia detiene due primati negativi: quello di peggior pagatore nel settore della Pubblica amministrazione, dove il tempo medio di pagamento si attesterebbe a 180 giorni, e quello di peggior pagatore nei rapporti tra imprese e consumatori, con tempi di pagamento calcolati in 75 giorni, contro i 44 del Regno Unito, i 41 della
Francia e i 24 della Germania. Va un po’ meglio, ma non tanto, nei rapporti tra imprese, dove il tempo medio di pagamento sarebbe di 65 giorni. Per fare qualche paragone, ai 180 giorni di pagamento medio da parte della Pa alle imprese italiane si contrappone una media europea di 65 giorni e, nel dettaglio, di 64 giorni per la Francia, 43 per il Regno Unito e 36 per la Germania. A differenza che in buona parte degli Stati comunitari, dal 2009 a oggi l’attesa è aumentata pesantemente: ben 52 giorni, contro la diminuzione di sei giorni della Francia, due del Regno Unito e cinque della Germania. Ad aggravare la situazione italiana interviene, oltre ai tempi lunghi di pagamento medio, anche la pratica dei ritardi: nel nostro Paese si tratta di altri 90 giorni in media, battuti in questo indicatore solo dalla Grecia. Nel settore dell’edilizia, nel 2011 i tempi medi di liquidazione dei lavori pubblici sarebbero arrivati a 240 giorni, nella sanità anche a più di un anno. Ma come mai il nostro Paese sconta tali ritardi? Le criticità della Pubblica amministrazione derivano dalla complessità dell’organizzazione delle procedure amministrative e dei criteri per il trasferimento dei fondi tra le varie strutture nonché dall’ampio potere di mercato della Pa nelle sue varie articolazioni. Ma un peso significativo è anche quello del patto di stabilità che, nell’ambito del più generale processo di risanamento della finanza pubblica, impedisce agli enti locali, anche virtuosi, di utilizzare la liquidità disponibile per far fronte a vecchi e nuovi impegni di spesa. Nei rapporti tra imprese, la “dittatura” di alcune grandi ha dettato in passato dei codici comportamentali che ancora oggi fanno sentire i loro effetti. Da una ricerca fatta dall’Unione europea è risultato addirittura che in Italia i ritardi di pagamento imputabili alle grandi imprese di verificano con una frequenza doppia rispetto a quelli addebitabili alle Pmi. E anche la durata delle dilazioni è doppia nel caso dei pagamenti effettuati dalle grani imprese alle Pmi rispetto a quelli effettuati da queste ultime alle grandi. Proprio alla luce di questi dati è stato anche proposto di far partire un meccanismo di trasparenza e di certificazione delle imprese che pagano puntualmente, l’adesione a un codice di comportamento che prevede come requisito la puntualità assoluta già adottato in altri Paesi europei. Peraltro, questo sistema di tempi lunghi, dilazioni e ritardi provoca spesso uno scadimento del sistema: comporta prezzi più alti e giustifica scarsa qualità di prodotti e servizi, insomma è una pratica commerciale poco corretta e dai dubbi risultati. Inoltre, e questo aspetto andrebbe valutato con attenzione soprattutto dalla Pubblica amministrazione, in un momento di crisi economica e di restrizioni nell’accesso al credito, esiste il rischio concreto che i tempi lunghi nei pagamenti possano essere sopportati meglio dalle imprese in grado di attingere a fondi cospicui e di dubbia provenienza. Nello scorso autunno, l’Ue si è però mossa con decisione, emanando una direttiva che, pur conservando a monte libertà negli accordi, ha aumentato gli strumenti di contrasto ai ritardati pagamenti, prevedendo l’obbligo anche per la Pubblica amministrazione di liquidare entro 60 giorni la fattura. Certo, trattandosi di una direttiva europea, bisogna vedere quanto tempo impiegherà il Parlamento italiano a recepirla: per una precedente disposizione di Bruxelles, sullo stesso argomento, vennero impiegati tre anni. Sembra però che il governo su questo fronte abbia deciso un’accelerazione. Lo dimostra il pacchetto di quattro decreti emanati il 22 maggio. Due decreti riguardano la certificazione dei crediti scaduti nei confronti rispettivamente delle amministrazioni centrali nonché di regioni ed enti locali, inclusi quelli del Servizio sanitario nazionale; un decreto riguarda la compensazione tra crediti e debiti verso la Pa; un decreto punta al sostegno delle imprese creditrici e prevede la creazione di un fondo di garanzia diretta all’anticipazione dei crediti verso la Pa in attuazione del decreto cosiddetto Salva Italia.