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 2012  luglio 02 Lunedì calendario

GALATEO 2.0


Che cosa potranno mai servire le prescrizioni o i divieti del Galateo a chi passa il suo tempo fra network, chat e facebook? Ecco l´enigma che sembra attraversare il Dizionario contemporaneo di buone maniere di Laura Pranzetti Lombardini, appena edito da Gribaudo (pagg. 122, euro 12, 90). Si tratta, in questo senso, di un libro-scommessa. Vi si annida, infatti, un rischio: quello di ipotizzare a freddo l´esistenza, nel Terzo Millennio, di una falange di potenziali "Veri Signori": era questo l´appellativo che i Galatei assegnavano ai componenti del loro pubblico. Ma è un rischio calcolato, una specie di provocazione. A spiegarne il senso vale, per cominciare, l´aggettivo "contemporaneo", inserito nel titolo. Non ne poteva venir fuori, così, che un trattato mezzo vecchio e mezzo nuovo, con larghe zone nelle quali queste categorie faticano ad integrarsi. Anche se nel lettore si fa strada la convinzione che il tentativo andasse fatto.
Vecchio e nuovo, dunque. Aggirarsi fra i due aggettivi riserva qualche divertimento. Qua e là, il vecchio appare vecchissimo, percorso, com´è, da suggerimenti rituali, quasi a dubitare che il Galateo, decrepita talpa, abbia lasciato qualche traccia di sé fra gli odierni viventi. Il che appare, in fondo, troppo pessimistico. L´elenco delle proibizioni è tale, infatti, da apparire risaputo anche al più inespressivo utente di Skype. L´invito a non sgomitare nelle "code" che si formano negli uffici, nelle stazioni o fuori dai negozi, a non parlare sempre e solo di se stessi, a non affrontare un incontro galante e ravvicinato senza togliersi i calzini, a non grattarsi in pubblico, a non rovistare nel piatto dei vicini di tavola, a non usare lo stuzzicadenti, a non fare le palline con la mollica di pane, a non bere o mangiare rumoreggiando: ecco un metodo efficace per inimicarsi il pubblico di fresca anagrafe svogliandolo dalla lettura. "Per chi mi prende?", potrà essere la reazione a simili divieti.
Non mancano tuttavia, nei meandri dell´educazione civile e del tradizionale «vivere corretto», certi barlumi di umorismo (o di autopresa in giro). Come quando l´autrice definisce «uno dei grandi interrogativi della vita» l´esecuzione della scarpetta: cioè di quell´atto che consiste nel ripulire il piatto con mollica di pane per mettersi in grado di gustare il sugo residuo. Emerge, in materia, una sospensione di giudizio, quasi una concessione a un modo popolaresco di comportarsi. Potete indulgere a questa abitudine, si legge, «tanto buona in famiglia e tra amici», fatto salvo un avvertimento: «attenzione a non ungervi». Non manca comunque, nel fitto formulario dedicato ai pasti, qualche teorema irrisolto, con relativo quesito: come mangiare, per esempio, le olive o gli asparagi senza sputare ossicini o senza lavorare con scarsa dignità fra dita e denti?
Mi è tornata in mente, in materia, di cibi "difficili", una pagina del trattato che Giovanni Ansaldo pubblicò sotto pseudonimo nel 1947, intitolandolo proprio Il Vero Signore. S´immaginava a un certo punto che a un anziano e irreprensibile diplomatico venisse rivolta la domanda: «Come mangerebbe lei le ciliege a un pranzo di gala? Inghiottirebbe il nocciolo?». Risposta. «Per evitare di farlo, non consumo ciliegie, mai. A tavola, come in politica estera, ho troppa paura degli ingorghi intestinali».
L´ipotetico lettore – contemporaneo o "contemporaneissimo" che sia – potrà comunque attenuare il proprio disagio addentrandosi nelle "voci" che più direttamente lo coinvolgono. Si va da computer a cellulare, da sms a Twitter, da email a Skype, Un multiforme bestiario, insomma, da ammansire, imprigionandolo nelle spire di un "bon ton" ignoto o dimenticato.
Ci viene così insegnato che, quando si chiama qualcuno al telefonino, occorre premettere ad ogni altro approccio la domanda: "Disturbo?" (perfino prima di chiedere all´interlocutore "Dove ti trovi?" o, romanamente, "´Ndo stai?", "Che stai a ffà?"). Servendosi della posta elettronica, è indispensabile esordire «con un saluto seguito da nome del destinatario», stando attenti a precisare l´oggetto del messaggio «in modo che si possa decidere se aprire la comunicazione». Si consiglia di «non inviare allegati troppo pesanti che intasano la posta». Per quanto riguarda gli sms, va sempre ricordato che essi «devono essere pochi, non un assedio». E che – avvertenza basilare – le catene di Sant´Antonio sono un´inutile perdita di tempo che arricchisce le compagnie telefoniche». Quanto a Skype, si suggerisce di tener presente che, ricorrendovi, «si può perdere un sacco di tempo nel vedere cosa sta facendo l´altra persona»». Twitter: è opportuno mettere in guardia i «circa ventun milioni di italiani che ne fanno uso» (va ricordato che «anche il Pontefice ha un suo account personale») da un pericolo, quello «di isolare i singoli» e «sfociare in una situazione di dipendenza». In reazione al «tu», pronome sacramentale in ogni rapporto elettronico, va sottolineato – così prescrive l´autrice in un´altra pagina – che, «in ogni caso», è «la persona più grande a proporlo alla più giovane, la donna all´uomo e non viceversa». Ma come comportarsi - viene spontaneo obiettare – rivolgendosi, come spesso accade, a un´enorme massa di sconosciuti? Il tu indifferenziato diventa così una soluzione fatale.
Lo sforzo divulgativo, comunque c´è stato e in linea di massima il trattato distribuisce consigli sacrosanti. Ma con quali effetti? Ci si può illudere che essi contribuiranno ad allevare una generazione di Gentlemen elettronici? È lecito nutrire qualche perplessità, anche se insistervi sembrerebbe – per restare in tema – poco garbato.