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 2012  luglio 03 Martedì calendario

UNA SCHEGGIA NEL CUORE DI LONDRA

Viva i grattacieli? O abbasso i grattacieli? Se lo chiediamo al principe Carlo, custode ultraortodosso dell’urbanistica inglese di stampo vittoriano, la risposta è scontata. Fosse per lui tutto ciò che va oltre il secondo piano sarebbe da cancellare. Picconi e ruspe.
Il giorno della regata storica sul Tamigi per il giubileo di sua maestà, passando davanti alla Scheggia sulla riva sud, il futuro re ha voltato la testa dall’altra parte, verso la City, forse dimenticando per un attimo che anche su quella sponda un siluro di vetro e acciaio a forma di Cetriolo, e tale è il suo simpatico soprannome, da un po’ di anni si alza a ombreggiare la cattedrale di St. Paul. Per Carlo, ormai, risalire le acque limacciose del fiume deve essere un incubo visto come cambia il profilo della sua adorata città.
Invece, «Mummy» Elisabetta, che nonostante tutto è una signora al passo dei tempi, ha osservato a lungo, attratta e incantata, l’ultimo arrivato fra i palazzi che scalano il cielo londinese: la Scheggia, la Shard nel South Bank un tempo area di povertà, è il nuovo simbolo della capitale, che domina dalla sua estremità posta a 310 metri di altezza, record d’Europa. Non è casuale che l’«Economist» abbia lanciato un’inchiesta sullo stato di salute di Londra mettendo in copertina proprio la creatura di Renzo Piano. Gli esteti potranno discutere se è bella o brutta, ma una considerazione appare opportuna senza scivolare nel trionfalismo: è, rubandone la sintesi del «Times», elegante e «intelligente».
Tre settimane fa l’architetto genovese, indossando sotto la giacca una scherzosa t-shirt sulla quale era stampato «trust me I am an architect» («credetemi sono un architetto»), è andato a Westminster per illustrare alla commissione parlamentare la filosofia del suo progetto ultimato e ora pronto al taglio del nastro di dopodomani, 5 luglio. L’invito nelle austere stanze della Camera dei Comuni dimostra quanto sia importante e significativa per Londra, con gli applausi e le critiche a corredo, questa opera che è costata un miliardo di sterline, che ha impiegato 1.500 operai di sessanta nazionalità, una Torre di Babele che è pure cresciuta grazie alle evoluzioni di un’equipe di 60 alpinisti-acrobati-operai specializzati (alpinisti con brevetto che, parole di Renzo Piano, quando salivano in vetta anziché prendere i montacarichi se la sbrigavano a piedi «per tenersi in forma») e che è venuta su con tecnica «top-down» (i montatori salivano e parallelamente i minatori scendevano per le fondamenta) dopo la scoperta e la catalogazione per i musei dei resti di una villa romana del secondo secolo avanti Cristo che era persa lì sotto.
La Scheggia è una megacittà che vivrà 24 ore su 24 nei suoi 87 piani dei quali 72 destinati a uffici (fino al ventottesimo), a ristoranti (dal 31 al 33), ad alberghi (dal 34 al 52), ad abitazioni private (dal 53 al 65), a galleria, la Gallery View con balconata (dal 68 al 72) da dove o galleggerà al di sopra delle nuvole o si osserverà il panorama a 360 gradi in una profondità di sessanta miglia. E in cima, proprio in cima, la sorpresa: la «meditation room», una piccola stanza per riunioni riservate, a due passi dal paradiso o all’inferno.
Allora architetto, evviva o abbasso i grattacieli? Renzo Piano ha con Londra un rapporto speciale: è da qui, tutto sommato, che ha mosso i primi passi con Richard Rogers, altra star della professione. E a lui nel 2000 l’allora sindaco Ken Livingstone, il laburista rosso, si rivolse spedendogli un emissario a Berlino dove stava lavorando alla ricostruzione post Muro e post guerra fredda. L’incontro in un ristorante vicino a Potsdamer Platz. L’idea è semplice: Londra non può espandersi oltre alla «green belt», la cintura verde è il limite naturale e di legge allo sviluppo urbanistico, dunque si tratta di inventare qualcosa di nuovo.
Spiega Renzo Piano che «il concetto di crescita cambia e, anziché costruire periferie tristi, pianeti suburbani che sono la negazione della vita sociale, le città si densificano intervenendo sui terreni compromessi delle ex ferrovie, delle ex caserme, delle ex fabbriche. L’etica del progetto Shard è proprio questa, Londra che non si allarga a macchia d’olio semmai che include e che si alza, nel massimo rispetto dell’ambiente e con forti risparmi energetici».
È una rivoluzione per la capitale inglese, gelosa del suo profilo lineare e basso. «I grattacieli godono di meritata pessima reputazione, sono a volte arroganti oggetti di potere e di speculazione. Occorre renderli fruibili da parte di tutti». Luoghi di lavoro e luoghi di divertimento che si muovono a ciclo continuo. La Scheggia prende forma in uno schizzo disegnato da Renzo Piano, buttato giù d’istinto. Il nome viene adottato nello studio, un «gergo familiare e informale dell’ufficio» di cui Londra si impossessa. La Scheggia di cristallo tradotta, diviene la Shard. Così piace. Così si eleva, dalla posa della prima pietra, al ritmo di due centimetri all’ora. E così è pronta.
«Una torre che non deve essere ostile e arrogante ma sottile», pianificò nel 2000 l’architetto. L’amministrazione londinese gli chiese di non progettare parcheggi (ve ne sono solamente 48) per disincentivare l’uso del mezzo privato e poi perché alla base della Scheggia c’è la London Bridge Station che ha un’utenza giornaliera di 300 mila persone, pendolari scaricati da due linee metropolitane, da sei linee ferroviarie, da 20 linee di bus. Una scelta di fondo: i quindicimila (tanti saranno) abitanti o clienti o lavoratori della Scheggia useranno i trasporti pubblici. Un grattacielo finanziato da un investitore privato ma «di valenza pubblica», come tiene a sottolineare Renzo Piano, per come è stato concepito, per l’appoggio dell’amministrazione, per la funzionalità che avrà, infine, per i criteri sofisticati di costruzione, «ecologicamente corretti».
La Scheggia assottigliandosi scherza col sole e coi riflessi. «Non è mai lo stesso edificio». Essendo in realtà composta da otto schegge che non s’incrociano e che ricevono i raggi in tempi e inclinazioni diversi, la torre non è illuminata sulle sue facce allo stesso modo. Si crea una magia visiva. «È lo specchio di questa Londra civile». Icona del secondo millennio (con firma italiana) che neppure la crisi finanziaria del 2008 ha fermato, segno che le idee marciano comunque quando sono forti. Anche l’Empire State Building di New York si alzò in tempi di crisi profonda. Ed è entrato nella storia del costume e della vita. Il principe Carlo un giorno si convincerà: non è narcisismo distruttivo, è elegante innovazione che non ferisce l’ambiente