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 2012  luglio 03 Martedì calendario

MARTIRI PER CASO



SCASUALMENTE. È accaduto
scasualmente,
dicevano. Questa è la parola che viene utilizzata nello slang napoletano per descrivere qualcosa che è accaduto “per caso”, “non intenzionalmente”.
Scasualmente, hanno detto, è stato ammazzato Andrea Nollino, 42 anni, davanti a un bar di Casoria. Il suo bar. Non doveva essere ucciso lui, ma qualcuno che gli somigliava o qualcuno tanto vicino a lui da giustificare quel proiettile vagante. O forse non è andata così. C’è chi avanza altre ipotesi: le analisi balistiche dimostrerebbero che i proiettili sarebbero stati diretti tutti, e con una certa precisione, proprio in direzione di Andrea Nollino e non, come si era pensato, in direzione della Ford Ka gialla. Inoltre Andrea, nella zona vecchia di Casoria, quella di San Mauro, dove è fortissima la presenza di un sottobosco malavitoso, si era sempre distinto per la sua onestà: potrebbe essere stato punito per aver resistito alla legge dei clan? Casoria non è nuova ad assurde vendette. Nel
2010 un edicolante, Antonio Coppola, fu trucidato con tre colpi di pistola per aver rimproverato un uomo che stava rubando dell’uva dalla vigna di un conoscente. Antonio Coppola era incensurato, ma in un primo momento alle forze dell’ordine risultava con precedenti penali e così nessuno raccontò la verità su quella morte assurda.
L’omicidio di Andrea Nollino, che sia stato casuale o una barbara punizione, è sconvolgente. Andrea arriva presto al suo bar, alle sette apre la saracinesca e inizia a pulire per terra. Due uomini arrivano e sparano con una pistola mitragliatrice. Tutto è avvenuto nello slargo San Mauro, dove c’è il bar di Andrea e di suo fratello, al primo piano vive la famiglia, la chiesa dove si sono svolti i funerali è lì di fronte. La ditta delle onoranze funebri è poco distante. Un’esistenza intera descritta e ordinata in una manciata di metri, dove si è svolto tutto: vita, lavoro, matrimonio, morte, funerale.
Eppure sono così complesse le sintesi di queste vite che si svolgono in paesoni smisurati che non riescono a essere metropolitani, che contano decine di migliaia di cittadini (Casoria ne ha più di 79 mila), ma restano paesi con regole d’omertà, con economie illegali, quasi come uniche economie vincenti ma anche con un senso di unità civile che questa volta Casoria ha insegnato all’intera
nazione.
La famiglia Nollino ai funerali è piena di un’immobile e composta dignità. Al contrario le famiglie di mafia quando soffrono una perdita sanno che tipo di
sceneggiata devono compiere, sanno come recitare il dolore, che partitura seguire, come urlare e strapparsi i capelli, come dichiarare vendetta in quel pianto o chiedere tregua in quelle grida. I figli di Andrea, Raffaele e Carmen, erano presenti al funerale, non la più piccola di 4 anni, ma sulla saracinesca abbassata del bar c’è un disegno, forse della bimba dedicato a suo padre. Al corteo funebre hanno partecipato in moltissimi, qualche urla, tanti applausi, un gesto che tende a sfogare la rabbia, ma forse di più a omaggiare un lavoratore, un padre di famiglia, morto mentre stava facendo il proprio dovere: lavorare. Tantissimi ragazzi dietro il feretro e nessun programma antimafia,
nessun piano politico, null’altro che dolore. Dolore per un gesto schifoso, per una morte assurda. Empatia totale.
Ciò che ancora una volta mi ha sconvolto, ma forse dovrei smetterla di stupirmi, è che di nuovo l’Italia ha ignorato la notizia o quasi. Della morte di Andrea ne hanno parlato più o meno diffusamente i media locali, un cenno in quelli nazionali. Nessuna apertura dei tg, niente
prime pagine dei quotidiani. E c’è da dire che, se in questo caso la notizia è arrivata, è stato solo per la quantità: nel Napoletano ci sono stati tre morti in dodici ore, è scattato l’allarme “guerra di camorra” e solo per questo la notizia è passata. Nelle stesse ore in cui moriva Andrea, sono stati uccisi Giuseppe Sannino, di ventun’anni, abbandonato di notte davanti a un ospedale, e Marco Riccio, già padre di due
bambini a soli 18 anni, vittima di un’esecuzione di camorra. Sempre così funziona: le morti in terra di camorra arrivano sulle prime pagine solo per accumulo. Un morto, poi due, poi tre sino a quando i media non possono ignorare la mattanza e la raccontano. Immaginate se un barista milanese fosse stato raggiunto in faccia da un proiettile? Il territorio sarebbe insorto perché a morire sarebbe stato di
certo un innocente. Il governo avrebbe inviato un legato per mostrare che non si può morire così in un Paese democratico e civile mentre si sta lavorando senza che le istituzioni reagiscano energicamente. Se muori in terra di camorra, invece, c’è sempre il sospetto che tu sia camorrista. Poi accade che i tempi d’accertamento siano lunghi e quando è chiaro che la vittima è innocente è troppo tardi per raccontare la sua storia come meriterebbe di essere raccontata, ovvero come la storia di un martire civile. Notizia non più attuale, equivale a memoria scomparsa. Ma questa volta la comunità di Casoria si è mossa, ha portato avanti la sua memoria: Andrea non era un camorrista. Così dichiarano
e raccontano le persone di Casoria assieme a don Tonino Palmese e don Mauro Zurro, sacerdoti sempre presenti che sanno sostituire tutto ciò che è assente in quella disgraziata regione: stato diritto famiglia serenità.
