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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

MODELLO HONG-KONG COSÌ LA CINA ENTRA NELL’ARENA DEL MERCATO

M&A–

Le imprese cinesi hanno ora le munizioni necessarie per andare all’estero a concludere fusioni e acquisizioni. Il rilassamento dei requisiti bancari, promosso da Pechino per sostenere un’economia che rischia di contrarre il virus della crisi della zona euro, sta iniettando liquidità sia nei colossi di Stato che nelle nuove piccole e medie società private. Gli uomini d’affari cinesi accettano inoltre l’idea di non poter spingersi in Europa per comprare a basso costo. Per la prima volta non puntano a investimenti solo in aziende bisognose di ricapitalizzazione: scelgono gruppi con un potenziale reale nel mercato interno cinese, o attivi in settori in forte espansione in Asia. Mentre la maggior parte degli investitori italiani sta alla finestra e attende la fine della crisi, i capitali cinesi e di Hong Kong nei primi sei mesi del 2012 hanno fatto invece un enorme balzo in avanti. Le stesse società italiane, prima spaventate dalla prospettiva che i «predoni asiatici» mirassero solo a riportare in Cina tecnologia europea, stanno così riponendo le loro speranze di crescita nell’innesto di liquidità dall’Oriente. Il valore degli investimenti finanziari dalla Cina e da Hong Kong in Italia era attorno allo zero ancora nel 2009. Nel 2011 è balzato a 42 milioni di euro, mentre a fine giugno ha chiuso poco sotto i 540 milioni. A orientare gli investitori cinesi verso l’Europa, a cominciare dalla Germania, non sono solo le agevolate condizioni del credito interno.
In un anno lo yuan si è apprezzato sull’euro di circa il 16%, e un cambio più vantaggioso riesce a compensare una crescita rallentata, che rende anche i guadagni più lenti. I settori dove il business è oggi più forte è quello della tecnologia, seguito da consumo e produzione. Ma è la mancanza di crescita in Europa a mutare il volto dei rapporti tra eurozona e Cina. Fino a ieri il Dragone si limitava a ricevere commesse, a produrre e a esportare i suoi prodotti in Occidente. Oggi, con i consumi in apnea, va invece direttamente nel Vecchio Continente per acquistare quelli che un tempo erano i suoi committenti. Il paradosso è che il denaro europeo emigrato in Cina per alimentare la crescita Ue, spinta dai consumi, torna in Europa per sostenere la crescita cinese, a sua volta riorientata dal risparmio al consumo. Protagonista assoluto della voglia finanziaria cinese di Italia, è il settore lusso-moda. Gli affari che coinvolgono imprese italiane e cinesi sono ormai centinaia. L’alta moda del made in Italy ha bisogno di capitali per crescere nel mercato cinese, che promette un boom per almeno dieci anni. Le imprese italiane registrano profitti annuali tra i 50 e i 100 milioni di euro ed è per aumentare la capacità di investimento ai livelli richiesti dall’enorme mercato dell’Asia che le compagnie cinesi propongono ora joint venture per vendere i marchi ai nuovi consumatori globali dell’Oriente. Gli stranieri preferiscono che la controparte cinese rilevi interessi di minoranza. I rapporti di forza però stanno cambiando e la necessità di vendere in Cina, negli ultimi mesi ha consigliato ai gruppi stranieri di rivedere la propria politica verso Pechino. La sottocapitalizzazione europea si trasforma così in caccia agli investitori asiatici, ricchi sia di soldi che di mercati. E dalle piazze metropolitane di prima fascia, l’interesse si riorienta sulle città cinesi di secondo e terzo livello, nuovo campo di battaglia mondiale per il settore dei beni di lusso. Investitori e clienti hanno sede ormai in luoghi finora ignoti della Cina, dove almeno 50 città registrano una spesa media annua pro capite di oltre 1200 euro per il primo «lusso ovvio». Sono questi nuovi epicentri globali del consumo e dei capitali a sostenere le imprese europee: che silenziosamente si trasformano in società sempre più cinesi.