Se chiedessi a un milanese, a un bergamasco, a un veneziano, a un romano, a un palermitano chi è Andrea Nollino, non saprebbe rispondermi. Non saprebbe che è l’ultimo morto innocente di una lunga lista. L’ultimo morto ucciso, come dicono, scasualmente. Scasualmente è stata uccisa Silvia Ruotolo, scasualmente è stata uccisa Annalisa Durante. Scasualmente sono stati uccisi Gigi Sequino e Paolo Castaldi, due amici poco
più che ventenni, scambiati per due affiliati. Scasualmente è stato ucciso Dario Scherillo, ragazzo che non c’entrava nulla con la faida di Scampia. Ma quando un territorio vive in guerra non è mai scasualmente che si muore. È una interpretazione sbagliata. Semmai quando un proiettile viene deviato, quando vengono scambiati gli obiettivi, quando si muore perché “troppo” onesti, semplicemente la logica camorristica del “qui tutto ci appartiene” è compiuta. La logica del poter decidere su tutto, della vita e della morte di chiunque, perché qui tutto è cosa loro.
Dobbiamo sapere che chi muore è stato ammazzato non solo dalla camorra, ma anche dall’indifferenza, dall’inazione,
dalla mancanza di soluzioni e proposte politiche reali per risolvere una piaga che nel nostro Paese è
la
piaga.
Casoria è terra difficile. È terra di camorra, è terra di euro falsi, i migliori mai prodotti in Europa sono stati stampati in questa zona. Qui la crisi la si vive, ma con meno dramma che altrove perché l’assenza totale di lavoro c’è da così tanti anni che ormai sono tutti assuefatti. Le banche hanno azzerato da tempo le possibilità di finanziamenti e, piaccia o meno, il lavoro nero è l’unico ammortizzatore sociale davvero funzionante. Il Sud è colmo di ragazzi che lavorano in nero nelle fabbriche di confezioni, di guanti, di scarpe, di giacche, di vestiti:
sono tutti lavoratori onesti.
Tempo fa il ministero dell’Economia diffuse una pubblicità progresso sui parassiti sociali, ovvero sugli evasori. Ciò che mi colpì fu che il testimonial “negativo” di quella campagna di sensibilizzazione era un ragazzo sui trent’anni, scuro di carnagione, barba incolta, vestito in maniera semplice e dimessa. Non so voi, ma io un parassita, un evasore me lo immagino diverso: magari
giacca e cravatta, ben rasato e non necessariamente con le fattezze dell’uomo del Sud. La trovai fastidiosa. Forse perché in quel viso vidi i miei lineamenti e i lineamenti di molti miei amici. Gli evasori hanno in genere ben altra prestanza.
Ecco, in queste terre o lavori nell’edilizia o fai scarpe, o cuci: è certo che diritti ne avrai pochi e questi pochi saranno una concessione e una discrezione dei
tuoi datori di lavoro. È l’ultima parte manifatturiera d’Occidente che resiste alla concorrenza dei Balcani e della Cina. Pochi soldi, nessun diritto. Dovrebbe far riflettere che il lavoro in nero del sud Italia è l’unico concorrente possibile, nel nostro Paese, di merci prodotte e importate dove non c’è regolamentazione sull’età lavorativa, sugli orari di lavoro.
Una parte di mondo politico
sa che il Sud in queste condizioni è garanzia di immobilità e resta un enorme serbatoio dove continuare a comprare voti per pochi euro. Questo Sud è una garanzia alla rielezione di molti.
Chi sa, sono anni che ci diciamo che qualcosa sta cambiando. Che tutto deve cambiare; le amministrazioni locali ci provano, spesso con troppi proclami, ma dal governo non arrivano segnali. Questo governo occupato in complicatissime manovre non ha mai pronunciato la parola Mezzogiorno.
Eppure il Sud è una palestra, abituato com’è a una situazione di disperazione quasi perenne. Per questo ha più forza per ripartire, per fare da traino all’intero Paese paralizzato
dalla crisi. Il Sud questa paralisi la conosce da tempo e le sue energie possono essere fondamentali per trovare insieme gli anticorpi.
La morte di Andrea Nollino, lavoratore, e la reazione del suo paese dimostrano che a Sud c’è ancora una guerra. Che si combatte in ogni forma, che è disoccupazione, lavoro nero, affiliazione nei clan, scelta di partire come volontari nelle missioni di pace. Questa guerra ha creato, di generazione in generazione, una capacità di resistenza incredibile. Da qui l’Italia deve ripartire. Le nuove generazioni di meridionali oggi possono essere la speranza del Paese. E questa volta non scasualmente.